Dramma per musica di Giuseppe Palomba
Musica di Gioachino Rossini

Don Pomponio Storione​ ​ ​ Carlo Lepore
Lisetta​ ​ ​ Maria Grazia Schiavo
Filippo​ ​ ​ Giorgio Caoduro
Doralice​ ​ ​ ​ Martiniana Antonie
Anselmo​ ​ ​ Alejandro Baliñas
Alberto​ ​ ​ Pietro Adaíni
Madama La Rose​ ​ ​ Andrea Niño
Monsù Traversen​ ​ ​ ​ Pablo Gálvez

Direttore​ ​ ​ Carlo Rizzi
Regia​ ​ ​ ​ Marco Carniti
Scene​ ​ ​ Manuela Gasperoni
Costumi​ ​ ​ Maria Filippi
Luci​ ​ ​ ​ Fabio Rossi
Coro Del Teatro Della Fortuna
Maestro Del Coro​ Mirca Rosciani
Orchestra Sinfonica G. Rossini

Produzione 2015, riallestimento

Dopo il debutto napoletano con Elisabetta regina d’Inghilterra e in attesa del libretto dell’Otello, Rossini si dedica a questa opera buffa per il Teatro dei Fiorentini presso il rione Carità di Napoli. Oggi lo spazio è occupato da una triste sala bingo. Si trattava di un teatro piccolo e molto popolare dove il personaggio buffo cantava immancabilmente in napoletano stretto. Fu sede di centinaia di prime assolute per tutto il ‘700: ricordiamo Le astuzie femminili di Domenico Cimarosa (1794), la divertente opera Le cantatrici villane di Valentino Fioravanti (1799), Don Gregorio imbarazzato di Giuseppe Mosca (1813) e Emilia di Laverpaut di Vittorio Trento (1817). Queste due ultime opere saranno di ispirazione per Donizetti per il suo Ajo poi Don Gregorio, e le due versioni di Emilia.
L’impegno di Rossini nel scrivere l’opera risultò altalenante. Compose circa il 50% di musica nuova e utilizzò molti pezzi d’insieme (i più complessi da concepire e scrivere) da opere precedenti cioè da La Pietra del paragone, dal Turco in Italia, da Torvaldo e Dorliska e fece una breve citazione del Barbiere: erano ancora tutte opere ignote al pubblico napoletano che conosceva solo Elisabetta.
I brani composti per l’occasione sono le due arie per il tenore, l’aria per Don Pomponio, l’aria per Filippo e la seconda aria per Lisetta. Nuovi anche il terzetto del primo atto (con un tema dal Turco), lo stupendo quintetto (ritrovato nel 2011) e il duetto tra Lisetta e Filippo di ottima e elegante fattura. La nuova superba sinfonia, che riecheggia nella prima aria di Alberto nell’introduzione, passerà nell’immortale Cenerentola.
Il tenore Alberico Curioni fu molto apprezzato da Rossini e durante la composizione decise di affidargli la seconda aria, inizialmente non prevista. Cantò successivamente nell’Otello del 1820 a Roma presente Rossini che modificò tutta l’opera in conseguenza al Finale lieto imposto, e cantò Giannetto nella Gazza ladra che inaugurò il ricostruito teatro del Sole a Pesaro, sempre presente il compositore.

