Prima assoluta 3 gennaio 1722
Teatro dei Fiorentini, Napoli

 Libretto di Bernardo Saddumene
 Musica di Leonardo Vinci

Carlo CelminoFrancesca Aspromonte
Belluccia MarianoChiara Amarù
CiommaPalummoFrancesca Pia Vitale
Federico MarianoFilippo Morace
Titta CastagnaFilippo Mineccia
Meneca VernilloAlberto Allegrezza
CiccarielloRaffaele Pe
RapistoMarco Filippo Romano
Col’AgnoloAntonino Siragusa
Na schiavottellaFan Zhou

Nuova produzione Teatro alla Scala
Orchestra del Teatro alla Scala su strumenti storici

DirettoreAndrea Marcon
RegiaLeo Muscato
Scene Federica Parolini
CostumiSilvia Aymonino
LuciAlessandro Verazzi

Imperdibile, in una parola, questa rappresentazione che ha raccolto il consenso universale del pubblico: ha convinto appieno coloro che già conoscono e apprezzano il periodo Barocco e si è reso uno spettacolo godibilissimo anche per le orecchie dei più Romantici.

Meritevole di lode la regia di Leo Muscato, che frammenta interni ed esterni di un’abitazione e tiene in movimento costante le varie parti: sono garantiti così frequentissimi cambi di scena che vivacizzano l’azione e rendono anche visivamente la vitalità della commedia.

I quattro protagonisti si muovono con esperienza ed efficacia: Francesca Aspromonte (Carlo), che ricordiamo ancora per la sua Angelica (Orlando Furioso, A. Vivaldi, Venezia, 2018), veste adeguatamente i panni del soldato sbruffone e come lei Filippo Mineccia (Titta), professionista che riesce a evitare di sovraccaricare di languore uno degli unici personaggi di stampo serio. Accanto a loro le due primedonne: Chiara Amarù (Belluccia/Peppariello) possiede un timbro caldo e possente e si rende credibilissima nei suoi fallaci abiti virili e ottima prova la dà Francesca Pia Vitale, dalla voce amabile e squillante, soprattutto nelle due arie “Da me che buo’ se sa” e “Negramene so’ ncappata” dalle quali emerge una buona agilità verso l’acuto.

Per il ruolo della vecchia Meneca, madre di Titta, è stato fatto affidamento su uno specialista del carattere, tanto in voga nei primi secoli del genere, del tenore che interpreta il personaggio, solitamente secondario, della donna anziana, della nutrice, della balia, dell’amica e confidente della primadonna: la scelta non poteva non ricadere su Alberto Allegrezza, che non solo può vantare un curriculum amplissimo in questa direzione ma aggiunge alle doti canori e attoriali anche l’abilità di strumentista – dimostrata anche durata serata di nostro interesse. Seguiamo la sua brillante carriera e in particolare le sue costanti apparizioni al Festival di Innsbruck.

Nei panni del giovanissimo Ciccariello, scugnizzo locale e garzone del barbiere Col’Agnolo, apprezziamo il grandissimo Raffaele Pe, che conosciamo e apprezziamo in ruoli solitamente seri; fra tutti è forse il cantante a cui è stata richiesta il maggiore sforzo fisico e questi non delude, regalandoci un monello che si esprime con una voce chiara e con una napoletanissima gestualità alla Pulcinella. Nell’ultimo atto una ulteriore trasformazione in una spiritosa bambina, che interpreta inginocchiato insieme a Rapisto. Raffaele Pe è in questa produzione un vero pulcinella. La voce ha un bel contrasto rispetto a Mineccia e i due controtenori affrontano personaggi opposti.

Le lodi si sprecano per i due professionisti Antonino Siragusa (Col’Agnolo) e Marco Filippo Romano (Rapisto): qui il primo si libera per una volta del manto d’asino di cui si vede spesso rivestito (ci teniamo a ricordare il più recente esempio del ghignante Iago nel meraviglioso Otello offertoci dal ROF 2022) e ricopre finalmente un ruolo buffo. Romano ha delle scene in una tipica cucina campana e il suo canto è effervescente e pieno di giusti accenti. Uno spasso vederlo agire e cantare.

