Iphigénie en Tauride
Tragedia lirica in quattro atti
Libretto di Nicolas-François Guillard, tratto dall’omonima tragedia di Euripide
Musica di Christoph Willibald Gluck
Iphigénie Anna Caterina Antonacci
Oreste Bruno Taddia
Pylade Mert Süngü
Thoas Michele Patti
Diane/Una donna greca Marta Leung
Prima Sacerdotessa Luisa Bertoli, Miriam Gorgoglione
Seconda Sacerdotessa Erica Rondini, Chiara Ciurlia
Uno Scita Alessandro Nuccio
Ministro del tempio Ermes Nizzardo
maestro concertatore e direttore d’orchestra Diego Fasolis
regia Emma Dante
scene Carmine Maringola
costumi Vanessa Sannino
luci Cristian Zucaro
maestro del coro Massimo Fiocchi Malaspina
Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano
Coro di OperaLombardia
Nuovo allestimento dei Teatri di OperaLombardia
Christoph Willibald Gluck è il compositore della grande riforma operistica attuata con caparbietà e intelligenza a partire dall’ Orfeo ed Euridice, con il libretto di Ranieri de’ Calzabigi. La prima avvenne al Burgtheater di Vienna il 5 ottobre 1762. Iphigénie en Tauride, tragedia lirica in quattro atti, su libretto di Nicolas-François Guillard conclude la fase della riforma essendo la penultima opera di Gluck prima della sua morte. Un’opera che riassume su di te quindi tutta l’esperienza drammaturgica e musicale del compositore, già famoso per Alceste, Armide, e l’altra Iphigénie, quella “en Aulide” dove lei stessa deve essere sacrificata. Anche l’opera che abbiamo ascoltato in queste sere al Fraschini di Pavia, (già Teatro dei quattro cavalieri) stupenda creazione del Bibbiena, sala a campana conservata nella sua integrità, parla di sacrificio e precisamente sono Pilade e Oreste che devono essere immolati durante tutto lo svolgimento dei quattro atti. L’opera è stata eseguita nel migliore dei modi e già il cartellone presentava cantanti di fama internazionale insieme all’esperto direttore Fasolis e alla rivoluzionaria Emma Dante.
Già all’aprirsi del sipario, mentre in orchestra infuria una tempesta marina, ecco Iphigénie e 7 donne, legate insieme da una unica ampia gonna rossa, che si agitano in maniera convulsa. Un grande colpo di scena che ci ha portato all’interno della vicenda in medias res. Il coro è presente in questa prima parte vestito di nero nell’atto di commentare la vicenda. Poco dopo questa tempesta ecco comparire sulla scena l’Eretteo con la sua loggia delle Cariatidi, che custodisce ad Atene la tomba del re Cecrope. Emma Dante scolpisce questo monumento con 6 donne-mimo che tengono con le loro braccia tese l’architrave del santuario. All’arrivo di Pilade ed Oreste ecco intrecciarsi tra loro una specie di sabba infernale con 8 donne come streghe e con bastoni.
Nel 2° atto bastano alla regista 8 colonne ioniche per disegnare lo spazio. Pochi i riferimenti religiosi cattolici spesso utilizzati in altre regie da Emma Dante, qui ci accorgiamo solo della presenza di un turibolo. Eleganti le due altalene di fiori del terzo atto e la scena finale con uno scheletro di cervo centro dell’azione drammatica tesissima della conclusione dell’opera.

Iphigénie è il soprano Anna Caterina Antonacci, che non ha certo bisogno di presentazioni, visto la luminosa carriera internazionale. La cantante esprime con la sua voce tutta l’agitazione della sacerdotessa.
Ottima la pronuncia del francese, corroboranti le ampie frasi sostenute con estrema naturalezza. Tutti i primi 20 minuti dell’opera hanno come protagonista il soprano. Nel secondo atto molti applausi per l’aria di Iphigénie così come viene apprezzata all’inizio del quarto atto, aria seguita da una ampia marcia.
Oreste è il baritono pavese Bruno Taddia che deve affrontare una vocalità ibrida, sempre sulle note di passaggio. La voce è robusta e stentorea e fin dall’inizio del secondo atto ogni frase lascia il segno. Taddia riesce ad esprimere sia il grande amore e amicizia verso Pylade, sia la tensione per il sacrificio che si deve compiere. Applausi a scena aperta nel secondo atto a Taddia dopo la sua aria. Ottimo anche come attore, il baritono svela a Iphigénie di essere suo fratello al termine del IV atto creando ulteriori intrecci nel teso finale.
Pylade è il tenore turco Mert Süngü, già ascoltato molte volte in ottime produzioni. La voce è sfruttata in quest’opera nella sua eccezione di baritenore e si fa apprezzare per il timbro squillante. Tesi i duetti con Oreste dove l’intreccio delle voci è sempre distinguibile. Mert Süngü riceve un grande applauso dopo la sua aria del secondo atto. Il canto risulta sempre teso e drammatico ciò facilitato anche da un metodo di studio pensato dalla regista. Infatti i protagonisti durante le prime prove hanno eseguito l’opera come se fosse un testo in prosa per rendere al massimo le relazioni tese fra gli attori/cantanti.
Buona la prova di Michele Patti nello ieratico personaggio Thoas. Qualche asprezza nelle note più acute è sopperita da un buon fraseggio centrale e grande presenza scenica. Thoas che insiste sul sacrificio di Oreste e Pylade verrà ucciso proprio da Pylade sulle battute finali.

Grande la direzione di Diego Fasolis che aveva già eseguito la partitura a Salisburgo. Dall’orchestra riesce ad ottenere suoni corruschi nella tempesta iniziale, riesce a dare gran ritmo alle danze e pienezza al sostegno dei cori. Il coro ha una componente fondamentale nella riforma gluckiana, il coro recupera la sua funzione greca. Il maestro Massimo Fiocchi Malaspina ha grande competenza nel preparare i cori che in questa opera spesso interagiscono in stretto rapporto con i protagonisti. Compatte sono le sonorità dei cori sia del versante femminile che maschile.
Una opera che si studia spesso in conservatorio ma che dovrebbe essere eseguita sul palcoscenico più spesso. Queste novità, queste riforme, non sono solo da studiare ma talmente vitali che ogni esecuzione si rivela come una epifania.
L’opera verrà eseguita ancora a Brescia, Como e Cremona.
Fabio Tranchida