Opera fantastica in un prologo,quattro atti e un epilogo
Libretto di Jules Barbier, da un dramma di Michel Carré
Musica di Jacques Offenbach
Olympia | Federica Guida |
Giulietta | Francesca Di Sauro |
Antonia | Eleonora Buratto |
Stella | Greta Doveri |
Hoffmann | Vittorio Grigolo |
Lindorf/Coppelius/Dottor Miracle/Dapertutto | Luca Pisaroni |
Nicklausse/La Muse | Marina Viotti |
Hermann/Schlemil | Hugo Laporte |
Andrés/Cochenille/Frantz /Pitichinacchio | François Piolino |
Luther / Crespel | Alfonso Antoniozzi |
Spalanzani | Yann Beuron |
Nathanael | Néstor Galván |
Un voix | Alberto Rota |
Direttore | Frédéric Chaslin |
Regia | Davide Livermore |
Scene | Giò Forma |
Ombre | Controluce Teatro d’Ombre |
Costumi | Gianluca Falaschi |
Luci | Antonio Castro |
Nuova produzione Teatro alla Scala
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Il 10 febbraio del 1881 Les contes d’Hoffmann furono rappresentati all’Opéra Comique di Parigi. Offenbach, purtroppo non fece a tempo a vedere la sua ultima creatura, da quattro mesi era salito al cielo. Il compositore di Colonia pensava a questa opera da una decina d’anni ecco perché ne è nato un capolavoro nonostante i mesi di difficile gestazione e l’affanno ultimo nella composizione. Léon Carvalho, impresario del teatro, approfittò della morte del compositore per fare orrendi tagli e modifiche, eliminando tra l’altro l’atto di Venezia, con la complicità di Ernest Guiraud che operò in maniera troppo disinvolta sulla partitura. Si pensava che Offenbach avesse lasciato notevoli lacune, invece le tante scoperte della seconda metà del ‘900 hanno permesso di ricostruire quasi tutta la partitura e soprattutto restituirci integrale l’atto di Venezia, quello che aveva subito più sconvolgimenti. Offenbach ci consegna un lavoro completo al 95% con molti brani alternativi che l’edizione critica di Jean-Christophe Keck ci permette di eseguire. Un lavoro complesso e oneroso che Keck, massimo esperto e collezionista di Offenbach, realizza con particolare amore. Keck è costretto dal suo editore a collaborare con Micheal Kaye e ciò porterà ad uno stallo nella pubblicazione della partitura e del canto e piano non ancora disponibile al pubblico ma disponibile a noleggio per i teatri che intendono utilizzare l’edizione critica.

Ernest Guiraud aveva rimaneggiato la Carmen di Bizet, e poi pose mano a Les contes e ancora oggi ascoltiamo le sue manomissioni e i suoi tagli poiché il direttore Frédéric Chaslin, per stupide ragioni espresse in una intervista alla Scala, non utilizza la Edizione Critica di Keck, dicendo che non è affidabile ed ha errori armonici! Farneticazioni. Kent Nagano e Marc Minkovski ne hanno tratto sublimi edizioni di riferimento e Chaslin ci fa ritornare all’età della pietra con la sua boria accompagnata da una esecuzione che definire bandistica è un eufemismo. Una orchestra rumorosa e fracassona lontana anni luce dalla grazia e sensibilità di Offenbach, purtroppo spesso maltrattato. Offenbach scrisse per la sua ultima opera una quantità di musica enorme, ma sempre faceva così, e poi da bravo sarto adattava il tutto spesso durante le ultime prove. Le varie ‘Edizioni Keck’ delle altre opere del compositore di Colonia hanno sempre restituito decine di minuti di musica mai ascoltata come nella mitica Grande-Duchesse de Gérolstein.
