Dramma lirico in tre atti. Musica di Nino Rota
Libretto di Eduardo De Filippo, tratto dalla sua omonima Commedia
Prima rappresentazione: Spoleto, Teatro Nuovo, 22 giugno 1977

Direttore James Feddeck
Regia Arturo Cirillo

Personaggi e Interpreti:

Gennaro Iovine Mariano Buccino
Amalia, sua moglie Clarissa Costanzo
Maria Rosaria, figlia Maria Rita Combattelli
Errico “Settebellizze” Riccardo Della Sciucca
Amedeo, figlio Marco Miglietta
Johnny, sergente americano Francesco Samuele Venuti
Adelaide Schiano Giovanna Lanza
Assunta, sua nipote Sabrina Sanza
Pascalino “o pittore” Roberto Covatta
O’ miezzo Prevete Giuseppe Esposito
Il Brigadiere Ciappa / Il maresciallo Alberto Comes
Riccardo Spasiano Graziano Dallavalle
Peppe o’cricco Pasquale Greco
Federico Francesco Cascione
Donna Peppenella Sara Borrelli*
Donna Vinzenza Luisa Bertoli*
Una donna del popolo Maria Paola Di Carlo *
Una guardia Christian Magrì *
Rituccia Federica Gambarana

*Artisti del Coro

Scene Dario Gessati

Costumi Gianluca Falaschi
Ripresi da Anna Missaglia
Luci Fiammetta Baldiserri


Coreografo e Assistente alla Regia Oliviero Bifulco
Assistente alla Regia tirocinante Andrea Lucchetta
Assistente Scenografo Eleonora Ticca
Maestro preparatore di sala e Maestro alle luci Andrés Jesús Gallucci
Maestro collaboratore di palcoscenico Martino Ruggero Dondi
Maestro ai sovratitoli Giacomo Mutigli

Ballerini Cecilia Pacillo, Oliviero Bifulco
Figuranti Edoardo Pisati, Cristian Canova

Ensemble Strumentale di Palco Elena Mazzoletti (Violino), Giacomo Alfano (Clarinetto), Federico Lisandria (Chitarra), Giorgio Pertusi (Mandolino)

Direttore di Scena Sara Vailati
Maestro del coro Diego Maccagnola
Coro OperaLombardia
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Allestimento del Festival della Valle d’Itria di Martina Franca ripreso dai teatri di OperaLombardia

Napoli Milionaria è un’opera che inevitabilmente necessita, più di molte altre, di una compagnia di canto affiatata, espressiva e dall’ottima musicalità, per restituire il caleidoscopio di pensieri, sentimenti e psicologie che ciascun personaggio porta con sé: con grande apprezzamento e soddisfazione di chi scrive, tutto questo si è verificato al teatro Fraschini di Pavia, con un cast centrato e una direzione, musicale e registica, quanto mai appassionata. L’aspetto più piacevole da constatare è proprio quella sinergia tra tutte le parti in causa, che ha permesso di condurre alla sua buona riuscita lo spettacolo.

Espressivo, comico e commovente allo stesso tempo è stato Mariano Buccino nel ruolo di Gennario Iovine, che fu di Eduardo de Filippo nella versione originale del dramma: il giovane basso, debuttante nel ruolo, ha convinto per la sentita interpretazione, nonché per la gradevolezza timbrica e puntuale musicalità di ogni suo intervento, fino all’ultimo atto, in cui è quasi irriconoscibile nell’aspetto e nelle intenzioni, tanto gli orrori della guerra lo hanno trasformato ed irrimediabilmente disilluso: “non è finito niente”, ripete con sguardo perso, e anche la voluta assenza di ogni inflessione timbrica od espressiva contribuisce a far raggelare lo spettatore, mostrando una notevole, e soprattutto non banale, evoluzione psicologica del cantante-attore. Per lui un meritato ed ovvio successo alle chiamate finali.

Clarissa Costanzo, da cui siamo stati piacevolmente travolti, ha personificato, quasi trasfigurandosi, un’eccellente Donna Amalia, attraverso un’interpretazione quanto mai credibile, appassionante e vocalmente affascinante: il giovane soprano, oltre ad avere un timbro naturalmente bello, brunito, vellutato e ricco di armonici, canta davvero bene, con gusto, proprietà espressive e fraseggio variegato. Ogni suo intervento acquista lo spessore drammatico di cui necessita, anche nel primo atto, in cui la comicità bonaria si unisce a un impasto timbrico che già fa presagire i risvolti sensuali della seconda parte. Qui, poi, dà prova di omogeneità di registro e di apprezzabile controllo dei settori centrale ed acuto, su cui la parte insiste, specialmente per tutta la cosiddetta “Villanova”. Grande successo, meritato, agli applausi finali.

Con Clarissa Costanzo forma una credibile coppia di amanti Riccardo Della Sciucca, nei panni di Errico “Settebellizze”: il giovane tenore ha nella voce, per altro timbricamente piacevole e dalla solida tecnica, quella sensualità che il personaggio richiede e che mostra fin dalla sua prima entrata in scena. Tutto il secondo atto colpisce per controllo dei fiati e ragionata espressività, che non lo fa mai eccedere il limite, ottenendo per tutta la durata della canzone su Villanova quella piacevole ma malinconica sensazione di libertà, voglia di amare ed abbandonare tutto. Apprezzabile anche il terzo atto, giocato più sulla recitazione e sugli sguardi che sulla voce, ma non per questo meno incisivo. Per lui il pubblico ha espresso grande apprezzamento alla fine dello spettacolo.