Puntualissimi i tre personaggi che compaiono, purtroppo, solo nel terzo atto: Filippo Morace (Capitano Federico Mariano) è un altro professionista che non delude mai, apprezzatissima la voce potente del baritono Matìas Moncada (Assan) e un plauso particolare merita Fan Zhou (na Schiavottella), solista dell’Accademia del Teatro alla Scala che abbiamo già apprezzato come Elisetta ne Il matrimonio segreto di Cimarosa (La Scala, Milano, 2022) e in Chiara e Serafina (Bergamo, 2022) e che ci auguriamo di rivedere al più presto.

Rinnoviamo il nostro dovuto ringraziamento al Teatro alla Scala di Milano – in particolare al direttore, il Maestro Andrea Marcon – per il lavoro di ricerca e a tutti quei teatri che serbano uno spazio della loro programmazione alla riscoperta di opere incognite, molto spesso illuminanti rivelazioni come è accaduto per la Calisto di Francesco Cavalli nel 2021. Abbiamo da poco recensito il Giustino di Marcon a Basilea e potete leggere l’articolo su queste pagine.

In attesa di più precise indicazioni biografiche [1] ci accontentiamo di ritenere che Leonardo Vinci sia nato a Strongoli, in provincia di Crotone tra il 1690 e il 1696 e che sia morto a Napoli nel 1730.

Vinci «studiò la musica in Napoli nel Conservatorio de’ Poveri di Gesù Cristo sotto la scuola di Gaetano Greco» [2], indi si vede “maestro di cappella della casa del principe di S. Severo” [3], presumibilmente intorno al 1719. In questo anno esordisce con Lo cecato fauzo (libretto attribuito ad Aniello Piscopo) e con Le ddoje lettere (libretto di Angelo Birini), due commedie che gli aprono il Teatro dei Fiorentini a cui dona, in media, due opere all’anno fino al 1723. Nel novembre del 1722 produce la prima opera seria, il Publio Cornelio Scipione (libretto di Antonio Salvi e Agostino Piovene rivisto da Bernardo Saddumene), il cui successo determina la svolta verso il dramma serio.

Alla morte di Alessandro Scarlatti (Palermo, 1660 – Napoli, 1725) Vinci è nominato <<pro-vice maestro della cappella reale>>, con Francesco Mancini come maestro e Domenico Sarro come vice. In queste vesti produce tre opere per tre città diverse in soli tre mesi: Astianatte (Antonio Salvi, Napoli), Didone abbandonata (Roma) e Siroe re di Persia (Venezia).

Gli ultimi due titoli vedono nascere la collaborazione con l’astro nascente del melodramma serio Pietro Trapassi, detto Metastasio.

Questi donerà a Vinci e ai compositori del tempo – e non solo – capolavori come il Catone in Utica e la Semiramide riconosciuta e sarà sul campo di battaglia poetico da lui creato che Vinci avrà modo di contrastare con un suo antico rivale.

Nel 1726, infatti, si riaccende la rivalità con Nicola (Antonio Giacinto) Porpora (Napoli, 1686 – ivi, 1768) quando a Vinci viene commissionata l’opera per il Carnevale di Venezia (e si presenta con il Siroe) e a Porpora per il Carnevale di Roma nell’anno seguente.

Nel 1729 entrambi i compositori producono una Semiramide riconosciuta (Vinci per Roma, Porpora per Venezia) e si vedono fronteggiare persino nella stessa città presso due teatri rivali (Vinci al delle Dame e Porpora al Capranica, Roma).

Per il teatro delle Dame compone la serenata La contesa de’ numi e i suoi ultimi due drammi, Alessandro nelle Indie e soprattutto il suo grande capolavoro, Artaserse, titolo acclamatissimo anche dal pubblico d’oltralpe.

Muore il 27 maggio 1730, da poco rientrato in Napoli, in circostanze dubbie.

            Nessuna informazione, purtroppo, è stata da noi ritrovata sul poeta Bernardo Saddumene, di cui possiamo solo riportare i titoli dei libretti reperti.

Questa lista (in cui riportansianno – titolo dell’opera – compositore – teatro della prima rappresentazione) si vedrà suddivisa nelle tre categorie deli libretti composti: se per commedie per musica si possono intendere classiche opere in lingua italiana in cui intervengono personaggi che cantano in napoletano (alla stregua del rossiniano don Pomponio Storione ne La gazzetta), sono commedeje pe mmusica e chelletenapolitane opere interamente in lingua napoletana.

Ne Li zite, infatti, l’intero testo è in lingua napoletana e l’italiano appare come una citazione a un mondo teatrale altro nell’aria del Capitano “Or più non mi fan guerra”.

