Per coro, voci soliste e orchestra

Musica GIUSEPPE VERDI

Soprano MARINA REBEKA
Mezzosoprano VARDUHI ABRAHAMYAN
Tenore STEFAN POP
Basso RICCARDO ZANELLATO

Direttore MICHELE MARIOTTI
ORCHESTRA SINFONICA NAZIONALE DELLA RAI
CORO DEL TEATRO REGIO DI PARMA
Maestro del coro MARTINO FAGGIANI

L’incipit della Messa da Requiem, nella pregevole e sublime direzione di Michele Mariotti, permette all’ascoltatore di trascendere e “trasumanare”, non appena il maestro alza la bacchetta e dà ai violoncelli il segno leggero, quasi impalpabile, di iniziare: il suono è appena percettibile, ma capace già di raggiungere l’intimo dell’ascoltatore; l’entrata del coro, poi, sospesa in uno stato quasi inespressivo, sembra anticipare il finale, come se i dubbi, le paure e i sensi di colpa fossero irrimediabilmente destinati a non trovare una risposta o un significato, tanto la potenza di Dio è grande ed imperscrutabile. Basterebbe già questo a definire la portata e il valore di un Requiem che Mariotti riesce a governare splendidamente, nonostante il magma musicale che questa partitura porta con sé. Il direttore esplora ed approfondisce ogni sottotesto, sia del suono che della parola, lasciando trasparire significati nuovi, senza indulgere in sensazionalismi ma offrendo una gamma di colori inedita, fatta di leggerezza e turgore, laddove l’uomo chiede pietà e Dio, invero terribile, risponde punendo o perdonando. Questo approccio introspettivo, estremamente lirico e teatrale a un tempo, nel più alto senso del termine, si percepisce anche dall’estrema cura sulla parola e la sua articolazione da parte dei solisti e del coro, che in alcuni momenti trema a pronunciare certe frasi, sussurrandole, mentre in altri pone l’accento su determinati termini, facendo acquistare al testo sensi nuovi e sorprendenti. Un lavoro di analisi, insomma, estremamente variegato e profondo, quasi Mariotti avesse messo la partitura e il testo controluce, per scorgere e trovare la loro anima, e permettere a noi ascoltatori di percepire ancor meglio la nostra, rapportata a qualcosa di più grande.

L’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai si è calata perfettamente in questa lettura sottile ma di forte impatto emotivo, e ogni sua parte ha fatto a gara in bravura con le altre: formidabili i fiati, dalle trombe fino al fagotto e ai corni, impeccabili gli archi, come anche le percussioni, attese nelle parti più celebri, ma raffinate e dosate sapientemente. Sarebbe doveroso ringraziare ogni singolo maestro. Prevedibile e meritato il successo, enorme, per Maestro e Orchestra.

Trionfale e sublime la prova del Coro del Teatro Regio di Parma, che ha cancellato ogni tensione della sera precedente, dimostrandosi non solo all’altezza di una partitura tanto ricca, ma superandosi e giungendo a commuovere sinceramente, quasi i cantanti fossero un’unica voce che racchiudeva l’umanità intera. Per il coro, dunque, e il maestro Martino Faggiani grande successo e festanti applausi.

I solisti, impegnati sia dal lato interpretativo, estremamente curato, che da quello vocale, impeccabile, si sono incastonati come quattro gemme in questo meraviglioso edificio orchestrale:

Marina Rebeka, soprano dal timbro ricco, affascinante e squisitamente lirico, anima ogni suo intervento con una partecipazione e recitazione non comuni, sfoggiando acuti perfetti, ma sofferti e pieni di dubbio, pianissimi e mezze voci ricchi di armonici, con un controllo del fiato formidabile, non solo tecnicamente, ma specialmente dal punto di vista interpretativo, poiché ogni sospiro pare avere un senso profondo. Emblematici i dialoghi col mezzosoprano e il “Libera me”, dove anche nel registro più basso, a lei meno congeniale, il volume passa in secondo piano davanti a una resa sofferta, accorata e ricca di pathos. Difficilmente dimenticabile il suo finale “Libera me, Domine, de morte aeterna in die illa tremenda”, terribile ma desideroso di pietà allo stesso tempo.

Varduhi Abrahamyan, col suo timbro elegante e fascinoso di mezzosoprano, brunito e scuro al punto giusto, corrisponde perfettamente a quello del soprano, creando un connubio vocale sorprendente. Il suo “Liber scripturus” è riccamente cesellato, e traspare anche per lei uno studio del testo latino approfondito e interiorizzato. Nei dialoghi con le altre voci, poi, non perde mai la sua precisa connotazione e risalta per inquietudine e solennità, in linea con l’interpretazione di Mariotti.

Stefan Pop, forte di un timbro bello e personale, e sicuro di una tecnica ferrea, affronta la sua difficile parte con grande partecipazione e coraggio, ricercando suoni inediti, talvolta rischiosi, per giungere a risultati di grande impatto, evidentemente desideroso di aderire alla lettura del maestro Mariotti ed emozionare il pubblico. L’“Ingemisco”, attaccato con un fil di voce, splendido, è risolto tutto con tecnica attentissima e timbro tornito e limpido, sorretti da un’interpretazione sofferta e partecipe, mostrata per altro nel corso di tutta la serata.

Riccardo Zanellato, voce di basso scura, brunita e dal timbro avvolgente, affascina e stupisce col suo “Mors stupebit”, tanto cesellato e curato nell’emissione quanto nello studio della parola. Abilissimo nel seguire la linea interpretativa di Mariotti, conferisce al termine “mors” nuovi significati a ogni sua ripetizione, sempre più sofferta e spersonalizzata, mostrando grande partecipazione in un repertorio che lo ha visto sempre brillare ed emergere.

Alla fine di questa Messa, dopo una cascata di applausi calorosi per tutte le parti in gioco, si è usciti da teatro pieni di domande, consci dell’imperscrutabile che ci avvolge, ma risollevati, come se qualcosa fosse stato aggiustato o rimesso al suo giusto posto, come se attraverso quella musica avessimo visto noi stessi.

Mattia Marino Merlo – Teatro Regio di Parma, 23 ottobre 2022

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