MARIA STUARDA, REGINA DI SCOZIA Marina Rebeka
ELISABETTA, REGINA D’INGHILTERRA Carmela Remigio
ROBERTO, CONTE DI LEICESTER Paolo Fanale
LORD GUGLIELMO CECIL Alessandro Luongo
DIRETTORE Paolo Arrivabeni
REGIA Andrea De Rosa
La stagione del Teatro dell’Opera di Roma è ormai entrata nel vivo con ottime proposte per il pubblico romano, italiano e anche straniero essendo la capitale una città cosmopolita; molti infatti gli stranieri in platea questa domenica. Si è scelto un titolo che negli ultimi 30 anni ha avuto innumerevoli esecuzioni essendosi rivelato un autentico capolavoro. Donizetti non riuscì a farlo a capire al suo pubblico poiché al san Carlo di Napoli la censura proibì l’opera. Non solo, poco prima i due soprani erano arrivate alle mani durante il confronto tra le regine. Donizetti, che credeva alla sua opera, colse l’occasione per inaugurare la stagione scaligera con la Malibran, migliorando in molti punti l’opera, arricchendola con una esuberante sinfonia, un duetto amoroso (prelevato e adattato dal Buondelmonte) e con mille varianti vocali per cucire la parte a perfezione per la Malibran dotata di differenti qualità rispetto Giuseppina Ronzi de Begnis. Nonostante l’edizione critica, è impossibile discernere tra le due versioni con assoluta certezza poiché spesse volte Donizetti agiva su un unico autografo, e altre volte ha riscritto delle parti ex-novo andate tutte perdute. Alcune di queste parti sopravvivono però in versione canto-piano e la Fondazione Donizetti dovrebbe prendere l’impegno di orchestrare queste parti per permettere di scegliere in maniera più ampia quali versioni affidare ai protagonisti.
Paolo Arrivabeni ha fatto un ottimo lavoro di concertatore, con una grande attenzione nell’assecondare le voci e precisione nel rendere le atmosfere dei numerosi preludi che introducono le scene. Perfetta la scelta dei tempi in quanto Arrivabeni è un grande frequentatore del compositore bergamasco.
Marina Rebeka ha brillato splendidamente durante tutta l’opera. La parte è molto estesa e tutto il secondo atto è sulle sue spalle proprio per scelta del compositore che sicuramente ha avuto una parte fondamentale nella stesura del libretto. La prima cavatina di Stuarda “Oh nube che lieve” ha un accompagnamento rarefatto e la voce adamantina della Rebeka è risultata appropriata. Più incisiva la cabaletta, dove il canto sbalzato della cantante lettone ha fornito una prova ottima anche nella coloratura iridescente che conclude le due esposizioni. Ottima la scelta registica di farle cantare “Da tutti abbandonata” completamente sola sulla scena sebbene si tratti di un duetto. Il dialogo tra le due regine è stato davvero arroventato fino alla perorazione finale con quelle fortissime parole che la Malibran si ostinava a cantare, nonostante la censura milanese, causando la proibizione senza appello di questo lavoro operistico per 140 anni. La Rebeka ha distillato le parole e gli insulti da grande attrice aumentando il volume fina a causare una risata isterica sulla bocca di Elisabetta. Il duetto della confessione ( SUBLIME “Quando di luce rosea”) ha sofferto del taglio della ripresa della cabaletta e della ruvida voce davvero inappropriata di Carlo Cigni. Bellissima la preghiera con quel la lunghissima nota che sale verso vette eteree. Incredibile la resistenza della Rebeka nella straziante aria finale divisa in due brani staccati con tempi larghi in maniera di creare una suspence irreale fino all’acme dell’andata al patibolo.
Sempre a livelli altissimi la prova di Carmela Remigio ( l’anno scorso eccezionale Bolena a Bergamo) che giustamente realizza la parte nella voce di soprano, ruolo così scritto sebbene durante i primi anni della Donizetti Renaissance fosse affidato ai mezzosoprani. Attrice formidabile, capace di spiccare le parole con inaudito realismo: spesso il compositore lascia la voce da sola senza orchestra per sottolineare frasi particolarmente importanti. La capacità della Remigio sta proprio nel rendere con il massimo realismo questi punti nevralgici. Il canto è risultato elettrizzante con tempi sempre molto veloci nelle strette dove sempre lei ha acceso la miccia. La voce leggermente più scura rispetto alla Rebeka ha permesso un bel contrasto nel famoso scontro frontale.
Paolo Fanale ha dovuto affrontare una parte davvero ingrata con delle frasi veramente al calor bianco sia nei duetti con le regine sia nell’exploit finale “Iniqui tutti… Temete un Dio” una frase che crea un personaggio. Il tenore unisce al bell’aspetto una voce sufficientemente robusta, che non si schiarisce troppo nelle ampie arcate. Sono poche le cose da sistemare per essere un perfetto tenore romantico. Interessante nel terzetto le suppliche del tenore verso la regina che nella scelta registica vengono rivolte anche a Cecil vero specchio dell’anima nera di Elisabetta.
Ottima la prova di Alessandro Luongo un Cecil cattivissimo, uno Jago ante litteram capace anche con la sola presenza di spaventare i malcapitati. Voce piena e rotonda sempre piacevolissima all’ascolto. Nel duetto-terzetto che apre il secondo atto Luongo si impone per l’autorevolezza nell’esecuzione e la completa stretta gli consegna le note mancanti per realizzare un personaggio diabolico a tutto tondo.
Il coro ha due momenti principali, quello di apertura con un brano molto brioso poi trasferito in parte nella seconda scena de La favorite; importantissimo il coro prima del supplizio presente anche in Otto mesi in due ore che crea la giusta atmosfera lugubre e oppressiva. Roberto Gabbiani ha fatto un lavoro pregevole esaltando le masse corali in questo sublime pezzo che prosegue intensamente nella preghiera dalla complessa coda finale che difficilmente ho ascoltato con così sicura intonazione.
Regia shakespeariana con pochissimi elementi ma significativi, luci radenti e costumi splendidi sono le caratteristiche di questo spettacolo solo da elogiare: un lavoro sapiente da parte di Andrea De Rosa che ha lavorato duramente sul libretto per estrapolare ogni minimo dettaglio verbale e scenico.
Prossime recite il primo e 4 Aprile.
Fabio Tranchida