Dramma giocoso in tre atti
Libretto originale attribuito a Carlo Goldoni
rielaborato da Marco Coltellini
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Rosina Benedetta Torre
Don Cassandro Eduardo Martínez Flores
Don Polidoro Lorenzo Martelli
Giacinta Xenia Tziouvaras
Ninetta Rosalia Cíd
Fracasso Luca Bernard
Simone Davide Piva
Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino
Maestro concertatore e direttore Edoardo Barsotti
Regia Claudia Blersch
Scene e costumi Studenti del Triennio in Scenografia di NABA,
Nuova Accademia di Belle Arti
con la guida di Margherita Palli
Luci Andrea Locorotondo
La finta semplice è un’opera di assai rara esecuzione, che fin dalle prime note, se mai ce ne fosse stato ulteriore bisogno, conferma quanto Mozart, ancorché dodicenne, avesse già chiaro in mente come impostare la propria arte e come disporre delle proprie abilità compositive, dimostrando di possedere doti uniche, che si sarebbero sviluppate di lì a poco col raggiungimento delle più celebrate vette. L’impianto drammaturgico di questo “dramma giocoso” è leggero, quasi pericoloso da maneggiare, col rischio di sgretolarlo, ma la musica, vera protagonista, è già permeata di quell’inconfondibile “essere Mozart” che rende credibile e aggraziata perfino la quasi totale assenza di eventi drammatici, capaci di dare slancio alla narrazione. Merito doppio, dunque, al giovanissimo Wolfgang, di essere riuscito ancora oggi a far divertire e appassionare, con un’opera così sui generis e di presa non immediata, un pubblico davvero composito ma generosamente festoso come quello che ha salutato la recita cui ho partecipato -per l’appunto quella che la Direzione del teatro del Maggio ha scelto per i biglietti a metà prezzo, invogliando e portando ad ascoltare un’opera semisconosciuta intere famiglie, con parecchi giovanissimi attenti e felici di essere lì con i propri genitori o zii (ma questo sarebbe ben altro discorso)-.

La buona riuscita di questo allestimento è risieduta specialmente nella “gioventù” generale che ha trionfato anche in palcoscenico. E sul podio, soprattutto. Già, perché il direttore previsto, Theodor Guschlbauer, a cui facciamo auguri di pronta guarigione, è stato costretto da una polmonite a sospendere le recite, con la sua inevitabile sostituzione. Debutto, allora, per il giovane Edoardo Barsotti, previsto maestro al clavicembalo, che alla fine, però, si è ritrovato a dover fare i conti col podio. E credo che questi conti siano risultati davvero soddisfacenti. Certo, come detto dal sovrintendente prima dello spettacolo, Barsotti ha collaborato gomito a gomito con Guschlbauer, quindi è normale pensare che abbia fatto proprie le idee del maestro e che si sia basato anche su quelle per dirigere la propria finta semplice. Vero è che non ho ascoltato l’unica recita diretta dal maestro previsto in cartellone, quindi la mia è solo un’idea. Una vaga idea, però, non è quello che ho sentito e visto dal vivo: il gesto del giovane direttore è sicuro, forte di tanto studio e sicurezza che emergono lampanti fin da subito. L’ouverture alterna brio e levità, leggerezza e spirito, caratteristiche tutte che si ripresenteranno nel corso dell’opera, senza mai scadere nel banale o nella stucchevolezza, anche laddove l’opera potrebbe prestare il fianco a simili situazioni. L’attenzione sui cantanti è sempre alta, lo sguardo sempre attento, e nonostante si tratti di una sostituzione in corsa si percepisce un certo grado di interpretazione, sia nei colori che nel ricercare dall’ottima orchestra del Maggio determinate sonorità. Una prova, insomma, lodevole e di sicura professionalità, che fanno di questo giovane un talento da preservare e coltivare. Di pregio anche la prova di Alessandro Uva, maestro al clavicembalo, sempre attenta e rigorosa, non senza una componente di evidente emozione, che però credo abbia giovato al maestro, anche lui catapultato letteralmente nella rappresentazione -il giovane, infatti, è stato quasi sempre sul palcoscenico, e in abiti di scena per giunta, a suonare in bella vista il suo clavicembalo-.
