Acis Jean François Lombard
Galatée Elena Harsányi
Polyphème Luigi De Donato
Apollon, Télème, Le Prêtre de Junon Sebastien Monti
Neptune Guido Loconsolo
Comus, Tircis Mark van Arsdale
Diane, Deuxième Naïade, Scylla Valeria La Grotta
L’Abondance, Aminte, Première Naïade Francesca Lombardi Mazzulli
Une Dryade Silvia Spessot
Un Sylvain Davide Piva


Maestro concertatore e direttore Federico Maria Sardelli
Regia Benjamin Lazar
Scene Adeline Caron
Costumi Alain Blanchot
Luci Christophe Naillet
Coreografia Gudrun Skamletz
Coro e Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino
Maestro del Coro Lorenzo Fratini

Prima rappresentazione in Italia
Nuovo allestimento

Edizione critica a cura di Bernardo Tucci – maggio 2022
Edizione: BTE – Bernardo Ticci Edizioni 2022

A volte ritornano, e questa volta si spera per restare per sempre: Jean-Baptiste Lully, all’anagrafe Giovanni Battista Lulli, nome che giustamente troneggia sulla copertina del programma di sala, è tornato nella sua Firenze, celebrato come giustamente merita. Figlio di un mugnaio fiorentino, nel 1646 arrivò a Parigi, adolescente, al seguito di Roger de Lorraine, cavaliere del casato dei Guisa; nel capoluogo francese trascorse i primi tempi in qualità di paggio, intrattenendo amabili conversazioni in italiano con la duchessa di Montpensier, cugina diretta di Luigi XIV, senza far pensare a quello che sarebbe stato il suo futuro.
Tuttavia manifestò ben presto interesse e talento per il violino e la danza, fino ad arrivare a corte nel 1652, inizialmente come membro dell’orchestra, successivamente come suo direttore principale: si schiusero per lui le porte del palazzo reale, dalle quali non sarebbe più uscito, consacrandosi come il compositore emblematico della Francia del Re Sole. Si potrebbe dire che il resto è storia nota, dal momento che sono suoi alcuni dei titoli, per la verità molti, costituenti la pietra miliare dell’opera francese.

Acis et Galatée si pone come ultima partitura scritta interamente da Lulli e rappresentata in vita dall’autore, prima della sua precoce morte, nel 1687, per un colpo di bastone, a quanto pare troppo ben assestato, sul suo piede, mentre dirigeva con esso il suo Te Deum. Il piede si danneggiò irrimediabilmente e il Nostro, rifiutandosi di farlo amputare, andò incontro alla morte per cancrena e setticemia. Tragica e controversa vicenda, se si pensa che Lulli era anche noto come brillante ballerino: alcuni riportano che questo fu uno dei motivi fondamentali per cui non volle privarsi del piede, sperando forse di curarlo e preservarlo. Per colpa di un bastone, dunque, Lulli perse la sua vita, riacquistandola però a Firenze, negli scorsi giorni, con un bastone simile al suo, questa volta impugnato dal geniale maestro Federico Maria Sardelli. Il direttore toscano, infatti, ha diretto alcuni dei momenti dell’opera, principalmente l’inizio, alcune danze, e la fine, usando un bastone, in piena conformità con l’usanza dell’epoca, battendolo a terra per dettare il tempo agli orchestrali. Tutte le volte che si ascolta una partitura diretta da Sardelli si ha l’impressione di essere molto, troppo fortunati ad avere un tale musicista tra noi, che accende nuova luce su ciò che dirige. Questo è il suo repertorio d’elezione, si sa, e  si percepisce chiaramente uno studio maniacale e profondo di ogni singola nota, badate bene, non fine a se stesso o troppo cerebrale, ma sgorgante da una passione forte e da un’intelligenza davvero non comune. Non si è percepito nessun momento lasciato al caso, tutto è stato musicalmente coerente, specialmente nelle danze che animano l’opera, fiore all’occhiello di una partitura spettacolare ed estremamente moderna nella concezione musicale e drammaturgica, nonostante l’esile vicenda e la presenza costante di pastori, tipici del genere arcadico.


