Teatro del Maggio, Auditorium Zubin Mehta – Stagione 2021/22
LO SPOSO DI TRE, E MARITO DI NESSUNA
Dramma giocoso in due atti
Libretto di Filippo Livigni
Musica di Luigi Cherubini
Don Pistacchio Fabio Capitanucci
Donna Lisetta Sara Blanch
Don Martino Ruzil Gatin
Donna Rosa Arianna Vendittelli
Don Simone Alessio Arduini
Bettina Benedetta Torre
Folletto Giulio Mastrototaro
Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Diego Fasolis
Regia Cesare Lievi
Scene e costumi Luigi Perego
Luci Luigi Saccomandi
Nuovo allestimento
Lo sposo di tre, e il marito di nessuna di Luigi Cherubini finalmente dopo due recite cancellate è andato in scena nel nuovissimo Auditorium Zubin Mehta dalla strepitosa acustica e dal design moderno e funzionale. Ad accogliere il pubblico Apollo e sei muse di Bruno Innocenti (1906-1986) provenienti dal foyer dell’ex Teatro Comunale. Zubin Mehta e la moglie hanno donato in questi giorni al Teatro 1.000.000 di euro in titoli. Cherubini è un illustre cittadino di Firenze e il mestro Riccardo Muti ha fatto molto musicalmente per lui. Vi è anche il desiderio di far tornare le spoglie da Parigi a Firenze evento che non si è ancora realizzato. Santa Croce lo sta aspettando. L’opera presentata con due anni di ritardo causa la pandemia è una composizione giovanile di Cherubini: andò in scena presso il piccolo Teatro San Samuele di Venezia nel novembre 1783 e non venne più ripresa fino alle recite del Festival di Martina Franca nel 2005 e lì incisa. Due preziosi cd che ci permettono di vedere le differenze tra l’edizione pugliese e l’odierna fiorentina. Parliamo qui solo delle differenze di durata. A Martina Franca l’opera durava 2 ore e 30 minuti mentre a Firenze, escluso l’intervallo l’opera è durata 3 ore e 20 minuti. Il maestro Fasolis ha limato solo qualche recitativo ma ha eseguito integralmente tutta l’opera compresi i da capo delle varie arie. Una scelta vincente perché ci ha permesso di apprezzare appieno l’ampio arazzo musicale tessuto da Cherubini per il pubblico veneziano. Il compositore fiorentino scrisse questa opera tipica settecentesca a 23 anni negli anni italiani prima di spiccare il volo in Francia dove la sua arte si sviluppò enormemente fino al capolavoro massimo di Médée. La riscoperta della Mèdée, o meglio della Medea, negli anni cinquanta del XX secolo è avvenuta, come a tutti noto, grazie all’interpretazione di Maria Callas, che la riportò sulle scene nel 1953, proprio qui presso il Teatro Comunale di Firenze. Il libretto de Lo sposo di tre, e il marito di nessuna di Filippo Livigni sfrutta molte situazioni che osiamo dire “goldoniane” ma soffre un poco di episodi ripetuti a cui avrebbe giovato uno snellimento in fase compositiva.
L’esecuzione presso la sala Zubin Mehta la possiamo definire ottima. La perfezione della resa acustica e della pronuncia dei 7 solisti rende quasi inutili i sottotitoli. Ben evidenti sono le differenze con cui Cherubini traccia i caratteri. Donna Lisetta, a cui si affida la parte più impegnativa, e Donna Rosa sono trattate come personaggi seri come Donna Anna e Elvira nel Don Giovanni. Il tenore Don Martino è un tenore di mezzo carattere. Buffo e caricato il ruolo di Don Pistacchio, divertenti i ruoli di Folletto e Bettina che muovono la vicenda con le loro trame e raggiri: sembrano un po’ l’intrigante Valzacchi e la sua compagna Annina nel Rosenkavalier.

