Dramma in cinque atti
Libretto di Eugène Scribe e Charles Duveyrier
Traduzione di Ettore Caimi
Musica di Giuseppe Verdi 

CAST
Guido di MonforteLuca Micheletti
Il signore di BethuneAndrea Pellegrini
Il conte VaudemontAdriano Gramigni
ArrigoPiero Pretti
Giovanni da ProcidaSimon Lim
La duchessa ElenaMarina Rebeka
NinettaValentina Pluzhnikova
DanieliGiorgio Misseri
TebaldoBryan Avila Martinez
RobertoChristian Federici
ManfredoAndrea Tanzillo
DirettoreFabio Luisi
Regia, scene e costumiHugo De Ana
LuciVinicio Cheli
CoreografiaLeda Lojodice

Nuova produzione Teatro alla Scala

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala

Il capolavoro risorgimentale di Verdi manca dal Piermarini dall’edizione di apertura della Stagione 1989/1990. Leggendaria l’esecuzione nel 1951 con Maria Meneghini Callas,la quale sarà presente anche nel 1970, ma da un palco di proscenio per incutere timore a Renata Scotto, la nuova Elena. Abbiamo assistito a tre recite de Les vêpres siciliennes, in lingua originale francese, e con il balletto delle Stagioni completo presso l’Opera di Roma nel dicembre del 2019. Secondo noi solo in questa versione può essere proposta l’opera oggi: in francese, integrale e con il balletto per dare giustizia a Verdi. Un Verdi maturo che dopo l’esperienza totalizzante della trilogia popolare cercava nuove strade contaminandosi con il grand-opéra. La Scala opta per il libretto italiano, dedicando tre pagine al traduttore italiano tra i saggi del programma di sala ma senza poi approfondire la goffaggine della versione ritmica. Il libretto fu rapidamente preparato sotto la supervisione di Verdi dal patriota, esiliato a Parigi, Ettore Caimi. Verdi disse al suo editore Giulio Ricordi nell’aprile 1855: “Devo cambiare il soggetto in modo da rendere accettabile per i teatri italiani”.   Scribe decise di modificare il luogo dell’opera “Suggerii al duca d’Alba di fare ancora una volta le valigie e trasferirsi a Lisbona” ​​. La prima versione italiana ebbe luogo a Parma il 26 dicembre del 1855 con scenario nel Portogallo del 1640 sotto il controllo spagnolo. Pertanto, il titolo fu stato cambiato in Giovanna de Guzman e rimase tale fino all’unità d’Italia. Verdi non fu per niente soddisfatto della traduzione, che Budden considera una delle peggiori mai perpetrate al pari di quella de La favorite. Furono apportati alcuni miglioramenti quando l’opera tornò al suo titolo italiano dopo il 1861.

E’ logico che la versione di Scribe è di una eleganza unica e la musica di Verdi si adatta a suoi versi in maniera ottimale spiace quindi si sia scelta la versione italiana. Per motivi a noi ignoti si è deciso di tagliare di 40 minuti l’opera con la soppressione del Ballo delle stagioni che dà una pausa di sollievo al dramma verdiano così stringente, e il taglio del coro festivo che apre il V atto con la sua raffinata orchestrazione in contrasto al terzetto finale. Scelte poco felici e dettate non certo da esigenze musicali.


Una altra zavorra di questa edizione è stata la regia di Hugo de Ana, regista che tanto ammiriamo e autore di spettacoli memorabili qui alla Scala, come la Lucrezia Borgia, Trovatore e Forza del Destino. Regista applaudito in tutto i mondo soprattutto per la sua capacità di “decorare” la scena, per i suoi fantasiosi costumi e per il linguaggio barocco dei suoi allestimenti , ci ha lasciato indifferenti in questi Vespri siciliani. Cinque atti, dico cinque atti, tutti uguali, carri armati, cannoni della seconda guerra mondiale, tutto in un grigiore uniforme: anche il popolo siciliano veste tutti di nero, i protagonisti hanno gli stessi abiti nei cinque atti senza una minima inventiva. Scene inesistenti, solo dei pannelli neri. I cori vengono mossi in maniera goffa e si fermano a fine atto quasi ad aspettare l’applauso come avviene nella fulminea rivolta finale che dal titolo all’opera, vanificando ogni effetto. Dopo i numerosi spari di cannone e fucile a conclusione del secondo atto si è levata una voce nel pubblico “Sparate al regista?” un eccesso certo, che però fa capire il pensiero del popolo e la situazione in sala. La festa del terzo atto avrebbe per protagonisti i francesi ed invece vediamo ancora partecipare il popolo siciliano in nero, un vero controsenso. Nessuno dei congiurati porta coccarda o maschera e l’attacco di Procida è dei più goffi: Procida sguaina il pugnale a 20 metri da Monforte facendosi così bloccare dai militari. Dovrebbe invece Arrigo bloccarlo a distanza ravvicinata e da qui svilupparsi la trama con Procida furioso con lui per il suo tradimento. Tutte queste mancate occasioni di coerenza vengono sostituite con una sola idea, la Morte che gioca a scacchi con un armigero citando il film di Bergman. Una idea portata per le lunghe e quando la Morte si destreggia in un furioso balletto anche la sua aurea drammatica viene completamente demolita.  