Sardelli ha l’estro e il “multiforme ingegno” adatti a instillare nei suoi “naviganti”, ovvero l’orchestra, quello che sente e vuole. Plauso eccezionale, dunque, all’Orchestra del Maggio, per la prima volta alle prese con strumenti d’epoca, che ha risposto egregiamente alla chiamata “barocca”. Flauti, violini con corde di budello, clavicembali, percussioni, ogni parte ha restituito una modernità non comune per questo tipo di repertorio. Allo stesso modo il coro, sempre mirabilmente istruito da Lorenzo Fratini, ha brillato, pur rimanendo nascosto nella buca d’orchestra, per le sue sonorità ricercate, specialmente nel finale, dove il suo ruolo aggiunge la magia alla celebrazione dell’amore eterno tra Galatée e il redivivo Acis, ormai anche lui divinità fluviale. Ottimamente assortita anche la compagnia di canto, dalle voci ben diversificate e riconoscibili nei vari ruoli, dettaglio non scontato vista la quantità di personaggi che appaiono nell’opera.
Elena Harsányi ha interpretato una Galatée elegiaca e nobile, con una voce ben emessa e ricca di armonici, nonostante il volume non troppo ampio. Il suo è il ruolo più importante dopo quello del basso Poliphème.
La questione dei volumi vocali, comunque, in questo repertorio non è di primaria importanza, e viene sempre dopo l’eleganza e l’abilità di risolvere le insidie barocche.
Riesce abilmente in questo Jean-Francois Lombard, nei panni di Acis, dalla limpida e chiara voce tenorile, piccola ma ben emessa e gentile, nel senso di nobile e delicata, come si addice a un tenero pastore innammorato. I francesi non amavano i castrati e per il ruolo di “amante” utilizzavano gli haute-contre.
Bene anche Valeria La Grotta e Sebastian Monti, nei ruoli di Scylla e Télème, l’altra coppia amorosa dell’opera: entrambi hanno caratterizzato bene questi due personaggi che fanno da cornice all’amore tra Acis e Galatèe, così come hanno restituito pienamente i ruoli di Diane/Deuxième Naïade e Apollon/Le Prêtre de Junon, in cui erano ugualmente impegnati. Luigi De Donato, nel ruolo di Poliphème, nonostante l’emissione a tratti un po’ grezza, ha sfruttato bene la sua potente voce di basso per tratteggiare la figura del bruto innamorato, senza privarsi per questo di dolcezze vocali nei momenti in cui l’amore lo nobilita. Anche certe imperfezioni, forse non volute, hanno contribuito a restituire l’irruenza dello sfortunato figlio di Nettuno. Il resto del cast, impegnato in ruoli secondari, ma non meno importanti, come già accennato, si è disimpegnato con onore: Francesca Lombardi Mazzulli (L’Abondance/Aminte/Première Naïade), Markus Van Arsdale (Comus/Tircis), Guido Loconsolo (Neptune), Silvia Spessot (Une Dryade), Davide Piva (Un Sylvain). Tutta questa compagnia, ben amalgamata, ha seguito con fiducia il maestro Sardelli e ha contribuito in modo fondamentale al successo dello spettacolo.

La regia di Benjamin Lazar ambienta la vicenda in un bosco, rappresentato da uno sfondo dipinto, molto suggestivo, e da alcuni tronchi d’albero. La scena è arricchita con un piccolo baldacchino simile a un palcoscenico, alcuni cespugli sparsi sulla scena e alcune rocce e due creature marine, queste dipinte con buon gusto e ricercatezza. Una piccola scalinata completava la scena, e di volta in volta veniva spostata per esaltare l’arrivo di determinati personaggi. Funzionali ed evocative le luci di Cristophe Naillet. I costumi, invece, fatta eccezione per quello di Poliphème, arricchito da gemme scintillanti, e quelli delle ninfe, di buon gusto, erano un po’ fuori contesto e privi di interesse; taluni ci sono parsi brutti (ad esempio quelli delle divinità maschili, abbinati a inquietanti e stoppose parrucche biondicce più da film fantasy che da mitologia greca). Un vero peccato.
Sugli allori anche la coreografia di Gudrun Skamletz, che ballava assieme a Caroline Ducrest, Robert Le Nuz e Alberto Arcos: i balletti, semplici e godibili, si sono amalgamati molto bene al contesto dell’opera e alla bellezza della musica da ballo, presenza determinante in questa partitura.
A questo punto possiamo dirlo senza riserve: Lulli (e non Lully), ben tornato a Firenze.

Mattia Marino Merlo