Poesia di Luigi illica e Giuseppe Giacosa
usica di Giacomo Puccini

Cio-Cio-San Jennifer Rowley
SuzukiCaterina Piva
Kate PinkertonAlena Sautier
F. B. PinkertonMatteo Lippi
SharplessAlessandro Luongo
GoroManuel Pierattelli
Il Principe YamadoriPaolo Orecchia
Lo Zio BonzoLuciano Leoni
Il Commissario imperiale Claudio Ottino
L’ufficiale del registroFranco Rios Castro
YakusidéLuca Romano
La madre di Cio-Cio-SanDaniela Aloisi
La ziaLucia Scilipoti
La cuginaAdelaide Minnone

Maestro concertatore e direttore d’orchestra  Fabio Luisi
Regia e scene  Alvis Hermanis
Costumi  Kristìne Jurjàne
Coreografie  Alla Sigalova
Luci  Gleb Filshtinsky
Video  Ineta Sipunova
Allestimento della Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova

Orchestra, coro e tecnici dell’Opera Carlo Felice
Maestro del coro Claudio Marino Moretti

Balletto Fondazione Formazione Danza e Spettacolo “For Dance” ETS

Il M° Fabio Luisi – che curiosamente dirigeva un’opera di Puccini in Italia per la primissima volta – ci ha fatto desiderare, appena conclusa la rappresentazione, di riascoltarlo quanto prima alla conduzione di altre opere del Lucchese. Il livello manifestamente altissimo raggiunto dalla concertazione, e quindi dalla messa a punto della propria volontà interpretativa unita alla ragionata calibratura orchestrale, nei tempi e nei volumi, si è rispecchiato in una direzione chiarissima, limpida financo per chi osservava il gesto dal proprio posto, pulitissima ad ogni attacco, sempre netto e preciso, nonché esemplificativa di ciò che vuol dire aver compreso sino in fondo un testo musicale, ed esser capaci di restituirlo pienamente a orchestra e cantanti (senza scordare il pubblico!). Francamente chi scrive fatica non poco a trovare un’altra Butterfly, tra quelle ascoltate in teatro, così ineluttabile, così tragicamente segnata fin dall’inizio, tanto esemplare per la tornitura dei suoni, per l’accorta varietà dei tempi, sempre a servizio della teatralità, quanto emblematica per la chiarezza di intenti, costantemente volti ad esaltare il dramma, anche laddove in apparenza tace. Eccezionale, poi, il suono prodotto dall’orchestra del Carlo Felice, con un tappeto d’archi di puro velluto, ed atmosfere ora ombrose, ora luminose tra legni ed ottoni: la resa sonora non ha avuto la più minima sbavatura da nessuna parte, in una comunione d’intenti totale con Luisi. Comunione che ha visto il coro del teatro innalzarsi a livelli altissimi, per sfiorare il divino col fatidico coro a bocca chiusa, un sincero, e spietato, pianto dell’anima.


La compagnia cantante si è dimostrata complessivamente di livello più che buono, con punte di eccellenza. Jennifer Rowley, rara sui palchi nostrani, non la riascoltavo dalla molti anni, quando mi fece un’ottima impressione in un Trovatore fiorentino del 2018 (anche lì diretta da Luisi): la sua Butterfly, che per ovvie ragioni anagrafiche non può avvalersi dell’effetto fanciulla, ha dimostrato un bell’approfondimento del personaggio, non bambolina sempliciotta ma ragazza già donna, vittima di un amore idealizzato, con una centrata progressione verso la tragedia nel secondo e terzo atto. Vocalmente eccellenti i pianissimi, smorzati con solida perizia tecnica. Il registro medio-basso, di contro, è apparso meno sonoro, con parole a tratti inudibili. L’involo all’acuto, infine, si è dimostrato sicuro, pur con qualche rischio, sempre rientrato, nel sostenere la nota (il Re bemolle dell’ingresso non l’ha per nulla spaventata e ha ottenuto un effetto notevole). Bisogna comunque parlare di un successo personale invidiabile, praticamente da stadio.

Eccellente sotto ogni aspetto il Pinkerton di Matteo Lippi: che dire di più? Bel colore vocale, tecnica irreprensibile, acuti squillanti e sicuri, registro centrale corposo, emissione sempre rifinita, immedesimazione scenica esemplare. E infine caratterizzazione del personaggio riuscitissima, più orientata verso quella del giovane uomo alle prime armi – quasi non conscio del male che può fare – che verso lo spavaldo yankee senza cuore e pudore cui siamo abituati. Per lui grande successo.


Da manuale lo Sharpless di Alessandro Luongo: la vocalità è quella bella e raffinata che conosciamo, ma ogni volta che lo si ascolta ci par di cogliere qualcosa di nuovo, un’inflessione vocale diversa su quella data parola, un accento inedito, un gesto che umanizza sempre più la figura del console americano, l’uomo più uomo (nel senso di essere umano) tra tutti gli uomini dell’opera. Prevedibile per lui un bel successo personale.

Un portento la Suzuki di Caterina Piva: il giovane mezzosoprano è interprete ideale del ruolo, con una voce bella, piena, corposa, robusta, omogenea in ogni registro, pure tecnicamente inappuntabile. Ma il bello, quello vero, è l’umanità che spande, nel fraseggio, nella gestualità, nella sempre chiarissima espressività, anche vocale (quante Suzuki peccano in udibilità? Qui nulla di tutto ciò). Per lei un significativo successo.



Molto bene ha fatto Manuel Pierattelli come Goro; elegante il Principe Yamadori di Paolo Orecchia; tonante ed efficace lo zio Bonzo di Luciano Leoni. Di buon livello complessivo il Commissario imperiale di Claudio Ottino, l’ufficiale del registro di Franco Rios Castro, lo Yakusidé di Luca Romano, la madre di Cio-Cio-San, Daniela Aloisi, e la zia e la cugina, rispettivamente di Lucia Scilipoti ed Adelaide Minnone.

La regia è quella di Alvis Hermanis, che inaugurò la Scala nel 2016. Dal vivo l’effetto complessivo è molto meno bozzettistico o didascalico di quello che può sembrare a prima vista. Certo, alcune immagini proiettate sulle pareti scorrevoli che incorniciano l’azione rischiano di stuccare, ma i costumi  sono bellissimi, le scenografie pulite e rifinite, a volte perfino suggestive. Unica controindicazione: la struttura della scena schiaccia tutto e tutti verso il proscenio, perdendo in profondità e spessore (poco riuscita la resa dello sposalizio, col coro schierato ai lati, quasi immobile). Efficace il lavoro sui singoli, con interessanti intuizioni per Sharpless e Suzuki.

Mattia Marino Merlo20 gennaio 2024