Tenore: Klaus Florian Vogt
Soprano: Camilla Nylund
Direttore: Jonathan Nott
Bamberger Symphoniker e Bayerische Staatsphilarmonie
Chi ha frequentato i massimi teatri europei negli ultimi anni riconoscerà certamente, fin dalle prime intonazioni, la voce di Klaus Florian Vogt, uno fra i più quotati tenori wagneriani dell’ultima generazione. Il suo trademark è certamente l’incredibile chiarezza di timbro, che lo distingue da tutti i colleghi, anche del passato. Per il pubblico italiano è stato recentemente Erik in Der Fliegende Holländer e Lohengrin (suo cavallo di battaglia, anche a Bayreuth) nell’opera omonima del 2007, in entrambi i casi al Teatro alla Scala. In entrambi i casi aveva affascinato il pubblico e la critica proprio per quel suo colore cristallino, mentre ha sempre patito il volume di voce piuttosto limitato, severo freno all’efficacia in palcoscenico. Sembra dunque uno sbocco naturale la soluzione discografica, e dopo il successo del primo CD di repertorio tedesco, intitolato “Helden”, ecco l’ideale seguito con “Wagner”, interamente dedicato al compositore di cui ricorre il bicentenario. Negli 11 brani Vogt copre praticamente tutti i ruoli tenorili wagneriani: Walther von Stolzing dai Meistersinger, Lohengrin, Parsifal, Rienzi, Tristan, Erik dall’Olandese, Siegfried dal Götterdämmerung, Siegmund dalla Valchiria. Lo accompagnano due orchestre spiccatamente tedesche quali la Bamberger Symphoniker e la Bayerische Staatsphilarmonie, dirette dal maestro Jonathan Nott, mentre per i duetti si avvale della brava soprano Camilla Nylund.

Il brano più affascinante del disco ci pare essere il terzo, l’addio dal terzo atto di Lohengrin (Mein lieber Schwan!). Il colore diafano della voce di Vogt entra in perfetta simbiosi con l’eterea orchestrazione con cui Wagner ha voluto mettere in scena un personaggio che non appartiene a questo mondo e che proprio in questo punto si sta nuovamente staccando per tornare alla sua esistenza beata, ma irreale. L’impressione angelica che offre il suo canto, accentuata dall’emissione languida e sospirata, si presta in effetti molto più a questo personaggio che ai classici Heldentenor wagneriani, in cui la tradizione vorrebbe virilità e potenza. In effetti Vogt tende a replicare il suo bel Lohengrin in tutti gli altri personaggi interpretati, con risultati alterni. Finché la distanza è poca, come nel caso di Parsifal (tale padre, tale figlio!), l’operazione è ancora azzeccata e accettabile e gli effetti drammatici sulla parola chiave “Erlöse” possono sfruttare lo stesso pathos di elevazione spirituale già efficace nel lohengriniano “Lebwohl”. Seguendo questa direttrice uno de passaggi più riusciti è stato proprio l’ultimissimo accento cantato in Parsifal, quando egli invoca finalmente con straordinario languore l’apertura dello scrigno del Graal: Öffnet den Schrein!
Sempre partecipe delle atmosfere trasfigurate e religiose è la successiva (sul CD, perché in produzione wagneriana facciamo un salto dall’ultima opera ad una delle primissime!) preghiera tratta dal Rienzi. Qui apprezziamo l’altro aspetto affascinante di questo tenore, ovvero il sapore prettamente “tedesco” che si porta dietro e su cui anche la copertina del CD fa leva. Ritroviamo nella sua interpretazione di questa parte di Rienzi, che è di gran lunga l’unica non filo francese dell’opera, alcuni vezzi (specialmente i portamenti) che rievocano il canto del Singspiel, da Mozart fino a Weber, in cui il canto sensuale e di forza, all’italiana, era ancora lontano. La minor distanza cronologica e stilistica è qui con l’aria di lamento di Erik da Der Fliegende Holländer, altro ruolo che gli riesce molto bene, con un notevole cesello della frase, arrivando con facilità e senza perdere in bellezza di timbro al si bemolle sulla parola “Liebe”. Ottimo esempio di canto attento alla parola, concentrato nel non aprirsi mai eccessivamente all’ostentazione vociferante. Seguendo questa traccia germanica arriviamo a Walther von Stolzing, protagonista dei Maestri Cantori di Norimberga, a cui sono dedicate le prime due tracce del CD. E qui cominciano i dolori. Difficile immaginare una tale anemia nel personaggio che, nell’ideale wagneriano, dovrebbe “rivoluzionare” la musica tedesca. Cominciamo insomma a passare nella zona dei veri e propri Heldentenor, che Wagner inventò prendendo spunto proprio dall’efficacia teatrale degli eroi drammatici del melodramma italiano e, soprattutto, del grand-opéra francese.

Non è privo di sfumature interessanti il suo Tristan, proprio per quel languore già evidenziato sopra, che tuttavia qui dovrebbe scendere un pochino più dalle vette trascendenti in una carnalità invece del tutto assente. Il testo parla di sprofondare nella notte d’amore, ma quel timbro chiaro rimane inevitabilmente “a galla”, elevato, distaccato, per quanto apprezzabile per nobiltà di accenti. Sinceramente trascurabili infine le prove dal Ring, sia come Siegmund (complice una lentezza estenuante) che soprattutto come Siegfried (è sognante ma decisamente non morente), dove la voce sempre gradevolissima non basta, risultando monocorde e priva di drammaticità. Aggiungiamo a sua discolpa che, mentre la maggior parte dei brani citati sopra avevano forma d’aria o si prestavano al numero chiuso, qui siamo anche di fronte a momenti che necessitano di una maggior contestualizzazione interpretativa. Problema annoso di ogni CD di antologie wagneriane peraltro. Non è aiutato infine dal direttore Jonathan Nott, che sfrutta male la buona compagine orchestrale tirando fuori un Wagner oleografico, certamente allineato al diafano cantante ma poco pregnante. Ottimo invece il sostegno della soprano Camilla Nylund, lei sì dotata di voce drammatica e ricca di armonici nonché di piglio deciso e incisivo.
Nel complesso un disco che alterna tracce molto caratteristiche e azzeccate con momenti sempre estetizzanti ma molto meno significativi. Ideale per un momento d’atmosfera e relax più che per un ascolto concentrato. L’occasione di un CD wagneriano nel 2013 era evidentemente irrinunciabile, ma sarebbe piacevole risentire questo cantante su un repertorio che meglio esalti le sue qualità, traslandosi indietro di un mezzo secolo e recuperando una tradizione ricca e ancora da esplorare in pieno come quella del Singspiel tedesco.
Alberto Luchetti