Libretto di Francesco Maria Piave e Andrea Maffei
Musica di Giuseppe Verdi

MacbethAmartuvshin Enkhbat
BancoJongmin Park
Lady MacbethAnna Netrebko
Dama di Lady MacbethMarily Santoro
MacduffGiorgio Berrugi
MalcolmJinxu Xiahou
MedicoAndrea Pellegrini
DomesticoLeonardo Galeazzi
Araldo / Prima apparizioneCostantino Finucci
DirettoreGIAMPAOLO BISANTI
RegiaDAVIDE LIVERMORE
SceneGIÒ FORMA
CostumiGIANLUCA FALASCHI
LuciANTONIO CASTRO
CoreografiaDANIEL EZRALOW
VideoD-WOK
Effetti magiciEDOARDO PECAR

Produzione Teatro alla Scala
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala

Un primo, infernale rumore, uno scroscio come di cocci e soprammobili rotti, poi la gigantesca, opulenta, iperdettagliata scena di Livermore & Co. si blocca: non può più scendere né salire, direbbe il nostro Aldo Baglio, seriamente preoccupato. Macbeth, interdetto, ha appena ucciso Duncano, la Lady incalza imperterrita il marito tremebondo, si appresta a riportare l’arma sulla scena del crimine, eppure i continui sali e scendi scenografici, d’impatto quanto si vuole, sembrano proprio remare contro i delittuosi piani della coppia terribile. Silenzio! Pare che l’enorme ed ora meno rumorosa pedana abbia ripreso il suo moto verso il basso, s’intravvede il Re assassinato, ci siamo quasi, ormai è fatta. No. Secondo clangore demoniaco, di meccanismi inceppati, se non addirittura fracassati: Duncano, di spalle, disperso su una poltrona, non è sceso a livello dei due consorti, e la scena resta sospesa da terra in misura decisamente abbondante, e tuttavia surreale. Anna Netrebko che sino ad allora è stata artista, assieme ad Amartuvshin Enkhbat che sino a quel momento è stato pure lui artista, compie un balzo ferino verso Duncano, impugnando la spada, e volgendo a suo favore il gradone tra lei e il cadavere abbandonato. Poi Amartuvshin si alza, le dà il braccio, dimesso e sempre in parte, per farla scendere in sicurezza, ed entrambi concludono una mezz’ora di disagi, paure, scossoni, occhiate al direttore, come se tutto ciò fosse stato scritto, mettendo il punto fermo a una sorta di lectio magistralis sull’improvvisazione, sull’adattamento e su cosa voglia davvero significare la frase “Ecco un artista!”. Il resto della serata è un tripudio di godimento uditivo e visivo: grande, grandissimo peccato, certo, che la Netrebko non si presenti per l’ultima sezione dei ballabili, a dirigere il gruppo di ministri infernali, ma la “sua” scena del sonnambulismo, lucidamente folle, continua a non avere eguali nel mondo, almeno oggi, con un’attenzione alla parola e al canto tremenda, da costringerci a guardare le nostre mani per vedere se sono anch’esse lorde di sangue. Va detto, poi, che l’idea di Livermore, di sospenderla in trance sul cornicione di un altissimo palazzo, impressiona non poco, e spaventa positivamente la nonchalance con cui lei si sporge, guarda giù impavida (e pazza) a diversi metri da terra, emette note sul filo del baratro, vertiginose tanto quanto l’altezza che deve sopportare.

Così l’Anna ci travolge e domina irrimediabilmente. Altrettanto disarmante e dominante è l’aristocrazia del canto di Amartuvshin, al suo debutto assoluto nel ruolo di Macbeth: la linea di canto immacolata, nobile “quale un re si merta”, è la chiave di volta per la sua interpretazione, più rosa e sibilante di quanto mi aspettassi, sia nei gesti che nei suoni. Siamo sempre stati abituati al suo proverbiale volume, estesissimo, ma qui il primo atto è tutto calibrato su sussurri, pianissimi, parole a fior di labbra, che si ripetono nel corso di tutta la recita: Macbeth è un nobile, un generale, ma è anche un uomo pieno di paura e dubbi, violento sì, ma signorile, e forse meno diabolico, specialmente nella voce, di quanto si possa credere. Abituati a celeberrimi timbri, di violenta e bellissima cattiveria, ascoltare un Macbetto così “altolocato”, così elegante, fa forse ancora più paura, talmente è ben contrapposto alla malignità spumeggiante della Lady Netrebko. Infine, il Nostro ha chiuso con un “Mal per me che m’affidai” vocalmente sporcato, di sangue e di dolore da pelle d’oca, facendomi pensare: “Ma senti, sa anche cantare -male-” (e smettiamola, vi prego, con la storia che non “recita”: mica bisogna sempre correre, tirar strattoni, fare sberci o strabuzzare occhi per dire di aver recitato). Un debutto, il suo, che lascia il sicuro presagio di un ennesimo ed amplificato piacere a riascoltarlo in Macbeth.


Menzioni d’onore per Jongmin Park, Banco scurissimo, tenebrosissimo, vocalmente ineccepibile, che continua a farmi credere in una peculiare “assicurazione vocale” dei coreani, applicata ad ogni recita cui prendono parte: cantano sempre bene, spesso benissimo, e interpretano con volontà e risultati in più di un caso ottimi; altra menzione onorevole per la Dama di Marily Santoro, fresca, generosissima nel sostenere la scena e nel rinforzare la drammaticità dell’opera con puntature inappuntabili. Ottima, a coronare la serata, la direzione equilibrata, più nei ritmi che nei volumi (per cui il favoloso coro talvolta esondava sull’altrettanto favolosa orchestra) di Giampaolo Bisanti; innanzitutto una sicurezza nel condurre i cantanti da far paura a noi ma rassicurare loro, sia nei suddetti momenti di crisi scenica, che in un altrettanto “caso strano”: qualche battuta prima di “Patria oppressa”, il maestro ha dovuto cambiare il tomo della partitura, trovandosi di fatti costretto (forse), per via dei tempi stretti, a dirigere a memoria l’introduzione e il coro stesso, riaprendolo successivamente e riaffidandosi al rigo scritto. Una chicca mica da ridere, per un’esecuzione, tra l’altro, ad alto impatto emozionale. Meravigliosi senza se o ma i ballabili, e sopratutto l’atmosfera da incubo che è riuscito a creare sin dall’inizio, senza per questo forzare ritmi, suoni o rendere horror una partitura che è nobiltà traviata e distorta, piuttosto che violenza sanguigna fine a se stessa. Che dire di più: successo grandioso per i due protagonisti, con un’Anna finale, “discinta e scalza”, che ci saluta con piroette e baci calorosi.

Mattia Marino Merlo – Teatro alla Scala, 29 giugno 2023