Tragedia per musica in tre atti su libretto di Agostino Piovene
Musica di Antonio Vivaldi

Tamerlano Filippo Mineccia
Bajazet Bruno Taddia
Asteria Delphine Galou
Andronico Federico Fiorio
Irene Shakèd Bar
Idaspe Arianna Vendittelli

Direttore al clavicembalo Ottavio Dantone
Regia, scene e costumi Stefano Monti
Luci Eva Bruno
Contenuti video/3D Cristina Ducci
Pittura su tela Rinaldo Rinaldi, Maria Grazia Cervetti
Illustrazioni Lamberto Azzariti
Sculture Vincenzo Balena
Coreografie Marisa Ragazzo, Omid Ighani
Danzatori DaCru Dance Company

Accademia Bizantina

Coproduzione Teatro Alighieri-Fondazione Ravenna Manifestazioni, Fondazione Teatri di Piacenza, Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, Fondazione Teatro Comunale di Modena, Azienda Teatro del Giglio
NUOVO ALLESTIMENTO

Primi interpreti nel 1735

Tamerlano  contralto (en travesti) Maria Maddalena Pieri
Asteria   contralto       Anna Girò
Irene  soprano        Margherita Giacomazzi
Bajazet  tenore      Marc’Antonio Mareschi
Idaspe   soprano castrato        Giovanni Manzuoli
Andronico  soprano castrato     Pietro Moriggi

Il Tamerlano è un dramma storico ma in effetti, nella vicenda del libretto, conta più l’amore che la politica. Una serie intricata di schermaglie amorose tra poteri forti caratterizzano questa opera veronese di Vivladi. L’azione è ambientata a Prusa, capitale della Bitinia, nel 1403. Attualmente la città turca si chiama Bursa ed è una delle città più belle della Turchia, ricca di monumenti preziosi ereditati dai sultani che si sono succeduti. Bajazet appunto, è sultano turco, ed è stato sconfitto dall’imperatore tartaro Tamerlano (detto anche Timur) che lo tiene prigioniero nel suo palazzo. Fin dalle prime frasi Bajazet manifesta il proposito di suicidarsi cosa che avverrà in effetti alla fine dell’opera, ma fuori scena per non turbare il pubblico veronese. Il sultano ha però una figlia di nome Asteria, anch’essa prigioniera: l’affetto per lei lo tieni in vita per tutta l’opera fino al tragico finale.  

La versione della partitura del Tamerlano di Vivaldi, eseguita in vari teatri dell’Emilia-Romagna, è frutto di un importante lavoro di approfondimento di Ottavio Dantone per l’Accademia Bizantina e inciso in disco per l’etichetta Naïve alcuni anni fa.  Secondo un uso settecentesco, l’opera in questione è nella forma di un ‘pasticcio’: ma Vivaldi fa qualcosa in più nella selezione delle arie da inserire nel libretto preesistente. Pochi sono i brani originali, mentre molti sono quelli provenienti da opere proprie (tutte arie affidate ai 3 personaggi buoni della vicenda) e da altri autori (arie affidate ai tre “cattivi”). Questa operazione mette a confronto quindi scuole musicali differenti, Vivaldi contro tutti, Vivaldi contro Geminiano Giacomelli, Johann Adolf Hasse e Riccardo Broschi. Una operazione intelligente e astuta per caratterizzare due mondi opposti. Il libretto di Agostino Piovene fu messo in musica altre 40 volte a partire dal 1711, da Leonardo Leo, Georg Friedrich Händel, Nicola Antonio Porpora, Niccolò Jommelli, Giuseppe Sarti, Giuseppe Scarlatti, Josef Mysliveček, e tanti altri. Famosa per i moderni uditori la versione di Georg Friedrich Händel capolavoro soprattutto per la parte tenorile affidata Francesco Borosini e ai due castrati coinvolti Andrea Pacini e il Senesino con le rispettive sfide vocali. La versione di Antonio Vivaldi si avvale di una nuova edizione critica prodotta da  Bernardo Ticci. L’opera fu presentata nel 1735 al Filarmonico di Verona, che era stato inaugurato nel 1732 proprio da Vivaldi con La fida ninfa.