Donna Lisetta è Sara Blanch che entra in scena in calesse suonando la trombetta da postiglione. La sua seconda aria “Son amante” è alquanto impegnativa e completamente seria. Sara Blanch affronta con perizia i numerosi salti e la voce risulta chiara e luminosa. E’ l’unica artista che viene beneficiata di un recitativo accompagnato a cui segue “Dolce fiamma” un aria dai bei colori e da acuti cristallini.
Donna Rosa Arianna Vendittelli è la vera promessa sposa di Don Piscacchio che però viene ingannato dalle fotografie di Don Martino. Per tutta l’opera Donna Rosa cerca inutilmente di convincere Don Pistacchio che è lei la sposa. La sua prima aria è lenta e drammatica, mentre la sua aria del secondo atto ha un grazioso effetto eco di tipo imitativo. Il timbro della Venditelli è leggermente più scuro rispetto all’altro soprano e riesce bene a caratterizzare il personaggio. Bene le ampie arcate sonore.
Don Pistacchio Fabio Capitanucci giustamente vestito di verde in riferimento al suo nome. Il baritono si presenta come un gagà, infarcendo il suo linguaggio di francesismi. Impegnato nei numerosi insiemi riesce sempre a emergere sballottato a destra e sinistra dagli eventi. Dopo l’arrivo dei due finti avvocati si lancia nell’aria “Facciamo un po’ silenzio”dallo spericolato sillabato. Capitanucci nella recita odierna sbaglia alcuni versi bloccando il flusso continuo dello scioglilingua di quest’aria. Un vero peccato ma ci sembra che nelle altre recite non sia stato segnalato questo errore. Capitanucci è dotato di eccellente timbro, caldo e pastoso. Stupito si rivolge alla Sibilla Cumana con i buffi versi “Askara ki kila”. Il ruolo di Pistacchio nella registrazione audio della Dynamic era svolto da Giulio Mastrototaro che rese in maniera mirabile l’aria nominata “Facciamo un po’ silenzio”, da grande basso buffo. Nella versione odierna interpreta Folletto abbigliato dalla regia come un Mago, un poco furfante. L’introduzione dell’opera è un duetto con l’amica Bettina. La sua prima aria a metà del primo atto è “Chi tiene moneta” e Mastrototaro è capace di interpretare e di sottolineare ogni frase. Divertente l’immancabile passaggio onomatopeico “Chio, chio, fru, fru, cri cri” dove Folletto e Bettina si rivolgono al pubblico durante il Finale I. Folletto darà la voce anche alla fantomatica Sibilla Cumana.

Don Martino è il simpatico Ruzil Gatin un tenore di grazie perfetto per il ruolo. Canta “Superbo di me stesso” e cita il “taici”lo stesso “taice” citato da Dandini nella Cenerentola, una danza dell’epoca. Infatti l’ultima parte dell’aria è un ballo dove il tenore non deve fare altro che “La la la”. Il cantante è inoltre un ottimo attore dotato di una naturale simpatia sulla scena. Bettina è Benedetta Torre dalla piacevolissima voce, piena di verve come in “Un certo pizzicore” mentre gli archi appunto “pizzicano”. Incisiva anche all’inizio del secondo atto con la sua aria. Don Simone è il giovane Alessio Arduini invecchiato a dovere per sembrare lo zio di Don Pistacchio. Già apprezzato recentemente alla Scala come Prosdocimo nel Turco in Italia anche stasera risulta convincente e dotato di elegante timbro baritonale. E’ forse il ruolo meno sviluppato di tutto l’opera omaggiato solo con una breve aria e partecipazione negli assiemi. Bellissimo il quintetto nel primo lungo atto che, come in Rossini, spezza l’atto in due. Il Finale I ha in realtà due apici, notevole la seconda parte “Mi par sentire un organo” con note alte e basse, con imitazione degli zufoli e con un crescendo e diminuendo sensibile. Anche il Finale II è molto composito e dà pieno compimento a questa opera buffa. Il Maestro Diego Fasolis ha staccato sempre tempi corretti dando anche rilievo alle arie “serie”, lavorando con una lente d’ingrandimento anche su questi passaggi. I compositi Finali d’atto hanno necessitato grande studio ma i risultati erano evidenti, perfetta sinergia tra cantanti e orchestra e strette inebrianti.

Spettacolo di Cesare Lievi ben congeniato, con un muro diviso in varie pareti rotanti che creavano tante scene differenti, una grande poltrona rossa, mimi vestiti da vasi, un cavallo/mimo, il calesse, tanti e tanti elementi che davano progressione alla storia. Una produzione nata con due anni di ritardo… valeva la pena per un lavoro così completo e raffinato. Viva Cherubini.
Fabio Tranchida