Libretto di Salvadore Cammarano
Musica di Giuseppe Verdi
Il conte di Luna | Massimo Cavalletti |
Leonora | Liudmyla Monastyrska |
Azucena | Violeta Urmana |
Manrico | Francesco Meli |
Ferrando | Gianluca Buratto |
Ines | Caterina Piva |
Ruiz | Taras Prysiazhniuk |
Zingaro | Giorgi Lomiseli |
Messo | Hun Kim |
Direttore | Nicola Luisotti |
Regia e scene | Alvis Hermanis |
Costumi | Eva Dessecker |
Luci | Gleb Filshtinsky |
Co-scenografa | Uta Gruber-Ballehr |
Video Designer | Ineta Sipunova |
Coro e Orchestra del Teatro alla Scala
Nuova Produzione Teatro alla Scala
in coproduzione con Salzburger Festspiele
Il Trovatore fa parte della così detta Trilogia popolare, che comprende Rigoletto e Traviata. Rispetto a quest’ultime il libretto di Trovatore non è certo così innovativo e “moderno”, Piave era molto più malleabile di Cammarano e sappiamo quanto i libretti li pensasse e “realizzasse” Verdi: i poeti sistemavano solo versi ma le situazioni e la “selva” le decideva Verdi stesso. Il bussetano si innamorò di questo dramma spagnolo a fosche tinte per non dire proprio horror e ne venne fuori un libretto solido, dove i 4 protagonisti hanno ognuno lo spazio per mettersi in vista. La zingara doveva essere protagonista assoluta e Leonora una seconda donna ma poi Verdi mutò avviso ed equilibrò le parti. Anzi, sebbene prevista solo l’aria del “Miserere” Leonora beneficiò all’ultimo anche di una sviluppata aria di sortita. In scena accade poco poiché tutto ciò che sentiamo sono racconti di ciò che non abbiamo visto o perché successo 5 lustri prima o poiché successo tra gli atti. Certo un po’ di azione sarebbe stato facile collocarla, per esempio un po’ di musica per vedere il duello tra i due fratelli e sentire una potente voce divina di basso che dice “Non ferir!”, o un po’ di musica per il doppio ratto di Leonora concentrato in pochissime battute e quasi incomprensibile. Il finale IV è fulmineo e rende difficile una successione credibile degli eventi sul palcoscenico, nella versione francese la musica viene raddoppiata per uno sviluppo più coerente. Nella versione francese data per esempio due anni fa al Farnese di Parma è previsto un differente preludio e coro del terzo atto a cui segue un balletto di 30 minuti che differentemente da altri cita dei temi caratteristici dell’opera. Cammarano era stato più prolisso di quando aveva in mente Verdi il quale eliminò la stretta del finale secondo diligentemente preparata dal librettista. Ecco i versi stralciati da Verdi:
Conte
In me vibra la spada, il pugnale
Fammi spento cadere al tuo piè
Ancor tua questa donna fatale
Sin che un’aura io respiro non è
Manrique
Sia respinto quest’uomo insensato
Morte invano egli spera da me
Vivi, e renda il sapermi beato
Un supplizio la vita per te
Leonora
Ah!Manrique si fugga da lui
Tal l’indonna spavento di me
Qual se in fronte leggessi a costui
la condanna di morte per te!
Ruiz e Armati
Vieni è sempre fugace la sorte!
Guai che presto è fermarla non è!
Ferrando e Seguaci
Cedi…spesso col cedere, il forte
Vincitore, da vinto si fe’.
La brevità gran pregio… Verdi oltre ad eliminare tutta questa stretta pleonastica, trasforma il concertato in un movimento abbastanza veloce tanto da dare il senso alla conclusione del secondo atto suggellato dalla magnifica frase di Leonora “Sei tu dal ciel disceso, o in ciel sono io con te”.
Qui alla Scala si è eseguita logicamente la versione originale, più stringata e concisa, in un allestimento di Alvis Hermanis, che nel 2014 a Salisburgo collocò la vicenda in una rossa pinacoteca. Il regista di Riga ha annullato una ambientazione medioevale del XV secolo inserendo i personaggi in una cornice contemporanea. Lo spettacolo viene ripreso in versione riveduta dal regista, che al Piermarini ha debuttato con la ripresa de Die Soldaten e firmato nuove produzioni de I due Foscari e Madama Butterfly.
E’ proprio questa versione riveduta che secondo noi danneggia la visione originale del progetto: a Salisburgo lo spazio orizzontale era molto più ampio e l’andare e venire dei dipinti non era affastellato così come è sembrato sul palcoscenico del Piermarini. L’ampia prospettiva e qui ridotta ad elementi un po’ troppo ravvicinati. L’idea di fare dei protagonisti, tutti tranne Manrico, guide e guardiani di un museo che sta chiudendo per la notte non è molto originale e soprattutto non è sviluppata con coerenza. Abiti moderni e antichi si alternano un poco a caso mentre i dipinti che hanno riferimento alla vicenda scorrono sotto i nostri occhi. Eleonora di Toledo del Bronzino, un riferimento a Leonora, Carlo V a cavallo del Tiziano nel duello dei fratelli, Palma il Vecchio, Lorenzo Lotto e Raffaello per immagini con Madonne col bambino. Botticelli e Leonardo per la bellezza femminile decantata nel “Il balen del tuo sorriso” Leda e il Cigno di Michelangelo per la passione tra Manrico e Leonora, Beato Angelico e Piero di Cosimo per la monacazione di Leonora. Alcuni dipinti vengono accatastati nel IV atto pronti per essere bruciati a simbolo della pira. Una regia quindi con alcune idee interessanti ma senza una coerenza e sviluppo interno. Errori nei pochi momenti di interazione dei personaggi che si trovano per colpa del regista sempre nei luoghi sbagliati: quando Leonora scambia il Conte per Manrico, il Conte è dietro le scene, il doppio rapimento di Leonora che si monaca è completamente incomprensibile sulla scena e nel concertato successivo Manrico invece che vincitore sembra prigioniero e il duetto tra Leonora e Conte sembra terminare con l’amplesso dei due, fatto è completamente illogico e incoerente col libretto. Far vestire tutti ma proprio tutti di rosso non permette una comprensione delle varie fazioni: anche le monache sono vestite di rosso a complicare di più la situazione.