Commedeja

1721 – Don Cicco – Leonardo Vinci – Triato de li Sciorentine

1722 – La noce de Veneviento– ? – Triato de li Sciorentine

1724 – Lo simmele – Antonio Orefece – Teatro nuovo de Montecalvario

1725 – La vecchia sorda – Riccardo Broschi, dittoFarinielloTriato de li Sciorentine

             Lo finto Laccheo – Giuseppe de Majo – Triato de li Sciorentine

1726 – La paglietta geluso– Rocco Longo – Triato de li Sciorentine

1732 – Li marite a forza – Gaetano Latilla – Triato de li Sciorentine

Chelleta

1731 – Le zitelle de lo Vommaro– Pietro Pulli – Triato de li Sciorentine

La Rina – Nicola Pisano – Triato de li Sciorentine

La marina de Chiaja– Pietro Pulli – Triato de li Sciorentine

1740 – La taverna de Mostaccio – Pietro Pulli – Triato de li Sciorentine

Commedia

1729 – La sorella amante – ? – Teatro nuovo

La costanza – Giovanni Fischetti – Sala de’ Signori Capranica

1730 – L’Oronte, overo il Custode di se stesso – Giuseppe Sellitto – Teatro de’ Fiorentini

La Rosmene– Leonardo Leo – Teatro nuovo sopra Toledo

[1] Kurt S. Markstrom, Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 99 (2020)

[2] Sigismondo, Apoteosi della musica del Regno di Napoli (1820), a cura di C. Bacciagaluppi, G. Giovani, R. Mellace (Roma 2016)

[3] Magaudda – Costantini, sub 25 aprile 1719 (2009)

Trama

            La scena è in Vietri sul mare.

Il gentiluomo salernitano Carlo Celmino (soprano) abbandona a Sorrento Belluccia Mariano (soprano) e, ritrovatosi in Napoli, si invaghisce di Ciomma “Ciommetella” Palumbo (soprano); questa, a sua volta, è già oggetto delle attenzioni sia di Titta Castagna (contralto), figlio di una vecchia parente di Ciomma stessa, Meneca Vernillo (tenore), che di Col’Agnolo, barbiere (tenore).

L’atto I si basa proprio su questa serie di amori rifiutati: Ciomma rifiuta Carlo di fronte a Col’Agnolo e al di lui garzone Ciccariello (soprano), Belluccia/Peppariello rifiuta Ciomma tramite il barbiere (“E Ciomma vo’ ‘no frutto / ch’io no le pozzo dà”), Titta intende da Carlo di essere rifiutato da Ciomma (“Tu dimme si nc’è stato / core cchiù disperato / de sto mio”); Col’Agnolo si dichiara inutilmente e ci si approssima al finale a cinque tramite una rinnovata dichiarazione di disgusto di Ciomma per Carlo (“Da che buo’ se sa: / si’propejo ‘no pezzente”).

L’Atto II, invece, sembra voler volgere l’azione su un piano più prettamente buffo con le scaramucce fra Ciccariello, Rapisto (basso), garzone di Meneca, Col’Agnolo e Meneca stessa: la scompetura[fine] dell’atto secunnoè anticipata proprio da costoro che bisticciano (Rapisto e Meneca: “Mo te voglio fa vedé!” ;Col’Agnolo e Ciccariello: “Che buo’ fare? Tè, tè, tè!”).

Frattanto si sviluppa anche la vicenda del triangolo amoroso dei protagonisti che culminerà nel terzetto “Fortuna cana, oh dio”: Carlo si dispera per Ciomma (“Vi’ che teranna, che ‘ngannatore! / Viene, me scanna! Scippa sto core!”), questa è indispettita per l’indifferenza di Peppariello e l’insistenza degli altri pretendenti e Belluccia, ancora travestita, pretende invano soddisfazione da Carlo (“Bella risposta, sgrato! … Addo’ so’ le mpromesse? / Addo’ la fede? Addo’ li juramiente? / Omino senza parola, ommo de niente!”).

Nell’Atto III la vicenda prosegue sull’onda dell’atto precedente: Belluccia rimprovera Carlo nel duetto “Che buo’? Che spera?” e Ciomma fa la civetta con Col’Agnolo, Titta e Carlo (“Nuje femmine simmo / ‘mparateacossì”).