Marco Miglietta, Amedeo, figlio della coppia Gennaro-Amalia, ha svolto bene il ruolo di figlio affettuoso dalla dubbia e sporca occupazione, restituendoci un baldo giovane sì pieno di speranze, dalla vocalità fresca, sincera e dal fraseggio curato, ma purtroppo anche lui stritolato, più di ogni altro, dagli ingranaggi violenti dell’Italia post-bellica. Ottima anche la figlia, Maria Rosaria, interpretata da Maria Rita Combattelli, dal fresco timbro sopranile giustamente leggero e civettuolo, ma non privo di quella necessaria drammaticità, in particolare durante il meraviglioso duetto del “Sì”, nel secondo atto, dove il giovane soprano ha trovato accorati accenti drammatici, felicemente uniti a quelli altrettanto appassionati e malinconici di Francesco Samuele Venuti, debuttante nelle vesti del sergente americano Johnny, ruolo in cui la bella voce baritonale del promettente giovane commuove sinceramente: quando canta, e bene, tutte le frasi che girano intorno a quella più emblematica, “I am no Pinkerton”, gli si crede davvero, facendo arrivare anche a noi, seduti e raccolti, il messaggio che è stata la storia a volerlo così, non la sua personalità. La coppia è stata giustamente applaudita alla fine del secondo atto.

Fondamentale e di buon livello l’apporto che hanno dato tutti i restanti membri del cast: Giovanna Lanza è stata un’Adelaide molto coinvolgente e musicale, così come Sabrina Lanza, nel civettuolo e comico ruolo della nipote Assunta. Ottimo Roberto Covatta nei panni del “pittore” Pascalino, in parte e dalle gradevoli sfumature neomelodiche nella ripresa di “Villanova”, durante il terzo atto. Simpatico, vocalmente e scenicamente, Giuseppe Esposito, o’ miezzo Prevete, così come Graziano Dallavalle, Riccardo Spasiano, e il fascinoso Francesco Cascione, Federico. Funzionale e più che corretto, nonché ironico, Alberto Comes nel doppio ruolo di Brigadiere Ciappa e maresciallo. Da segnalare gli artisti del coro Sara Borrelli, Donna Peppenella, Luisa Bertoli, Donna Vincenza, Maria Paola Di Carlo, Una donna del popolo e Christian Magrì, una guardia. Simpatica e spigliata in palco la Rituccia di Federica Gambarana.

Un plauso al bel coro OperaLombardia, ottimamente istruito da Diego Maccagnola, specialmente nel finale ultimo, dove tutta l’atrocità della guerra e dei suoi strascichi emergono chiari, in un alone di velata follia che lega il coro ai solisti.

Si apprezza molto anche la direzione di James Feddeck, che fa un lavoro di analisi interessante su questa partitura, nata dalla fusione di generi e stili diversi fra loro, in un continua trasformazione di suoni, ritmi e autoimprestiti. Il giovane direttore ha dunque capito come approcciarsi al meglio a quest’opera di Rota, ottenendo un bel suono dall’orchestra de I Pomeriggi Musicali, apprezzabile per coesione e precisione, e modulando bene i volumi e la varietà di agogiche e timbriche, di volta in volta diverse per adattarsi a ciò che la partitura presenta. Ottimo anche il lavoro fatto coi cantanti e la gestione delle voci durante i frequenti pezzi d’insieme.

La regia di Arturo Cirillo, brillante e intelligentissima per gestione delle scene più concitate e per approfondimento sulla gestualità dei personaggi, si avvale delle belle scenografie di Dario Gessati, fissate a formare una stanza di tre pareti – dove si volge l’intera opera – che di atto in atto si trasformano, nelle decorazioni sui muri, nella ricchezza dei dettagli e nell’ambiente intorno l’abitazione, prima rigoglioso di fiori bianchi, poi dominato dal grigiore e dai resti ossei di animali. La porta centrale, della parete che fa da sfondo, è sormontata da una Vergine dolorosa, in perfetto stile partenopeo, mentre tutte le pareti sono orlate da candele rosse, tipiche dei cimiteri, che si illuminano in più di un’occasione per creare sensazioni diverse. Il punto più curioso, e a suo modo affascinante, di questo allestimento risiede proprio nella particolare struttura delle pareti: queste, infatti, si aprono e si chiudono, tramite numerose listarelle che si alzano ed abbassano, come in una saracinesca, lasciando emergere delle luci, ora accese, ora soffuse o spente, a sottolineare i momenti salienti dell’opera, specialmente nei duetti del secondo atto. Belli anche i costumi di Gianluca Falaschi, ripresi da Anna Missaglia e le luci evocative di Fiammetta Baldiserri. Una regia, insomma, che non tradisce le stringenti connotazioni storiche e logistiche, ma che esprime comunque la propria idea, risultando innovativa con accorgimenti semplici e d’effetto.

Mattia Marino Merlo – Teatro Fraschini di Pavia, 20 novembre 2022

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