Il vincitore tartaro Tamerlano è impersonato da Filippo Mineccia, controtenore che vive ora nel periodo della sua maturità artistica. Esordisce con “In si torbida procella” (di Giacomelli) aria abbastanza virtuosistica, e riesce a disegnare un personaggio imperioso con “Cruda sorte, avverso fato”. Il registro è pieno e uniforme in tutta la sua ampiezza, e Mineccia “gonfia” le frasi correttamente per imporsi come regnante vittorioso.   
Bajazet, il rivale sconfitto, è l’eccellente baritono Bruno Taddia che ha lavorato, come gli altri, molto sui recitativi, scolpendoli in maniera impressionante. Alcuni sconfinamenti quasi nel parlato hanno dato il giusto peso alle frasi. Anche i recitativi sono stati composti da Vivaldi. Un recitativo accompagnato tutto affidato a Bajazet prima del quartetto che chiude l’atto II, è di particolare forza e potenza. Taddia, solitamente ha delle arie brevi e fulminee, come quella di apertura “Del destin non dee lagnarsi” per poi ricomparire a fine atto secondo con “Dov’è la figlia?” tratta dal Motezuma. Taddia fa due cadenze sul motto “Dov’è” molto eleganti e drammatiche. L’ultimo suo arioso “Verrò crudel, spietato” è pervaso dalla furia delle parole: il baritono disegna così un personaggio modernissimo, con una voce potente e carica di accenti drammatici.  
Asteria, sua figlia, è Delphine Galou molto applaudita durante lo spettacolo: “Amare un’alma ingrata” con il suo andamento sognante mette in risalto la voce chiara e luminosa della cantante. Un fulmine è invece “Stringi le mie catene” tratta dalla perduta Semiramide di Vivaldi: l’aria è di quelle tipiche per Anna Girò, favorita del Prete Rosso, tutta caratterizzata da brevi “motti” e frase spezzate. Ottimo il suo recitativo accompagnato verso la fine dell’opera “E’ morto il tiranno” dove Vivaldi e la Galou portano ad alte vette il dramma descrivendo il suicidio fuori scena del sultano. Un vero capolavoro.  
Andronico è il bravissimo controtenore Federico Fiorio che, con le armonie in tonalità minore, seduce grazie una voce limpida e aggraziata. L’eleganza della cullante melodia viene ben espressa, e la successiva “La sorte mia spietata” viene guarnita di una elegante cadenza finale. Una lunga aria di 7 minuti presente nel terzo atto è “Spesso fra vaghe rose” dove Fiorio mette in scena tuta la sua arte, con una minuta coloratura.


Irene è impersonata da Shakèd Bar, che affronta la bella aria di Broschi “Qual guerrier in campo armato” davvero insidiosa per la sua complessa coloratura. Brava l’interprete sia in questo brano che in “Sposa, son disprezzata” da Giacomelli: Vivaldi cambia leggermente il testo per adattarlo al libretto del Tamerlano. Shakèd Bar dà vigore alle frasi spezzate.
Idaspe alla prima assoluta era anch’esso un castrato mentre  a Modena viene affidato alla interessante Arianna Vendittelli: apre il II atto con “Anche il mar par che sommerga” aria molto virtuosistica per sfruttare le caratteristiche del giovane castrato Giovanni Manzuoli. Questa aria proviene dalla Semiramide di Vivaldi che speriamo un giorno si trovi nella sua interezza.

Meravigliosa la direzione di Ottavio Dantone specialista del barocco e in particolare di Vivaldi. Ricordiamo alcuni anni fa L’incoronazione di Dario a Torino quando vennero mostrati tutti i manoscritti vivaldiano presso la Biblioteca di Torino, un vero evento. Molte sono le sue direzioni e incisioni di opere del Prete rosso. Dantone grazie alla suo ensemble riesce a dare massima varietà timbrica e agogica alle tante arie che costituiscono l’opera. I due contrabbassi si trovano ai due estremi dell’orchestra. Già dalla sinfonia sono chiari i contrasti chiaroscurali imposti dal direttore. La musica non è mai nervosa ma drammatica e il lavoro sui recitativi è evidente e fondante di questa esecuzione.


Ogni personaggio aveva un doppio, un mimo che ballava mentre questi cantava. La trovata poteva essere interessante ma dopo un po’ stancava. Interessante la cupa scena fissa ed un elemento semovente che variava la posizione di qualche interprete che saliva su questa pedana. 4 o 5 proiezioni risultavano di qualche interesse, un cavallo, un viso, nuvole, uccelli e un occhio/fiore. Uno spettacolo molto interessante che, con questa recita, completava il tour per tutta l’Emilia Romagna. A marzo vi daremo conto del Catone in Utica di Vivaldi a Ferrara. Non mancate. Viva Vivaldi.

Fabio Tranchida