Selim: Carlo Lepore
Donna Fiorilla: Nino Machaidze
Don Geronio: Paolo Bordogna
Don Narciso: Edgardo Rocha
Prosdocimo: Simone Del Savio
Zaida: Samantha Korbey
Albazar: Enrico Iviglia
Maestro al fortepiano: Luca Brancaleon
Direttore d’orchestra: Daniele Rustioni
Regia: Christopher Alden
Possiamo considerare Il Turco in Italia ormai un’opera di repertorio, tanti sono infatti gli allestimenti che dopo la leggendaria Fiorilla della Callas all’Eliseo di Roma si sono succeduti. Allestimenti che sono incrementati dopo il 1978 grazie allo stupendo lavoro di Margaret Bent, curatrice dell’edizione critica che ha svelato l’architettura solidissima di questa partitura, vera commedia brillante che dipinge a colori nitidi i vari personaggi (buffi, comici ma anche sentimentali).
Il valore del Turco è testimoniato dal fatto che tutta la musica è nuova, a parte qualche frammento tematico proveniente dalle farse veneziane, sconosciute a Milano dove il 14 agosto 1814 avvenne la prima. Tutte le cinque opere milanesi meritano attenzione quanto i capolavori napoletani: forse non sono così moderne dal punto di vista drammatico ma la qualità musicale è sempre autentica e di grande impegno, facendo comprendere il valore già all’epoca del Teatro alla Scala.
Molto interessante l’esecuzione di oggi al Regio di Torino che inanella un successo dopo l’altro. Protagonisti di questa edizione il basso cantante Carlo Lepore nel ruolo del titolo e il basso buffo Paolo Bordogna di cui aspettiamo l’attesissimo CD Tutto Buffo! Lepore fin dalla micro cavatina “Bella Italia” ha sorpreso per spessore e volume sonoro associati ad un nobile fraseggio. Il duettino che segue ha fatto rilevare le sue doti attoriali mostrandolo letteralmente “cotto” della bella Fiorilla, fin dalla scintilla scaturita dal contatto galeotto delle due mani sulla gomena della nave che lo ha condotto a Napoli.
Di pari livello la prova del grandissimo Paolo Bordogna, ormai riconosciuto a livello internazionale come attore-cantante e trasformista (impossibile dimenticare la sua Mamm’Agata di Fano, immortalata su un imperdibile DVD) dalla voce calda dai contorni nitidissimi dal sillabato autentico e ritmicamente perfetto. Elegante negli appropriati lazzi e dalla mimica facciale sempre varia ed efficace.

Bisogna sapere che le due arie da lui cantate non sono in realtà di Rossini. La prima è di un anonimo collaboratore che ha composto l’aria del primo atto di Geronio, l’aria di Albazar, il finale secondo e tutti i recitativi secchi. Sebbene per la versione romana di poco successiva Rossini elimini l’aria di Geronio, oggi è impensabile farne a meno. Invero la scrittura è un po’ retrò con una certa staticità nel dialogo con le zingarelle, ma nella successiva stretta si riscatta anche grazie alla prova di Bordogna, infuriato per il verdetto di Zaida, con un sillabato stizzoso e con l’appropriata risposta del coro femminile previsto solo in questo punto. La cosa non deve sorprenderci: anche nella seconda versione di Matilde di Shabran compaiono le donne solo in un breve coretto di 3 minuti (in un’opera che dura 3 ore e 30). La seconda aria è presente solo in tre manoscritti della versione romana, sicuramente non è autentica e risulta ancora più datata come impostazione. E’ un aria da “catalogo” tipica che potrebbe provenire da un “Ser Marcantonio” o da altre cento opere buffe. Piace per la scorrevolezza, per le ripetizioni interne fino allo scoppiettante finale che come una girandola porta Bordogna a esibire le sue qualità di autentico mattatore! Sebbene aria non autentica, rimane un mistero: il testo riprende parzialmente un testo stampato in appendice al libretto originale dell’Equivoco Stravagante (Bologna 1811).
Simone Del Savio, motore della vicenda, è stato sempre presente in scena ed ha cantato a suo tempo con ottima dizione e buon timbro. Spiace che Rossini non abbia musicato il Duetto Poeta Geronio, scena 7 del primo atto. L’ignoto collaboratore ha musicato il recitativo secco diligentemente ma Rossini forse per ragioni drammatiche ha abbandonato il pezzo che possediamo completo nella stesura di Romani.
Nino Machaidze ci è parsa un poco fuori parte, senza la giusta caratterizzazione per un personaggio tanto volubile. La voce è intonata anche se non esente da numerose asprezze. Le note sono troppo pensate, con rallentati non previsti e con un vero e proprio stravolgimento in quel monumento che è l’aria da vera opera seria “Squallida veste e bruna”. Quasi un sottofinale che meritava una autentica primadonna. Nino Machaidze poteva tentare di più in questa aria che permette di addentrarsi nella complessità del personaggio, differenziandolo dalla Isabella rossiniana che di poco la precede. Spiace che la Callas non abbia eseguito mai quest’aria, che cantò Fiorilla sotto le pesanti forbici di Gavazzeni, che ci ha probabilmente privato di un’esecuzione che sarebbe stata sicuramente una pietra di paragone!
