La prima delle tre rappresentazioni del Messiah di Händel è stata eseguita stasera all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Le premesse per un grande evento erano garantite dalla bacchetta di Ton Koopman clavicembalista, organista e poi direttore di fama mondiale che ha diretto 200 volte la Passione secondo Matteo, tutte le Cantate di Bach e 100 volte proprio il Messiah del “caro sassone”. A causa di una crisi delle opere italiane di Händel a Londra, il compositore iniziò con qualche perplessità la composizione di oratori e caso vuole che tra i suoi primi fece i due più importanti: Israel in Egypt immensa partitura principalmente corale e il Messiah più equilibrato nella distribuzione tra coro e solisti. Forse proprio questa specificità ha reso il Messiah il capolavoro sacro non solo del sassone ma del ‘700. Gioioso, solare, senza complicazioni filosofiche un universo multiforme di intrecci contrappuntisti e melodie seducenti di ascendenza ancora italiana. La prima a Dublino fu un successo che non venne mai smentito dalle successive repliche sempre con organici molto variabili.

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Questa sera l’orchestra impiegata era l’orchestra di Santa Cecilia quindi non un’ensemble di strumenti antichi: nonostante ciò la riuscita della sonorità orchestrale è stata buona, con bei risalti nella dinamica; forse in alcuni momenti dobbiamo sottolineare un suono fin troppo voluttuoso e anacronisticamente ottocentesco. Le trombe nei momenti di maggior trionfalismo sono state impeccabili ( aiutate dai pistoni moderni) col bellissimo dialogo nell’aria del basso nella terza parte. Molti complimenti a Luigi Piovano il primo violoncello fondamentale negli insiemi quanto nel perfetto basso continuo con una esecuzione sempre molto attenta e motivata.

Il coro proporzionato all’orchestra ha momenti importanti: dal celeberrimo “Hallelujah!” a “Since by man” con i suoi violenti scarti dinamici. Elegante e ben ritmato è risultato essere anche “And He shall purify” e l’Amen finale. Il migliore tra i solisti è stato il tenore Tilman Lichdi con i due ampi recitativi accompagnati e relative arie ad apertura delle due parti. Bel timbro dorato e facilità nello spiccare la parola hanno reso la sua prova di rara eleganza. Il basso Klaus Mertens competente in questo repertorio dopo 40 anni di carriera mostra alcuni segni di affaticamento con fiati al limite, coloratura sufficiente ma non esaltante e volume debole.Comunque ben realizzata l’aria già citata con il dialogo con la tromba. Il basso è riuscito a sostenere la sonorità brillante dello strumento solista e il ritmo molto sostenuto. Bravo il contralto maschile sentito di recente a Beaune in Ariodante. Maarten Engeltjes ha timbro volutamente ambiguo e buona intonazione.

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Spiace che i suoi quattro momenti nella seconda parte siano stati orrendamente tagliati dalla mannaia di Koopman eliminando del tutto il personaggio e anche il suo splendido duetto col tenore unico pezzo a due! Incredibile visto che il cantante era dotato di notevole qualità. Il soprano Arias Fernandez sembrava poco concentrata nella sua parte, e certo non era dotata di timbro uniforme: continui erano gli sbalzi tanto da deteriorale il celestiale fraseggio händeliano.

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Un Messiah quindi che in parte ma solo in parte ha deluso.Se si fosse scelta l’integralità tutta l’opera ne avrebbe giovato: 25 minuti in meno hanno portato un forte squilibrio come la divisione in due parti invece che in tre parti. Addirittura negli intervalli Händel suonava l’organo per intrattenere il pubblico. Ci è capitato nella chiesa di San Marco di Milano di assistere a queste esecuzioni durante gli intervalli: non si pretendeva questa filologia ma almeno che tutto il Messiah fosse eseguito specie in questi giorni quaresimali. Koopman ha diretto con il suo gesto sempre molto energico e sicuro, sottolineando ogni accento dell’orchestra da vero conoscitore di questa partitura barocca. Invitiamo il pubblico ad assistere alle recite di venerdì 24 e sabato 25 qui al Parco della Musica.

Fabio Tranchida