La direzione di Nicola Luisotti, direttore della San Francisco Opera fino al 2018 e oggi direttore associato del Teatro Real di Madrid, è precisa e appassionata. Gli accompagnamenti pulsano sopra le frasi incandescenti di questa partitura. Luisotti esegue la partitura integralmente con la perfetta ripetizione di tutte le cabalette, rispettando quindi la precisa architettura musicale imposta da Verdi. Solo Leonora non canta due volte “Tu vedrai che amore in terra” ma l’intera cabaletta venne tagliata nella versione francese: ciò per dire che qui una unica esposizione riesce ha far fluire meglio l’azione senza tradire le volontà di Verdi. Due incudini in buca sono poche secondo noi per dare quel suono caratteristico al coro de “La zingarella”, sarebbero state necessarie più incudini sulla scena ma l’allestimento non lo permetteva. Luisotti sottolinea tutti quei momenti horror della musica come la cupa scena di Ferrando, il racconto di Azucena elettrizzante e il quarto atto da brividi: fagotti, clarinetti e contrabbassi sono ben guidati nello scavare in sonorità raggelanti.
Manrico, tenore romantico per eccellenza, è il grande Francesco Meli che impugna il pubblico con la sua calda emissione, con le frasi roventi e la disinvoltura anche nei momenti più difficili. Il suo canto risuona pieno nei due momenti fuori scena, nel primo atto prima del terzetto e durante il miserere creando un’aura di mistero alla sua voce. Ribolle il sangue nel duetto “Mal reggendo all’aspro assalto” dove la linea di canto è solida su un pulsante accompagnamento che procede spedito. Momento topico è “Ah si ben mio coll’essere” di una struggente bellezza, con la voce di Meli che si fonde con gli impasti dei fiati. Le due repliche di “Di quella pira” fanno raggiungere la giusta temperatura alla scena con Leonora e Coro a far da pertichino. Il pubblico è entusiasta della performance di Meli che alla Scala ha appena affrontato Cavaradossi, tenore di ben altra vocalità.
Leonora è Liudmyla Monastyrska che possiede un timbro gradevole e una voce ben educata. Si scalda la sua passione nella cavatina iniziale, alle parole “Dolci s’udiro e flebili” melodia precedente composta da Verdi per una altra aria indipendente. Doppia ripetizione della cabaletta “Di tale amor che dirsi” con trilli veloci, mentre i trilli lenti li possiamo trovare in “D’amor sull’ali rosee”. Liudmyla Monastyrska in questa aria è una vera maestra ed elegante nel porgere la frase. Nel miserere le sue invocazioni sono sofferte fino a “Tu vedrai che amore in terra” dove una fiamma di speranza sembra rivivere.
Azucena è Violeta Urmana, cantante di esperienza che dopo un cambiamento in soprano è ritornata a cantare ruoli da mezzosoprano. La Canzone e il Racconto del primo atto sono ben realizzate, e le continue iterazioni di “Mi vendica” rendono allucinata l’aria. Acuti lancinanti suggellano il brano con “il figlio mio avea bruciato!”, e qui la cantante sfrutta con profitto il registro acuto che non gli manca. Bene l’incedere velocissimo nel terzetto con “Deh rallentate o barbari”.
Il conte di Luna è Massimo Cavalletti dotato di una ampia voce baritonale. Nelle prime recite molti acuti non erano stati messi perfettamente a fuoco mentre nella recita odierna del 18 febbraio questi problemi sembrano risolti per il meglio. Applausi per “Il balen del suo sorriso” e incisiva la lunga cabaletta con coro maschile di seguaci e femminile di claustrali.
Ottimo il Ferrando di Gianluca Buratto, dalla potente voce di basso di rara compattezza capace di realizzare al meglio l’aria dell’introduzione a cui Verdi teneva moltissimo.
Un Trovatore quindi musicalmente da ascoltare e riascoltare indebolito un po’ dalle scelte registiche avulse dal contesto. Una opera che mancava dalla Scala dal 2014 quando venne ripresa la regia formidabile ed evocativa di Hugo De Ana del 2000. Una opera capolavoro che venne più volte messa alla berlina per un libretto dove si riprovano tutti i topoi del melodramma. Offenbach ne fece una versione da camera parodiando le situazioni, Gilbert e Sullivan nelle loro operette ne scomponevano i meccanismi e i Fratelli Marx con A night at the opera, usavano il Trovatore per tutta la seconda parte del film con momenti esilaranti. La repliche di Trovatore alla Scala proseguono fino al 29 febbraio.
Fabio Tranchida