Edgardo Rocha ha sostituito l’indisposto Siragusa, la cui voce eravamo impazienti di ascoltare. I risultati sono stati invero modesti, fraseggio inesistente, voce piccola, poco educata e che sebbene omaggiata anche dell’aria del primo atto (composta sempre per Roma) ha deluso. Personaggio scenicamente assurdo nel suo autolesionismo e nel suo escludersi dal resto dei personaggi. Il difetto in realtà è già nel libretto, rielaborazione di uno di Mazzolà per Dresda: li don Narciso non compare e gli interventi di Romani per inserirlo risultano alquanto goffi. Musicalmente belle le due arie ma slegate le sue azioni dal dramma buffo: nessuno sembra accorgersi di lui in fondo. Ridicolo il suo tentativo di fare la voce di basso nel mascheramento del Quintetto.
Sufficiente la prova di Enrico Iviglia nel ruolo di Albazar. La sua aria tutta coreografata è corsa veloce e divertente ma nulla più. Samantha Korbey partecipa a tante produzioni di quest’anno al Regio e anche stavolta ha dato un buon contributo alla riuscita dello spettacolo. Spiace che al momento del confronto nel secondo atto Zaida abbandoni le scene mentre proprio un terzetto sarebbe stato lì appropriato per portare all’acme la tensione drammatica. Sicuramente Rossini, considerando Zaida una seconda donna, non corse il rischi di affidarle una prima parte in questo ipotetico terzetto.
Plauso al Maestro Luca Brancaleon che alla tastiera di un antico fortepiano ha sorretto i recitativi studiati coi cantanti nei minimi particolari. Anche il direttore Daniele Rustioni, nonostante la giovane età, è ormai un maestro affermato, che ha brillato nella sgargiante sinfonia (con perfetto assolo di corno) ed ha saputo rispettare le voci con un suono sempre misurato e con ottimi colori nei fiati (in questo aiutato da Rossini e dalla sua acquerellata partitura). Ottima la scelta delle numerose cadenze estemporanee: molti puristi le aborrono ma sono invece pertinenti se ben eseguite e in stile. Proprio in questa partitura Rossini scrive su una nota cantata dal Poeta prima della stretta finale primo “Il maestro si rimette all’arte del sig. Vasoli onde sia ben investita questa corona”. Se lo dice Rossini… Solo un piccolo appunto al maestro Rustioni: nel quintetto del secondo atto Rossini ha voluto creare un effetto “turchesco” inserendo i sistri. Noi conosciamo i sistri egiziani e dell’antichità ma molti studiosi non sanno bene a cosa si riferisca Rossini. Simone Fermani ne ha curato una ricostruzione che qui potete vedere:
Lui stesso li ha utilizzati a Marsiglia e a Parma per Il Conte di Almaviva ossia L’inutile precauzione. Infatti compaiono anche nel finale primo di quest’opera per indicare l’alternarsi dei martelli sulle incudini suggeriti dal testo. Oltretutto se si legge con attenzione la grafia delle note su un unico rigo assegnato ai Sistri si può notare che le stanghette con le cediglie sono alternate in alto e in basso quasi ad indicare il movimento di percussione dei Sistri in alto e in basso. Nel Turco odierno sono invece stati utilizzati un triangolo e dei piccoli piatti: soluzione efficace ma non caratteristica come avrebbe voluto Rossini.
In vista della rappresentazione integrale de La Gazzetta a Pesaro il problema dei sistri si ripropone con bruciante attualità poiché nel La Gazzetta è presente il Quintetto turchesco con indicazione Sistri su uno spartitino andato però perduto. Bisogna quindi basarsi sull’autografo del Turco per ricostruire questa parte delle percussioni. Ancora più interessante è il ritrovamento del quintetto del primo atto a lungo creduto perduto o addirittura mai composto. I filologi sbagliavano: Rossini si era impegnato a fondo anche ne La Gazzetta. Certo la stretta ricalca quella de Il Conte d’Almaviva ma risulta più armoniosa e snella (non essendo un finale d’atto). Il senso di dejà vu è compensato dalla capacità di Rossini di variare il tema portando ad inedite conclusioni. Anche in questo Quintetto la presenza dei Sistri è fondamentale per indicare le incudini.
Regia spumeggiante che ha lavorato benissimo sui movimenti degli attori-cantanti, ha inserito la presenza del coretto di donne anche in numerose scene (anche se dopo non hanno più cantato come previsto dalla partitura) Unico elemento un’enorme polena che svolgeva numerose funzioni. Costumi anni ’60-’70 con notevoli spunti di fantasia come nella scena del festino turco dove tutto il coro maschile era in abito lungo di lamè e tacchi alti. Un divertissment che abbiamo apprezzato. Grazie a tutti gli artisti di questa notevole produzione.
Fabio Tranchida