Alaide: Edita Gruberova
Isoletta: Veronica Simeoni
Arturo: Dario Schmunck
Valdeburgo: Franco Vassallo
Orchestra Philharmonia Zürich – Coro dell’Opera di Zurigo
Direttore: Fabio Luisi
Regia: Christof Loy
Maestro del coro: Jürg Hämmerli
All’Opernhaus di Zurigo abbiamo assistito alla poco frequentata opera La Straniera di Vincenzo Bellini. Possiamo tranquillamente affermare che l’amato catanese abbia prodotto nella sua breve esistenza solo capolavori, frutto di una meditata scelta dei libretti e di lungo tempo gestatorio per comporre ogni opera. Anche la sfortunata Zaira (poi in parte riversata nei Capuleti) è una grandissima opera che meriterebbe maggiore attenzione. La Straniera non fa eccezione.
Essa nasce in effetti come sfida: il giovane Bellini doveva replicare il successo de Il Pirata senza tuttavia avere a disposizione un artista di grido quale Rubini. Tutto il peso dell’opera viene allora con molta maestria riversato sulle spalle della prima donna assoluta Henriette Méric-Lalande (1799-1867), che termina infatti entrambi gli atti con una grande aria. Appena sotto di un gradino il baritono, all’epoca della prima Antonio Tamburini (1800-1876), che collaborerà ancora con il compositore. Anche la parte di Isoletta, che beneficia di un duetto e di una grande aria tutta sola con flauto concertante, non è da sottovalutare, e non a caso fu la grande Caroline Ungher (1803-1877) a battezzare il ruolo. Rimane più sacrificato dunque il tenore, che in mancanza della stratosferica voce di Rubini non beneficia di alcuna aria ma canta solo nei pezzi d’assieme. Evidentemente Bellini non aveva fiducia in Domenico Reina (Lugano 1796–Milano 1843), che pure aveva un curriculum di tutto rispetto, entrando dopo gli studi milanesi nella compagnia di John Ebers al King’s Theatre di Haymarket, dove canterà nelle prime londinesi nientemeno che del Ricciardo e Zoraide, de La donna del lago e di Matilde di Shabran (il ruolo di Corradino è scritto da Rossini per ugole d’oro!). La scelta di non affidare nessuna aria al tenore va comunque correlata al taglio drammaturgico imposto da Bellini a Romani, tanto che anche quando Rubini acquisì la parte il compositore si limitò ad alzare qua e là la tessitura. Ovviamente insoddisfatto, Rubini attese di essere libero dalla supervisione belliniana per inserire sua sponte “Il soave e bel contento”, famosa aria di baule di Pacini (un altro compositore che sarebbe tutto da rivalutare). Per la scelta del libretto è utile ricordare che Bellini aveva sicuramente assistito a Il solitario ed Elodia nel 1826 al San Carlo, su musica di Stefano Pavesi e parole di Andrea Leone Tottola, librettista di Adelson e Salvini. L’analogo francese di quest’opera, intitolato Le Solitaire, è invece frutto della penna di Charles-Victor Prévost, Vicomte d’Arlincourt, autore anche del dramma L’Etrangère che è proprio la base de La Straniera. L’opera, ben ponderata, ebbe grande successo alla Scala il 14 febbraio del 1829 e nel giro di pochissimi anni circolò in tutta Europa fino agli anni ’40 del 1800. Poi le riprese si fecero più sporadiche. Comunque significative le riprese nel ‘900. Componendo un’opera all’anno (contrariamente al più prolifico Donizetti) Bellini aveva tutto il tempo per studiare e calibrare con precisione tutti gli aspetti drammatici dei suoi libretti spesso scritti dal più raffinato dei librettisti Felice Romani il quale dedicandosi successivamente alla carriera giornalistica privò del suo genio Donizetti e i compositori a lui contemporanei. Concludiamo con questo la parentesi storica e filologica e veniamo alla nuova produzione dell’Opera di Zurigo.