Nel 1879 Offenbach presentò in un concerto privato la sua ultima fatica e tra gli invitati c’era logicamente l’impresario Carvalho. Le quattro donne amate da Hoffmann dovevano essere affidate alla stessa cantante nelle intenzioni del compositore. La scoperta in tempi recenti dell’aria di Giulietta l’avvicina alla coloratura di Olympia. Antonia secondo noi comunque ha una altra vocalità, più lirica e drammatica. Le tre donne sono “trois âmes dans une seule âme”. Il basso invece senza problemi affronta i 4 ruoli diabolici Lindorf (Atto I e Epilogo), Coppélius (II Atto), Docteur Miracle (III Atto) e Dapertutto (IV Atto).
I racconti del titolo sono di un romanziere tedesco (anche se la sua città natale ora è in Russia), E. T. A. Hoffmann, che nell’Ottocento inventò il genere del macabro, dell’alchemico del fantastico. Hoffmann era anche compositore e scrisse 15 opere di cui la più famosa resta Undine. La canzone del primo Atto dedicata a Kleinzach, cioè Piccolo Zaccheo, è tratta da un racconto che era già stato sviluppato da Offenbach ne Le roi carotte.
Altri racconti trasformati dal librettista in atti veri e propri sono Der Sandmann (in italiano, L’uomo della sabbia), il primo racconto dei Notturni (1817); Il racconto è portato ad esempio nel saggio Il perturbante di Sigmund Freud e ha ispirato anche il balletto Coppélia di Léo Delibes. Altro racconto è Rath Krespel ( Il consigliere Krespel), tratto dalla prima parte de I confratelli di Serapione (1819); tragica storia d’amore per la cantante Antonia. Atto IV si ispira a Abenteuer in der Silvesternacht (Le avventure della notte di San Silvestro), estratto dalle Fantasie alla maniera di Jacques Callot (1814) in particolare dal quarto capitolo: La storia del riflesso perduto (Die Geschichte vom verlorenen Spiegelbild). Pittichinaccio, spasimante di Giulietta è ispirato all’omonimo personaggio del racconto Signor Formica (I confratelli di Serapione, quarta parte).

Davide Livermore è la persona giusta per creare automi, sortilegi diabolici e notti veneziane grazie ai suoi scenografi del gruppo Giò Forma. Ma stavolta sono la luce e l’ombra le vere protagoniste grazie a Controluce Teatro d’Ombre che saturano ogni momento dell’opera con proiezioni davvero interessanti e varie. Le luci sono di Antonio Castro e deve aver faticato non poco a creare un mondo fantasmagorico. L’atto di Venezia è iniziato con la proiezione delle onde sul soffitto della Scala con un enorme telo nero verdastro sulle teste degli spettatori della platea per pochi secondi ad imitare il moto della laguna di Venezia. Un ottimo effetto percepibile da ogni spettatore del teatro. Livermore decide di iniziare l’opera con il suicidio di Hoffmann e la sua veglia funebre con la musa trasformata in statua monumentale che veglia sulla bara aperta. Hoffmann ha un suo doppio che confonde un po’ gli spettatori alla prima visione della messa in scena. La sua macchina da scrivere ad un certo momento prende fuoco con un bell’effetto. Soprattutto nei primi 2 atti vengono offerti al pubblico brevi parlati. Superbi i costumi di Gianluca Falaschi, che ha anche avuto esperienze recenti come regista. I costumi elegantissimi ci trasportano tra le due guerre, una eleganza decò, anni ’20, anni ’30. Soprattutto nelle 3 amanti (escludiamo la bambola) Falaschi si sbizzarrisce con abiti di alta sartoria con un tocco fantasioso.

Vittorio Grigolo, tenore aretino, ha grande carisma ed è un vero protagonista. Il suo impegno vocale è assoluto, allarga le frasi e i suoi acuti sono tenuti oltre il normale quasi a chiedere un applauso anche a metà di una aria, cosa che in effetti avviene. Gli effetti onomatopeici di Kleinzach sono molto enfatizzati, i duetti d’amore con Antonia e con Giulietta (in parte tagliato) sono al calor bianco. Il brindisi dopo la barcarola, sebbene privato di una strofa, porta ad un sonoro applauso. Grigolo per 3 ore e 40 minuti canta sempre sfogato, con particolare intensità.
