Musica di Giuseppe Verdi
Libretto di Antonio Ghislanzoni
In forma di concerto
CAST | |
Il Re | Roberto Tagliavini |
Amneris | Anita Rachvelishvili |
Aida | Saioa Hernández |
Radamès | Francesco Meli |
Ramfis | Jongmin Park |
Amonasro | Amartuvshin Enkhbat |
Messaggero | Francesco Pittari |
Sacerdotessa | Chiara Isotton |
Direttore | Riccardo Chailly |
Coro e Orchestra del Teatro alla Scala
Maestro del Coro Bruno Casoni
Il Teatro alla Scala propone nella rimodulazione della stagione autunnale una Aida per alcuni aspetti unica. Il virus impone una esecuzione in forma di concerto che permette una attenzione particolare alla musica scevra dagli allestimenti faraonici che talvolta distraggono da un perfetto ascolto.
Riccardo Chailly è assoluto protagonista della serata esaltando una orchestra in stato di grazia che asseconda l’esigente bacchetta. Mille dettagli vengono messi ben a fuoco, i fiati ben espressi un tutte le loro componenti, una compattezza di suono veramente speciale. Verdi è ormai nelle sue massime capacità, con frasi sempre più maestose ed elaborate a cui viene associata una orchestrazione ricchissima con particolari armonici nuovi.
Verdi aveva esordito come compositore di grand-opéra con Jérusalem (una rielaborazione de I Lombardi) opera di buon successo e buona circolazione in Francia.
Les Vêpres siciliennes composta espressamente per Parigi fu accolta calorosamente come il successivo Le Trouvère.
Ma ecco che due insuccessi intervennero nella carriera francese di Verdi: il rifacimento in francese di Macbeth venne schiacciato dall’esecuzione de L’Africaine di Meyerbeer deceduto l’anno prima ma ancora il beniamino dei francesi. Il direttore del teatro cercava di rassicurare Verdi sull’esito di Macbeth ma ben presto la realtà venne a galla e dopo le prime rappresentazioni il Macbeth francese non venne più eseguito così come avvenne ancora più clamorosamente con il Don Carlos. A Parigi quest’opera ebbe un successo solo di stima e non venne più ripresa all’Opéra se non in tempi moderni. Il Don Carlos certo ebbe grande vita in Italia nelle varie versioni ma certo Verdi perdette la partita con Meyerbeer che regnava all’Opéra con Robert le Diable, Les Huguenots, Le Prophète e L’Africaine. La successiva Forza del destino, non un grand-opéra, ha però degli elementi che provengono dall’ L’Étoile du Nord.
Verdi con Aida riesce in ciò che in parte aveva fallito in Don Carlos, cioè una estrema sintesi degli elementi spettacolari ed edonistici insieme alla vicenda drammatica. Mentre Don Carlos dovette passare sotto a numerose revisioni per ottenere una nuova, più fruibile fisionomia, Aida praticamente nacque perfetta salutata da un successo incondizionato da 150 anni.
In realtà qualche revisione l’opera l’ebbe e l’esecuzione odierna ci propone un inedito, l’apertura mai eseguita dell’atto terzo.
Aida era pronta come partitura me la guerra Francia-Prussia bloccò l’allestimento del Cairo per un anno. In quest’anno Verdi fece due modifiche note alla partitura. 1. Riscrisse la cabaletta del duetto Aida Amneris del secondo atto. La musica non c’è pervenuta stando le ricerche attuali. 2. Riscrisse l’apertura del terzo atto eliminando un coro alla Palestrina, inserendo un nuovo coro e la romanza celeberrima “O cieli azzurri”. Questa musica è stata ritrovata da poco a Sant’Agata e il musicologo Anselm Gerhard ne ha curato l’edizione per la Scala. Una prima mondiale che neanche Verdi ebbe mai modo di ascoltare. In realtà il coro fu riutilizzato poco dopo nel Requiem manzoniano che già aveva preso brani dal Requiem composto per Rossini, e da un brano espunto dal Don Carlos.
Nel dicembre del 1871 compose una ampia sinfonia per Aida della durata di 11 minuti ma durante le prove ripristinò il Preludio. Mercoledì 21 ottobre Chailly eseguirà questa Sinfonia nel concerto con Anna Netrebko. Nel 1880 per l’Opéra Verdi compose nuovi ballabili per il secondo atto e con la ripetizioni di alcuni già composti diede fisionomia finale alle danze.
La Scala eseguendo quindi il primitivo finale III e l’ouverture (nel concerto di mercoledì) dà prova che la filologia è al servizio del musica e non il contrario. Dà prova che un’operazione di ricerca musicologica porta a risultati positivi, permettendo l’ascolto delle idee primitive del Maestro. L’inserimento della Romanza “O cieli azzurri” è una lettera d’amore a Teresina Stolz, un Romanza che vorremmo ascoltare e riascoltare ma che interrompe l’azione. Interessante quindi proporre almeno per questa esecuzione la prima versione col coro alla Palestrina e un recitativo ampio e complesso di Aida che prelude al duetto col padre.