Finalmente, e tutto nell’ultima scena, il Capitano di galera Federico Mariano (basso) – unico personaggio che parla in toscano – e il servo Assan (basso) irrompono e ristabiliscono l’ordine. Il Capitano entra in scena e s’infiamma di sdegno e senza ascoltar ragioni condanna a morte sia Carlo che ha abbandonato sua figlia sia la stessa Belluccia, scoperta disonorata (a Belluccia: … Indegna! /  Mia vergogna e rossor! Tu in queste arene / sott’abito viril? … a Carlo: Ah traditor! Tu ancora / pagar dovrai de’ tuoi misfatti il fio!”). Subito, però, intervengono Col’Agnolo, Meneca e la stessa Belluccia che lo inteneriscono: il Capitano si risolve, quindi, a riportare la coppia con sé di fronte agli abitanti del posto che li salutano festosamente (Col’Agnolo: “Nceresterràccà sempre la memoria / de li zite ‘n galera”).

Numeri musicali

Atto Primo

1. Canzone (Ciccariello) Vorriaaddeventaresorecillo

            [endecasillabi]

2. Aria (Ciomma) Va dille ch’è no sgrato

            [settenari]

3. Aria (Belluccia) So sciore – senz’addore

            [settenari]

4. Aria (Carlo) Mme sento allegrolillo

            [settenari/quinario finale]

5. Aria (Titta) Ammore, dimme tu

            [settenari/quadrisillabo finale]

6. Aria (Rapisto) A lo tiempo, che simm’oje

            [ottonari]

5. Aria (Col’Agnolo) N’ommo attempato

            [quinari]

7. Aria (Meneco) L’ommo è commo ‘no piezzo de pane

            [decasillabi]

8. Aria (Ciccariello) Sa comm’è no peccerillo

            [ottonari]

9. Cavatina (Belluccia) T’aggio mmideja bello auciello!

            [ottonari]

10. Aria (Belluccia) Da che spontachisto sole

            [ottonari]

11. Aria (Ciomma) Da che buo’ se sa

            [settenari]

12. Aria (Carlo) Si ll’armedesperate

            [settenari]

13. Quintetto (Meneca, Rapisto, Col’Agnolo, Ciomma, Ciccariello) Vi’ che lazzaro ‘mbroglione!

            [ottonari]

Atto Secondo

14. Aria (Carlo) Vi’ che teranna! Che ‘ngannatore!

            [doppi quinari]

15. Aria (Ciccariello) Sì masto mio

            [quinari]

16. Aria (Rapisto) Quando siete a nafemmena dire

            [decasillabi]

17. Aria (Meneco) Negre chelle che stanno soggette

            [decasillabi]

18. Aria (Titta) Oh Dio, pecché, pecché?

            [settenari]

19. Aria (Col’Agnolo) Nenna mia, non sajecall’ommo

            [ottonari]

20. Aria (Ciomma) Negra mene so’ ‘ncappata

            [ottonari]

21. Aria (Belluccia) Ncoccia lo cacciatore

            [settenari]

22. Terzetto (Belluccia, Carlo, Ciomma) Fortuna cana, o dio

            [settenari]

23. Quartetto (Meneca, Col’Agnolo, Ciccariello, Rapisto) Vi’ che masto! Che guarzone!

            [ottonari]

Atto Terzo

24. Duetto (Carlo, Belluccia) Che buo’? Che spera?

            [quinari]

25. Marcia e Aria (Capitano) Or più non mi fa guerra

            [settenari]

26. Aria (Ciccariello) Na femmena ch’è bella

            [settenari]

27. Duetto (Ciccariello, Rapisto) Core mio carillocarillo

            [senari]

28. Aria (Ciomma) Nujefemmenesimmo

            [senari]

29. Aria (Col’Agnolo) Commequanno è notte scura

            [ottonari]

30. Aria (Carlo) Lo saccio ch’è pazzia

            [settenari]

31. Aria (Belluccia) Si canoscissevo

             [quinari]

32. Duetto (Assan, Col’Agnolo) Signura mia

            [quinari]

33. Aria (Titta) Mo’ è tiempoCiomma mia

            [settenari]

34. Aria (Schiavottella) Che piacer che sente l’alma

            [ottonari]

35. Aria (Carlo) Sì, dateme la morte

            [settenari, quinario finale]

36. Coro (Tutti) Dapo’ tanta, e tanta pene

            [ottonari]

4 aprile 2023

Teatro alla Scala, Milano

Matteo Oscar Poccioni

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