Musica di Gioachino Rossini
Poesia di Felice Romani
Selim | Erwin Schrott |
Donna Fiorilla | Rosa Feola |
Don Geronio | Giulio Mastrototaro |
Don Narciso | Antonino Siragusa |
Prosdocimo | Alessio Arduini |
Zaida | Laura Verrecchia |
Albazar | Manuel Amati |
Direttore | Diego Fasolis |
Regia | Roberto Andò |
Scene e luci | Gianni Carluccio |
Costumi | Nanà Cecchi |
L’ultimo spettacolo andato in scena alla Scala nel 2020 prima della chiusura dei teatri fu proprio questa produzione de Il Turco in Italia firmata da Roberto Andò e diretta da Diego Fasolis.
Rossini aveva composto un dittico serio e buffo per Venezia, Tancredi e L’italiana in Algeri entrambi salutati da vivo successo, una vera propria consacrazione del giovane genio. A questo punto Rossini volle replicare il successo a Milano con Aureliano in Palmira e Il turco in Italia entrambe su libretto di Felice Romani. Aureliano non ebbe il successo sperato non certo per la sublime qualità della musica ma per l’indisposizione dei cantanti: il castrato Velluti non cantò affatto bene e il tenore protagonista fu sostituito all’ultimo con un “corista”! Rossini dovette tagliare quindi un intero duetto e molta altra musica cosicché l’opera non fu apprezzata. Solo nel 2014 a Pesaro si è potuto ascoltare l’opera come concepita da Rossini grazie all’Edizione Critica. Abbiamo pochi articoli sulla ricezione del Turco in Italia alla Scala nel 1814: essi testimoniano una accoglienza iniziale tiepida ma molte furono le repliche. Rossini sapeva bene il valore della musica di quest’opera e la tenne sempre in considerazione. La musica è integralmente nuova, senza autoprestiti, se si escludono due piccoli temi appena accennati. Già l’anno successivo, nel 1815, Rossini apportò varie modifiche per l’edizione romana, con una nuova aria per Fiorilla “Presto amiche, a spasso, a spasso” che divenne poi da quel momento la sua cavatina di presentazione standard. Aggiunse anche una cavatina per Narciso “Un vago sembiante” eseguita in questi giorni alla Scala sfruttando le doti di Antonino Siragusa. Per l’aria di Fiorilla che quasi conclude l’opera riscrisse in parte la linea vocale della cabaletta e la cantante Rosa Feola ha fatto giustamente tesoro di queste variazioni autentiche, usandole nella sua performance con grande successo. A Napoli il Turco venne rappresentato nel 1817 e subì varie manomissioni: dialoghi parlati, vernacolo partenopeo e tagli di vari numeri tra ci le due arie di Don Geronio. Questa versione è stata eseguita alcuni anni fa presso il teatro Olimpico di Vicenza.
Il Turco nel ‘900 risorse proprio alla Scala grazie a Gavazzeni e la Callas (peccato per i micidiali tagli alla partitura tra cui “Squallida veste e bruna”!!!!!). Ricordiamo con piacere la versione diretta da Chailly con la Devia. Pochi mesi dopo Chailly incise l’opera con Pertusi e la Bartoli per la Decca lasciandoci una delle migliori versioni dell’opera su disco.
Il cast di queste recite scaligere è di altissimo livello e il piacere che ci suscita questa musica ci ha invitato ascoltare 4 recite di questa produzione. Erwin Schrott aveva già interpretato Selim al ROF con una intelligente regia di Davide Livermore tutta dedicata a Fellini e il suo mondo.