Benedetta Torre tratteggia una Rosina impeccabile: il timbro è bello e sensuale, caldo e suadente in basso e al centro, omogeneo e controllato a dovere nella tessitura più alta, sempre limpida. Le sue arie, anche quelle più espressamente di bravura, sono la parte migliore e più attesa della serata, sempre descritte con accenti diversi, ora più lirici, ora più sensuali od isterici. Dopo l’ottima prova nel Don Carlo, con la sua mai abbastanza lodata Voce dal cielo, questa è stata l’ennesima prova di grande crescita, conferma delle abilità che la rendono così apprezzata anche dal pubblico, e sempre attesa in cartellone. Ad maiora, dunque.
Eduardo Martinez Flores ha descritto con dovizia vocale e attoriale il personaggio di Don Cassandro, modulando il bel timbro di basso con varietà di accenti ed intenzioni, senza risultare mai sguaiato nel fraseggio, sebbene il ruolo possa spesso eccedere in tal senso, e sempre controllando abilmente anche la tessitura più alta, dove spesso insiste la sua partitura. La figura del ricco avaro aggiunge così un importante tassello alla sua apprezzabile crescita, dopo l’ottima prova nel Barbiere di inizio stagione.
Molto bene Lorenzo Martelli nei panni dello sciocco Don Polidoro: il giovane tenore si distingue per la bellezza del timbro e il fraseggio sempre curato e appassionante. La sua è una prova in crescendo, anche per la natura drammaturgica del personaggio, e giunge a catalizzare spesso l’attenzione, specialmente nelle arie più sentimentali. Bellissima tutta la scena che inizia con “Sposa cara, sposa bella”, sia per le abilità vocali che per la capacità di alternare i sentimenti più variegati all’interno della medesima aria. Davvero molto bene.
Apprezzabili le prove di Xenia Tziouvaras, Giacinta, e Rosalia Cid, Ninetta: le due cantanti, dai timbri rispettivamente contraltile e sopranile, nonostante l’apparente secondarietà dei loro ruoli, dimostrano un notevole impegno vocale, dispiegando ed amministrando con molta soddisfazione i mezzi in loro possesso. Nell’ultima parte dello spettacolo, in particolare dopo la fuga organizzata che le vede partecipi, ci regalano piacevoli momenti di estatico abbandono, sentimentali al punto giusto e, soprattutto, davvero ben cantati.
Lo stesso dicasi per la coppia dei loro amanti: Luca Bernard, nei panni del capitano Fracasso, e Davide Piva, in quelli del suo sergente Simone, divertono sinceramente e si impegnano con evidente partecipazione. Il primo controlla bene il suo strumento di tenore dal bel colore chiaro, perfetto per il ruolo, sia nelle oasi più liriche che in quelle più nervose, dove la partitura si fa più rischiosa, sia per note acute che per abbellimenti vari. Il secondo, invece, sfrutta al meglio la piacevole voce di basso e riesce ad imprimere bene nella mente un personaggio che altrimenti potrebbe risultare sbiadito o non determinante per l’azione, facendo anche sorridere di gusto in più di un’occasione.
Un sonoro applauso a questa giovane compagnia, musicale e di canto, che è riuscita nell’obbiettivo di proporre in maniera credibile e con un livello artistico non indifferente la rarissima opera mozartiana.
La regia di Claudia Blersch, che ha visto la collaborazione alle scene e ai costumi degli studenti del triennio in scenografia della Nuova Accademia di Belle Arti, sotto la guida di Margherita Palli, brilla e si distingue soprattutto per attenzione alla recitazione, cura dei dettagli sui protagonisti e sicura presa sul pubblico, specialmente per la caratterizzazione ben delineata di ogni protagonista. Meno, invece, per l’idea consumata di affidare alla coppia di fratelli Cassandro e Polidoro la gestione di un Bar-Ristorante, abbozzato con elementi scenici semplici ma ben curati, che nel corso della serata hanno cambiato spesso posizione e funzione per descrivere scene sempre diverse. Simpatica, ma non innovativa, l’idea di inserire sul palco un piccolo Mozart -interpretato da una giovanissima attrice, divertente oltre che divertita- a fare da organizzatore e direttore degli eventi, assieme a tre personaggi in abiti d’epoca -i soli, insieme a Rosina, ad indossarli- che agivano quasi fossero spettri o spiriti arrivati fino a noi dall’epoca di composizione dell’opera.
A onor del merito va detto che, con poche risorse e grande impegno da parte degli studenti, è stato messo in piedi uno spettacolo davvero godibile, sinonimo di come si possano elaborare idee convincenti anche a “ranghi ridotti”.
Mattia Marino Merlo – Teatro Goldoni di Firenze, 26 gennaio 2023