Federica Guida è una brava bambola, con una coloratura precisa e fosforescente. Bella l’idea del regista di trasformarla in una automa a sei pezzi, con i pezzi indipendenti tra loro. Buona la coloratura anche nel valzer successivo all’aria. Qui la bambola sembra ribellarsi al proprio creatore e impugna una pistola. Ma lei avrà vita breve distrutta da Coppélius. Eleonora Buratto è la migliore tra le donne creando una Antonia di raro patetismo partendo dalla sua aria della tortorella, fino al duetto con Hoffmann e al magnifico terzetto con la voce materna che la invita a cantare fino allo sfinimento. Francesca Di Sauro è una interessante Giulietta apprezzabile nella barcarola ma che non può cantare la sua aria a causa delle scelte scellerate del direttore d’orchestra. E’ impegnata anche nella voce della madre di Antonia. Luca Pisaroni è valido nei quattro personaggi diabolici: talvolta non ha la morbidezza che ci potremmo aspettare ma le dote attoriali e gli accenti marcati disegnano un personaggio elegante e luciferino.
Nicklausse/La Muse è la bravissima Marina Viotti, sorella del fascinoso direttore d’orchestra Lorenzo Viotti. L’aria nel prologo è sviluppata con precisione e le arie del fido amico di Hoffmann sono sempre molte espressive sfruttando il timbro ambrato della Viotti. Una aria è introdotta da un intervento di Nicklausse al microfono con pianoforte come una aria da cafè chantant: un effetto straniante e riuscito. L’aria col violino concertante vibra di bell’effetto.

Andrés/Cochenille/Frantz/Pitichinacchio sono in mano al divertentissimo François Piolino, che non canta, ma agisce, stupisce, con le pronunce spezzate, gli acuti sbagliati apposta, i ruzzoloni e il suo aspetto en travesti in tutti e 4 i ruoli che ne aumenta le potenzialità comiche: bravissimo e esilarante! Luther e Crespel sono il grande ritorno di Alfonso Antoniozzi, cantante e anche ballerino in questa produzione. Lo ricordiamo con affetto negli anni ’90 all’epoca Muti quando partecipava a molte produzioni scaligere. Negli ultimi anni si è dedicato più alla regia ma stasera ha dimostrato di avere ancora tanta verve nel canto e ha ballato mentre il piumino di Andrés faceva l’effetto tutù di piume come nella morte del cigno! Spassoso.
Plaudiamo quindi al cast vocale, e elogiamo la ipertrofica regia di Livermore che necessita almeno tre visioni per essere compresa. Non accettiamo la scelta del direttore d’orchestra che non permette al pubblico della Scala di ascoltare la partitura originale come pensata e redatta dal grande Jacques Offenbach che con 120 lavori teatrali è tra i massimi e più prolifici compositori di opere, operette, opere buffe, opere romantiche, ed opéra-féerie. Un compositore universale, un iceberg, poiché gran parte della sua produzione è ancora sommersa, ma in Francia e Germania sono molti i titoli che vengono eseguiti e scoperti in questi ultimi decenni, da Le roi carotte al Voyage dans la lune, dal Barbe-blue a Coscoletto. Molto resta ancora da fare e noi saremo sempre pronti ad accogliere i nuovi parti: a breve uscirà il doppio CD de La princesse de Trebizonde per l’editore musicale Operara nella versione critica di Keck con una decina di appendici dei brani alternativi: così si fa!
Fabio Tranchida
Ciao Fabio, visto che hai parlato del Trillo Parlante, ecco fatto…bell’articolo…e bella la Gita di oggi
Grazie a te!