Erwin Schrott è più di un cantante, è un animale da palcoscenico, un perfetto attore che sa muoversi sul palco e coinvolgere gli altri protagonisti. La voce è ampia e debordante, fin da “Bella Italia, alfin ti miro” ci dona calde e pastose frasi con una corretta coloratura. Mirabile la sua performance nel Quartetto del primo atto e nel duetto buffo che apre il secondo atto. Il suo dialogo con Don Geronio si fa sempre più fitto fino all’indiavolata stretta che richiede sia sillabazione che coloratura. Un pezzo eseguito perfettamente. Don Geronio è un nome parlante deriva da “gero” vecchio in greco, così come il Signor Geronimo nel Matrimonio segreto. Interprete del marito tradito è il grande Giulio Mastrototaro che di recente alla Scala ci aveva deliziato con Haly nell’Italiana in Algeri. Le due Cavatine che canta, una per atto, non sono state composte da Rossini ma sono di ottima fattura. “ Vado in traccia d’una Zingara” prevede l’inserimento anche di un coro femminile che canta solo in questo numero musicale. Qui Giulio Mastrototaro sfoggia un canto saporito, con i giusti accenti. Superlativa la seconda aria dove i sillabati velocissimi vengono sgranati senza alcuna difficoltà. Le frasi sono piegate ai concetti che esprimono, allargando e accelerando i tempi, ottenendo l’effetto desiderato. In un contesto metateatrale Giulio Mastrototaro canta “Se ho da dirla avrei molto piacere” da un palco della Scala rivolgendosi direttamente agli spettatori. Fasolis lo esorta a portare a termine l’aria! Quanta intelligenza nella concertazione di questa opera. Donna Fiorilla è l’amata Rosa Feola qui alla Scala ottima ne La gazza ladra e nel Don Pasquale. Vanitosa, il giusto sopra le righe, disegna un personaggio volitivo che cade presto vittima d’amore e solo con un finto divorzio saprà risollevarsi e pentirsi. Un percorso così complesso non caratterizza certo Isabella nell’Italiana in Algeri. La voce è chiara e limpida in “Non si dà follia maggiore” dal ritmo così saltellante. I due duetti con Selim sono un capolavoro di seduzione, di scaltrezza. Le due voci soprano e basso/baritono si fondono insieme in ampi squarci dando credibilità ai personaggi. La Feola è davvero maestra nella grande aria “Squallida veste e bruna” un’aria davvero impegnativa condotta con piena sicurezza e con le ardue variazioni previste da Rossini per la ripresa romana.
Prosdocimo è il bravo Alessio Arduini motore dell’intera vicenda. Voce baritonale elegante ci delizia nell’originalissimo terzetto le cui 4 prime note (che si ripetono per tutto il brano) derivano dal motto “Così fan tutte” di Mozart. Un omaggio rossiniano al salisburghese che proprio in quegli anni veniva rappresentato alla Scala con un certo ritardo. Romani aveva previsto una aria per il Poeta “Era Socrate un grand’uomo” ma Rossini non la musicò forse per lasciare il personaggio come motore e non solista. Rossini scrive in partitura prima della stretta del finale primo “Il maestro si rimette all’arte del Sig. Vasoli onde sia ben investita questa corona musicale”. Arduini segue alla lettera Rossini e dopo aver fatto litigare le due rivali ci regala una ampia cadenza virtuosistica cosa che fa anche nel finale secondo. Generoso.

Don Narciso è un personaggio aggiunto da Romani al precedente libretto da cui è tratto Il turco in Italia. Antonino Siragusa è omaggiato con entrambe le arie: “Un vago sembiante” dove il tenore dialoga con i saltellanti fiati così ben delineati dal compositore. Più ampia la seconda aria “Tu seconda il mio disegno” dalla struttura più classica. Siragusa canta con facilità la raffinata linea vocale elargendo acuti nella cabaletta conclusiva.
L’Albazar di Manuel Amati è scolpito appieno nella sua aria del secondo atto trasformata in un provino di fronte a Prosdocimo, il poeta. Amati con la sua brillante voce tenorile finge di essere insicuro nella parte e nelle appoggiature ma ben presto prende sicurezza e procede a passi sempre più sicuri fino allo slancio finale. Amati presente anche l’anno scorso in questa produzione è riuscito ha infondere anima ad Albazar.
Eccezionale il direttore Diego Fasolis che ha curato ogni dettaglio della partitura. Una concertazione attenta con la presenza costante del fortepiano suonato dal maestro James Vaughan che in maniera estemporanea ha ornato tutta, dico tutta la partitura. Diego Fasolis oltre a consegnarci la partitura nella sua assoluta integrità, limando giustamente qualche superfluo recitativo, e inserendo anche 2 arie alternative, è attento al rapporto buca e voci, voci che rispetta in ogni istante. Non è una lettura didascalica, ma una lettura viva, piena di interpretazione, di dinamica, di colori. Don Geronio viene schernito dall’orchestra con una stonatura dei corni a rimando delle sue… corna!

La bella idea di trasformare l’aria di Albazar in un provino sarà nata proprio a Fasolis. Tutto è stato coordinato col bel spettacolo di Roberto Andò pieno di azzurro, azzurro mare. Le onde che si infrangono in fondo al palcoscenico per tutta l’opera, i costumi azzurro notte per il mirabile quintetto. Bellissimi i costumi di Nanà Cecchi che ci restituiscono l’epoca della composizione dell’opera, il neoclassicismo, presentato però con la massima libertà, contaminato da 1000 invenzioni.
Speriamo che questo spettacolo venga presto ripreso alla Scala e in altri teatri.
Fabio Tranchida