Parliamo ora un poco dei notevoli cantanti di questa produzione.
Radamès è Francesco Meli che ottiene il meglio dal suo personaggio. Meli è un tenore elegante, che gioca in continuo con ampi chiaroscuri della voce. Il timbro è squillante e le frasi ampie e legate. Granitiche le parole “Ergerti un trono” nella prima romanza o “Sacerdote , io resto a te” nel terzo atto. Notiamo che talvolta il tenore cerca di ispessire la voce con un effetto un poco manierista. Ma è un peccato veniale e tutta la serata si risolve in un meritato trionfo.

Aida è Saioa Hernández che ricordiamo sempre diretta da Chailly in una eccellente Odabella (Attila). Ma qui le cose non vanno così bene, forse poiché il ruolo è più sfumato e complesso. Saioa Hernández canta bene la sua parte ma senza una partecipazione autentica, il canto rimane freddo con alcune impurezze nell’intonazione di alcuni acuti che avremmo voluto più limpidi. I due duetti d’amore del III e IV atto vanno un poco meglio grazie ad una certa intesa col tenore. Non sentiamo però l’abbandono belliniano dell’ultimo tempo del duetto dopo che la fatal pietra ormai ha bloccato i due amanti.
Amneris è l’incredibile Anita Rachvelishvili, una vera potenza della natura. La potenza del suo canto è qualcosa di davvero sorprendente e riesce a contrastare da sola il canto di tutto il coro dei sacerdoti. La psicologia di Amneris è perfettamente compresa e il canto è una colata lavica, con suoni ampi e pastosi, nessun sensibile cambio di registro, ma una uniformità nelle ampie e feline frasi pronte a minacciare Aida, Radames e Ramfis. Spaventa il suo annuncio “Cadde trafitto a morte” e tutti noi che conosciamo la trama quasi le crediamo. Nel duetto con Radames, Anita Rachvelishvili sembra associarsi al controfagotto che serpeggia nell’orchestra, insidioso come lei stessa. Rispetto alla sua famosa Carmen al Piermarini la cantante ha ora un mezzo vocale completo e ampio, raggiungendo la piena maturità.
Ottimo il Ramfis di Jongmin Park, veramente autoritario e credibile. I mezzi vocali sono ampi e sonori coinvolgendo con sé tutto il coro dei sacerdoti in potenti invettive. Il Re è Roberto Tagliavini, ben conosciuto basso di Parma, dalla parte più ridotta rispetto Ramfis ma non per questo di minor valore. Il canto di Tagliavini è rotondo e ben curato e permette anche negli ampi assiemi del primo e secondo atto di avere una perfetta concertazione.
Amonasro è il baritono Amartuvshin Enkhbat che mantiene alta la qualità della compagnia di canto. Sicuro, compatto, ampio, il baritono riesce a regalarci un padre fiero ed orgoglioso che vuole usare la figlia per i suoi scopi. Una certa ruvidezza è voluta per enfatizzare il carattere autoritario del padre. La sacerdotessa il cui vero nome è Termuthis è Chiara Isotton soprano di valore che gioca con le dinamiche contrastanti delle due arpe.
Il coro posizionato dietro all’orchestra e abbastanza lontano non raggiunge l’intensità sonora con cui siamo abituato ascoltarlo in Aida quando le masse corali cantano in proscenio. Questo è solo un dato tecnico dovuto alla diposizione delle masse durante la pandemia. Ma ciò non toglie niente alla bravura del coro maschile e femminile della Scala, precisissimo e compatto nell’esecuzione della complessa partitura che ha nel coro uno degli suoi elementi base. Nei due finali nell’atto I e nel grandioso finale dell’atto II i cori sono fondativi e da loro si genera tutto il linguaggio di questi pezzi magistrali dotati comunque di una “sintesi verdiana” sconosciuta a Meyerbeer che invece espandeva i brani quasi senza limite.
Una opera indagata nella sua anima più intima dalla direzione di Chailly che per esempio nei tre momenti di danza esprime al meglio le filigrane orchestrali ricamate dal compositore. In alcuni ballabili Chailly parte con un tempo leggermente rallentato per poi quasi subito serrare il discorso con il tempo corretto. Alcuni passaggi dell’opera hanno i un tempo più lento di come siamo abituati ad ascoltarli e ciò crea una attenzione e concentrazione unica. L’esecuzione in forma di concerto è stato quindi un vantaggio e ci ha permesso di accorgerci di molti particolari inediti di questa ricca partitura.
La stagione procede con la massima prudenza. Annullata la recita di lunedi di Aida causa la positività di Meli. I successivi concerti sono confermati ma posticipata la conferenza stampa che ci parlerà delle opere da gennaio a marzo.
Fabio Tranchida