Wagnerismi

CARL MARIA VON WEBER
Euryanthe Ouverture

RICHARD WAGNER
Wesendonck-Lieder
Idillio di Sigfrido

HECTOR BERLIOZ
La mort de Cléopâtre H. 36

Mezzosoprano Kate Aldrich

Direttore Riccardo Minasi
Orchestra dell’Opera Carlo Felice Genova

Tra le composizioni più importanti di Carl Maria von Weber si trovano Der Freishütz (1821), Euryanthe (1823) e Oberon (1826). Il libretto più compiuto è quello di Der Freishütz mentre Euryanthe soffre di un libretto farraginoso compilato da Helmina von Chézy. L’ouverture cita alcuni temi che ritroveremo poi nell’opera ambientata in una lontana Provenza medievale. La sinfonia ha un potente inizio e prosegue con un tema più meditativo per poi riprendere vigore. Riccardo Minasi ci consegna questo brano di apertura dell’opera con la ricchezza dei suoi cangianti colori. Gli ottoni rinforzano una orchestra potente e varia con interessanti progressioni armoniche.

 
Kate Aldrich, mezzosoprano che tanto avevamo apprezzato al ROF in Zelmira insieme a Florez, canta i noti e intimi Wesendonck Lieder composti da Wagner fra il 1857 e il 1858.  La poetessa Mathilde Wesendonck fece innamorare di sé il compositore tedesco che realizzò questo omaggio. I cinque Lieder per mezzosoprano vennero orchestrati solo in un secondo momento e sono Der Engel (L’angelo), Stehe still! (Fermati!), Im Treibhaus (In serra), Schmerzen (Il dolore), Träume (I sogni) l’ultimo il più famoso.
Il mezzosoprano Kate Aldrich affronta questi 5 brani caricandoli di pura tensione. La voce e misurata e solo in alcuni momenti si espande quando la poesia si fa più cocente. E’ una voce mezzosopranile abbastanza chiara che si sofferma ampliando alcune parole chiave. Nell’Angelo l’ultima frase è particolarmente intensa “ha condotto, lontano da ogni dolore, il mio spirito verso il cielo”. In Fermati! e In serra abbiamo un silenzio espressivo proprio prima dell’ultima frase di entrambi i brani. Ne Il dolore le trombe soliste hanno degli spazi per sottolineare alcune frasi poetiche.    
 
L’Idillio di Sigfrido fu composto nel 1870 da Wagner. Un regalo di compleanno un po’ speciale per la moglie Cosima: Sigfried è il loro figlio nato da pochi mesi. Certo il riferimento anche al Sigfrido della mitologia e della sua opera poiché vi sono alcuni riferimenti musicali alla Tetralogia.
Per l’esecuzione è necessario solo un piccolo ensemble poiché la composizione è una opera “familiare” da eseguire in un salotto “musicale” non in un grande teatro. Minasi tiene alta la tensione drammatica per tutti i 20 minuti del brano. L’orchestra di pochi elementi, cameristica, è precisa con i fiati protagonisti in delicati arabeschi.  

La mort de  Cléopâtre fu composta da Hector Berlioz per il Prix de Rome del 1829, il premio che permetteva di andare a studiare in Italia agli artisti francesi che dimostravano già delle buone qualità. Nonostante la bellezza di questa composizione Berlioz non vinse il Premio. Possiamo riconoscere nel brano tre ampie arie, due recitativi e due meditazioni. Cleopatra la regina dei Tolomei, greci che governano l’Egitto pensa ai suoi amori verso gli imperatori romani e sempre più presente si fa l’idea del suicidio con l’aspide. Particolarmente riuscita la meditazione «Grands Pharaons», dove Cleopatra parla ai Faraoni del passato con un linguaggio armonico complesso con corni e tromboni. Kate Aldrich ha successo anche in questo brano grazie ad una intensa prima aria, dove gli ottoni sottolineano la frase “Actium m’a livreée”. In “Moi! Qui du sein des mers” sentiamo le onde del mare in orchestra e poi gli acuti del mezzo soprano nel trionfo che conclude la prima aria. Nell’ultima aria in procinto di morire ecco il contrabbasso a sottolineare “un vil reptile” e il tremolo degli archi sempre più in piano che accompagna gli ultimi spasmi di morte.
Una serata con musica molto varia e di alta qualità, un programma originale che abbiamo molto apprezzato. Kate Aldrich non ha concesso nessun bis purtroppo, nonostante le richieste del pubblico, ma il giorno successivo l’abbiamo ritrovata tra il pubblico della Beatrice di Tenda di cui vi abbiamo già raccontato.

Fabio Tranchida