Dramma giocoso di Giovanni Bertati
Musiche di Domenico Cimarosa
Nuova produzione Teatro alla Scala
Geronimo Pietro Spagnoli / Matias Moncada
Elisetta Francesca Pia Vitale (5 set.) / Fan Zhou
Carolina Greta Doveri (5 set.) / Aleksandrina Mihaylova
Fidalma Mara Gaudenzi (5 set.) / Valentina Pluzhnikova
Il Conte Robinson Sung-Hwan Damien Park (5 set.) / Jorge Martínez
Paolino Paolo Antonio Nevi (5 set.) / Brayan Avila Martinez
Direttore Ottavio Dantone
Regia Irina Brook
Scene & Costumi Patrick Kinmonth
Luci Marco Filibek
Orchestra dell’Accademia Teatro alla Scala
Solisti dell’Accademia di perfezionamento per Cantanti lirici del Teatro alla Scala
Finalmente Domenico Cimarosa (Aversa, 1749 – Venezia, 1801) riapproda alla Scala e lo fa col suo capolavoro, Il matrimonio segreto.
In questa sede ci esimiamo di esporre esaustivamente la struttura e le vicende dell’opera: rimandiamo chi fosse interessato o meno pratico con questo dramma giocoso alla lettura dell’Invito all’ascolto (https://iltrilloparlante.wordpress.com/2022/09/02/il-matrimonio-segreto-una-introduzione-letteraria/).
Usciamo totalmente entusiasti dalla nuova produzione de Il matrimonio segreto di questa stagione scaligera: certo, non assistendo a un Matrimonio scaligero dal ’49 potevamo aspettarci una reintroduzione in pompa magna, eseguita in maniera totalmente integrale e con tutte le sue iridescenti riprese. Qui, invero, abbiamo sofferto dei tagli che vengono effettuati, tra l’altro alla versione ridotta dell’opera: vengono totalmente tagliati i recitativi dopo il quintetto del secondo atto, come se questo fosse il primo movimento di un lunghissimo Finale II, imperdonabili i tagli a entrambi i finali (soprattutto alle note lunghe sul “canti” del Finale II) e soprattutto non viene eseguito il simpaticissimo terzetto fra Geronimo, Fidalma ed Elisetta “Cosa farete? Via su, parlate”.
Tuttavia questa semplificazione va vista in un’ottica totalmente nobile. L’Accademia di perfezionamento per Cantanti lirici del Teatro alla Scala propone di affiancare ai cantanti un maestro affermato che li guidi e li illumini con la propria esperienza: una grandissima iniziativa che permette la sopravvivenza e la ricchezza del teatro, di oggi e di domani.
In questa occasione non poteva essere stata fatta scelta più felice: il maestro scelto è il superbo Pietro Spagnoli, interprete intelligente, brillante e sempre impeccabile. Il suo Geronimo è un costruito come un carattere perfetto. Da un lato ricorda un Padrino (muove gli attori muti come scagnozzi, fa il gradasso con la pistola) che alla fine cede come un padre stanco e bisognoso di pace. “Udite, tutti udite” è eseguita da manuale e la sua presenza è bastata, nella cavatina del Conte in cui tutti i personaggi fanno da pertichino, a rassicurare tutti i cantanti che da lì hanno proseguito la rappresentazione con la giusta carica. Carolina è Aleksandrina Mihaylova, ribelle alla Pippi Calzelunghe nella sua salopette di jeans e nelle trecce rosse. Vivacissima attrice, sostiene molto bene la parte, soprattutto nelle parti d’insieme e nel languido recitativo accompagnato (in cui Cimarosa fa rievocare la sua Cleopatra) che espone con una bellissima forza anche negli slanci acuti; molto applaudita nel rondò “Perdonate, signor mio”.
La stizzosa sorella Elisetta è Fan Zhou, sicuramente molto emozionata dalla situazione: l’esuberante soprano ha sempre dato prova di stare a suo agio nel registro acuto e ha dato il meglio di sé facendo sentire di cosa è capace nella virtuosa “Se son vendicata”, in cui ha sfoggiato una pirotecnica coloratura.
Una nota di merito alla divertentissima recitazione e al calore della voce a Valentina Pluzhnikova, vestita in larghi boubou africaneggianti e maculati a esprimere la propria indipendenza e la propria forza. Dovrebbe risultare un personaggio secondario e invece è molto (e ben) presente sulla scena, interviene volentieri immischiandosi nelle vicende altrui, dice sempre la sua e in qualche modo primeggia: qui il mezzosoprano centra appieno il personaggio e non perde mai lo smalto. Particolarmente riusciti i terzetti: impostasi con nobiltà fra le due sorelle in “Le faccio un inchino”, ha letteralmente colto nel segno in “Sento, ohimè, che mi vien male”.
Distinto il baritono Jorge Martinez, un coloratissimo Conte Robinson che risulta sempre preciso e calato in una parte sicuramente non facile: stravagante personaggio mondano viene avviluppato negli appartamenti loschi e senza vie d’uscita dell’altrettanto losco signor Geronimo ma non perde mai autoironia e nobiltà di pensiero. Da menzionare la sua aria, “Son lunatico, bilioso”, eseguita perfettamente e spassosissima da vedersi.
Chiude il cast il tenore amoroso, Brayan Ávila Martinez, un Paolino trasformato in un classico bravo ragazzo, uno zelante contabile – e pertanto uno “sfigatello” coi capelli abbaruffati e coi suoi occhialoni spessi. Molto elegante nel suo canto, si è distinto soprattutto nella scena introduttiva (“Cara, non dubitar” e “Io ti lascio perché uniti”) e ha convinto tutti nella sua aria “Pria che spunti in ciel l’aurora”.
L’orchestra diretta da Ottavio Dantone ha eseguito l’intera opera in maniera precisa e puntuale facendo da giusto appoggio alle necessità dei cantanti; merita menzione per merito il cembalo di Eric Foster.
Infine la regia di Irina Brook, che ambienta il dramma giocoso in un ambiente della bassa società. Il signor “don” Geronimo tenta di far sposare la figlioletta Elisetta con un signorotto dell’alta borghesia: la ragazza, già calata nella parte, veste moderno e à la page con sgargianti abitini gialli.
Sicuramente uno spettacolo efficace che offre un’interpretazione moderna a un’opera che vorremmo vedere molto più frequentemente.
Matteo Oscar Poccioni