Abbiamo assistito ad un riallestimento della regia di Marco Carniti, il quale ha fatto un grande lavoro di affinamento modificando in tanti minuti particolari la sua regia precedente. Una attenzione maniacale ai movimenti degli attori, una attenzione alla varietà delle scene seppur caratterizzate da elementi molto semplici. Le luci dai colori molto contrastanti hanno dato ulteriormente interesse allo svolgere della vicenda che passa dalle arie melanconiche di Alberto alla vanità di Lisetta, dal fanatismo di Pomponio all’arte subdola di Filippo. Marco Carniti, che proviene dal teatro di prosa, ha coniugato egregiamente tutti questi aspetti. Spiace che abbia deciso, come già nel 2015, di non eseguire I RECITATIVI INTEGRALMENTE! Certo sono recitativi lunghissimi e quasi sempre sulle spalle di Pomponio. Ma il pubblico del Teatro dei Fiorentini andava proprio lì per sentire sproloquiare Carlo Casaccia. Noi siamo qui a Pesaro per ascoltare Carlo Lepore in questi comicissimi recitativi esaltati dal vernacolo. Il ROF dedica settimane alle prove e questi recitativi secchi si sarebbero potuti eseguire integralmente, operazione che nessun teatro ha avuto ancora il coraggio di fare per la bistrattata Gazzetta. Lepore è riuscito a eseguire qualche passaggio in più rispetto al 2015 rendendo più intellegibile la trama e riservandoci qualche momento comico in più.
Don Pomponio Storione​ ​è proprio Carlo Lepore grande cantante e grande attore dotato di un carisma unico. Qui al ROF alcuni anni fa fu splendido nell’Inganno felice e in Torvaldo e Dorliska. Da quando entra in scena è quasi sempre presente sul palcoscenico divenendo il motore della vicenda. La sua aria, con la parodia delle lingue straniere, scivola via con un brio assoluto. Breve la cabaletta dove non manca il sillabato di cui Lepore è maestro. Pomponio è il perno del quintetto del primo atto. Sottile psicologicamente il duetto con la figlia un vero miracolo di situazioni. Il linguaggio quakkero suscita molte risate sulla scena e anche il quintetto tratto dal Turco ci regala suoni inaspettati: Lepore infatti è il primo buffo in questo ruolo che canta il si bemolle acuto! dico si bemolle, prima della stretta del quintetto con un divertente suono in falsetto. Una vera raffinatezza.
Lisetta​ ​è Maria Grazia Schiavo la quale ha svolto la sua parte con discreta bravura. Spiace che la cabaletta della sua cavatina di presentazione “Presto, dico” sia stata cantata così male: sappiamo che è una parte difficile con una coda che insiste su regioni acute ma l’esecuzione è stata davvero insufficiente. Poco meglio l’aria del secondo atto, meno impegnativa, ma l’errore sull’acuto è stato evidente. Il soprano ha una buona presenza scenica e risulta divertente sfoggiando costumi coloratissimi.


Alberto​ è il giovane ​Pietro Adaíni che seguiamo da inizio carriera. La voce è perlacea e dotata di naturale squillo. Adaini conferisce il patetismo necessario al personaggio e il suo canto insiste nel registro centrale con colori chiaroscurati. Divertente è la sua parte nel terzetto tratto da La pietra del paragone: la scena dopo il finto duello si conclude con un passo di danza che ricorda i 4 piccoli cigni nel Lago dei cigni e nella coda Adaini fa delle interessanti variazioni. Il tenore è impegnato anche nella incalzante stretta dell’introduzione e nel successivo quartetto che rende molto bene poiché il suo elegante timbro risalta nei concertati.
Doralice​ ​è la discreta Martiniana Antonie che è impegnata in una semplice aria di sorbetto. Abbiamo apprezzato le sue qualità di più nei due quintetti.
Anselmo​ ​è  Alejandro Baliñas, Madama La Rose​ è Andrea Niño e Monsù Traversen​ ​è  ​Pablo Gálvez. Tutti è tre hanno svolto bene il loro compito e in particolare Andrea Niño che ha sviluppato con interesse la sua aria che apre il secondo atto garantendosi un sonoro applauso. Andrea Niño delle tre donne è stata sicuramente la migliore. Il Filippo​ ​è Giorgio Caoduro il quale non esprime quella simpatia che il personaggio dovrebbe suscitare. Non vi era riuscito neanche Vito nel 2015 ma solo Pietro Spagnoli aveva brillato per simpatia con la regia di Dario Fo. Il canto di Caoduro è molto buono e nella difficile aria del secondo atto la coloratura fittissima è resa con un canto particolarmente vibrato esaltando la scrittura rossiniana. Ben la sua parte nei quintetti e divertente il suo ingresso da cinese (non quakkero) nel Finale I cantando una lingua posticcia.
Il Direttore ​Carlo Rizzi ha fatto un lavoro grandissimo sull’orchestra spingendo i movimenti dei singoli numeri musicali ad alta velocità per garantire il ritmo e la comicità.  Eleganti i fiati nella superba sinfonia e d’atmosfera il preludio dell’aria di Alberto nel secondo atto. L’orchestra è leggera e vaporosa come nella scrittura della successiva Cenerentola.
Il Coro Del Teatro Della Fortuna preparato come sempre dal Maestro Mirca Rosciani è stato puntualissimo nei suoi interventi. Tutta l’introduzione è stata svolta con perfetta intonazione e la stretta indiavolata è riuscita precissima. Divertente la scena con le torce che illuminano gli annunci sulla gazzetta, visivamente ben riuscita. Il finale I vede il coro molto impegnato e tutti i loro interventi risultano di particolare fattura. Tutti i tasselli di questa produzione sono andati al giusto posto per donarci una Gazzetta piena di brio e effervescenza. Ricordiamoci che è stata composta tra Barbiere e Cenerentola e sebbene non possa raggiungere questi due capolavori assoluti La Gazzetta vola alta e questa produzione ne ha testimoniato la vitalità intrinseca.

FABIO TRANCHIDA