Edita Gruberova era attesissima per quello che è l’ennesimo debutto della sua infinita carriera. Gran parte dell’interesse dedicato dagli zurighesi alla serata (teatro tutto esaurito) era certamente merito suo. La diva ha ovviamente preso per lei la parte della protagonista Alaide (in realtà Agnese di Merania) con notevole personalità anche se dobbiamo ammettere che l’intonazione generale non era spesso precisa e puntuale. Molte sono state le frasi che la Gruberova reinventava allargandole e infiorettandole con grande fantasia e amore per il cesello, ma scarsa filologia! Le due arie dei finali sono state giustamente l’acme dei due atti, con fraseggio drammatico che mano a mano portava a tempi più brevi dove gli acuti della prima donna svettavano su coro e i pertichini. Una prova, quella della Gruberova, certamente non esente da limiti (problemi nel duetto col tenore) e da eccesso di ambizioni, ma tutto sommato vincente se pensiamo alla capacità della soprano di evidenziare il pathos in questo succinto libretto. Solo la sua lunga esperienza sulle tavole dei teatri le ha permesso di mantenere la protagonista con presenza scenica vitale attraverso una specie di delirio dalla prima all’ultima nota.
Franco Vassallo ha impersonato il Barone di Valdeburgo, un ruolo molto ampliato da Romani rispetto l’originale francese. Due sono stati i momenti che la calda e morbida voce è riuscita a rendere memorabili: “Giovin rosa, il virgin seno” nel duetto con Isoletta e “Meco tu vieni o misera”, la lenta cabaletta all’inizio del secondo atto. Il suo è un ruolo piuttosto originale nella storia del melodramma: un fratello che tenta di proteggere a tutti i costi la sorella (Agnese-Alaide), un ruolo nobile cosi’ come era nobile la voce di Tamburini. E il baritono Vassallo non lo ha fatto certamente rimpiangere.
Veronica Simeoni, da noi sentita come Adalgisa a Torino, si è ritagliata un buon ruolo nello spettacolo anche se inevitabilmente sempre in ombra rispetto ai protagonisti. Sia nel duetto con Valdeburgo che nella sua lunga aria ha risolto con naturalezza una scrittura certamente non facile. E’ certamente artista da seguire.
Il fuoriclasse Gregory Kunde, previsto in cartellone fino all’ultimo, è stato malauguratamente sostituito dal pur bravo Dario Schmunck, che aveva inciso l’opera nel 2007 per Opera Rara (registrazione che consigliamo vivamente per l’integralità e l’ottima prova di Patrizia Ciofi). Il tenore è sembrato purtroppo affaticato fin dall’inizio della recita e scenicamente non incarnava certo un tenore romantico!
Fabio Luisi ha diretto con eleganza una splendida orchestra, rispettando molto le voci ed eseguendo l’opera nella sua integralità (fondamentali le riprese variate delle cabalette). Il coro di Jürg Hämmerli è risultato compatto e preciso, scolpendo i suoi brani di carattere senza alcuna sbavatura.

Decisamente statico e poco significativo l’allestimento scenico di Christof Loy, che riproponeva gli stessi elementi di legno per tutti e due gli atti. Non del tutto chiare le scelte meta-teatrali quali le corde da palcoscenico che cadevano dalla graticcia a terra nei momenti drammatici o il quadro naif che doveva rappresentare il lago (non certo romantico) attorno al quale si svolge la vicenda. Nel complesso, per quanto il libretto non offra enormi appigli drammaturgici, l’impressione è che si potesse certamente fare qualcosa di più. Quantomeno evitare inutili e squallidi riempitivi scenici quali il bambolotto della strega-straniera violentato da un corista o il surreale e ridicolo ingresso della Gruberova che, vestita da sposa con la corona in testa, pensa sia lei a doversi sposare con Arturo per poi scappare via appena il coro intona il nome di Isoletta.
Grandi applausi per tutti alla fine di questa première, con il pubblico zurighese in delirio soprattutto per le grande Edita.
Fabio Tranchida