Guido di Monforte è il Luca Micheletti, che dopo una carriera come attore e regista, grazie al severo studio con Mario Malagnini, è diventato un affermato baritono. La voce è rigogliosa e piena, stupisce la vellutezza presente nei due duetti con il figlio Arrigo. Nel secondo duetto con Arrigo la melodia portante proviene dalla sinfonia e viene cantata anche dal tenore ma con un altro significato. Micheletti canta “Ah figlio invano” e sembra una frase in bocca a Rigoletto. Ottimo “In braccio alle dovizie” aria alla francese senza cabaletta. Arrigo è Piero Pretti, forte del successo dello scorso anno come Duca di Mantova affronta con precisione il ruolo. I primi due atti sono un poco sottotono ma poi negli ultimi tre atti la voce e lo squillo si fanno sensibili. “Per lei non temo io morte” chiude il primo atto. Pretti si risparmia nel concertato del III atto forse per dover affrontare al meglio l’aria del IV atto. “Giorno di pianto” ha lo stesso schema melodico de la “Donna è mobile” ma la tonalità minore cambia completamente l’atmosfera. Tagliata la rapinosa cabaletta, un taglio ingiustificato. Anche nel concertato del IV il tenore evita di cantare molte frasi ed interventi e ci regala in compenso un vaporoso brano “La brezza aleggia intorno”.



La duchessa Elena è il soprano lettone Marina Rebeka che come nelle prime due recite ha deluso nei primi due atti con l’ampia aria “In alto mar e battuto dai venti” poco incisiva e coperta dalle forze corali. Meglio il duetto d’amore del IV atto dove ha ricevuto un grande applauso nell’episodio solista “Arrigo! Ah, parli a un core” nonostante una cadenza non impeccabile. Precisa la sua esibizione in “Mercé dilette amiche” con una coda virtuosistica ben a fuoco.  Giovanni da Procida è il valido basso Simon Lim, che senza impressionare, ci consegna un misurato “O tu Palermo” uno dei brani più famosi dell’opera. Molto presente nei concertati di tutti gli atti, Lim è sempre ben distinguibile insieme a Micheletti: loro due, a causa della carenza degli interventi di soprano e tenore, reggono gli ensemble. Si distingue il Danieli di Giorgio Misseri, tenore siciliano, con un bello ed equilibrato quartetto a cappella nel I atto. Ben i suoi interventi nel finale II e finale III.


Comprimari ben assortiti con Il signore di Bethune di Andrea Pellegrini, Il conte Vaudemont di Adriano Gramigni, Ninetta di Valentina Pluzhnikova, Tebaldo di Bryan Avila Martinez, Roberto di Christian Federici e Manfredo di Andrea Tanzillo promettente tenore dell’Accademia della Scala.
Fabio Luisi alla sua sesta produzione scaligera si impegna con attenzione, ci regala una sinfonia infiammata e una coesione particolare in tutta l’opera. E’ capace di far emergere le melodie risorgimentali con molta veemenza. Il preludio del secondo atto, una semplice barcarola memore di quella di Tancredi,  viene trasformato in una marcia funebre con casse ed urne. Ottima la direzione della festa che diventa una congiura anticipando il Ballo in maschera. Non è semplice gestire la raffinata partitura in questi concitati momenti. Il coro scaligero è di eccellente qualità e anzi dovremmo dire i cori poiché Verdi sfrutta spesso i cori contrapposti melodicamente e ritmicamente per differenziare i due popoli, francesi e siciliani. Peccato per il taglio del doppio coro che apre il V atto. Ascolteremo il 21 febbraio la recita con Angela Meade e Roman Burdenko e ve ne daremo notizia.

Fabio Tranchida