Melodramma tragico in quattro atti.
Musica di Gioachino Rossini
Libretto di Étienne de Jouy e Hyppolite Bis, tratto dall’omonimo dramma di Friedrich Schiller
Traduzione ritmica italiana di Calisto Bassi
Prima rappresentazione assoluta: Parigi, Opéra, 3 agosto 1829
Prima rappresentazione italiana: Lucca, Teatro del Giglio, 17 settembre 1831

Guglielmo Tell      Michele Patti
Arnoldo      Matteo Falcier
Matilde     Clarissa Costanzo
Gualtiero Furst       Davide Giangregorio
Melchthal       Pietro Toscano
Jemmy       Barbara Massaro
Edwige        Irene Savignano
Il pescatore Roudi       Nico Franchini
Leutoldo        Luca Vianello
Gessler         Rocco Cavalluzzi
Rodolfo         Giacomo Leone

Maestro concertatore e Direttore d’orchestra     Jacopo Brusa
Regia      Arnaud Bernard
Scene e Video design       Virgile Koering
Costumi        Carla Galleri
Assistente alla regia        Yamal Irmici
Maestro del coro           Massimo Fiocchi Malaspina
Coro OperaLombardia
Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano

Coproduzione Teatri di OperaLombardia

 

L’ultima opera lirica di Rossini, ch smise di comporre per il teatro a 37 anni (purtroppo), è un imponente affresco romantico nella forma del grand-opéra. Già con le opere di Spontini alla corte di Napoleone si era giunti a spettacoli mastodontici con balletti annessi, e ve ne abbiamo dato da poco nota nel recente Fernando Cortez a Firenze. Altri esempi del genere sono La muette de Portici di Auber, e i 4 grand-opéra di Meyerbeer maestro ineguagliato in questo genere che con lui trova la massima espressione. Un altro valore del Guglielmo Tell di Rossini è l’inizio del pieno romanticismo in opera: già ne aveva dato precedente saggio con La donna del lago sul palcoscenico del San Carlo imbevendo la partitura di una Scozia immaginifica alla Walter Scott. Questo primo fortunato approccio trova compiuta realizzazione nel Tell, 4 ore di musica imponente e maestosa, con cori (spessi divisi in più falangi), due balletti, grandi finali, una tempesta nella sinfonia e nel quarto atto, i richiami dei corni tra le valli Svizzere. Già durante le prove si iniziò a sfrondare l’immensa partitura ( ben presto cadde la meravigliosa aria di Jemmy), scomparve in più punti la figura di Matilde, e spesso a Parigi si eseguiva una selezione dell’opera, talvolta solo il secondo atto combinato con altre opere in selezione. Rossini era impotente davanti a questo massacro: mentre Verdi decise di revisionare profondamente il Don Carlos per renderlo snello e perfetto per i teatri italiani, Rossini si limitò a scarse indicazioni, e all’aggiunta di un finale che riprendeva il tema ultimo di marcia veloce della celeberrima ouverture. L’ideale sarebbe sentire l’opera integralissima con la musica tagliata durante le prove reinserita nel corpus dell’opera, operazione legittima e attuabile grazie all’edizione critica di Casa Ricordi e della Fondazione Rossini di Pesaro. A Pesaro nel 1995 e nel 2013 (edizione poi ripresa a Bologna) abbiamo potuto più volte ascoltare la versione primigenia con spettacoli che duravano circa 5 ore. L’operazione del Festival Rossini di Pesaro non può essere attuata nel Circuito Lombardo che necessita di una opera snellita. I numerosi tagli effettuati sono stati fatti con discernimento. Abbiamo sofferto molto a non sentire molti recitativi che permettono uno sviluppo coerente della trama, a non sentire le cabalette ripetute, le riprese dei cori, la riduzione dell’imponente finale II, l’aria del terzo atto di Matilde, la mancanza dei due grandi balletti, ma una scelta doveva pur essere fatta. L’opera qui a Pavia è durata 3 ore e mezza compresi i due intervalli e mostrava una certa continuità narrativa.
Punto di forza di questa edizione la regia di Arnaud Bernard, con la collaborazione di Yamal Irmici, che ha al suo arco moltissime idee fortunate. Durante la sinfonia notiamo Jemmy, figlio di Tell, che legge la storia, proprio la storia dell’opera, ed inizia a fantasticare. In un salotto ottocentesco si ritrovano i protagonisti dell’opera per un pranzo conviviale ma un biglietto d’amore scatena la gelosia di Arnoldo, verso Rodolfo amante di Matilde.  Gli svizzeri, immaginati da Jemmy, escono dal caminetto e da un mobile portando con loro delle nuvolette bianche, costruendo una montagna fatta di carta e un lembo del lago con una striscia di seta blu. Nel secondo atto un orso/giocattolo attaccherà il povero Jemmy, mentre la sua stanza da letto si illuminerà attraverso un effetto sulla tappezzeria, diventando il luogo di incontro tra Matilde e Arnoldo, la selva opaca. La famosa scena della mela vede Jemmy rinchiuso dell’incombente lampadario e la successiva fuga dal lago dei 4 cantoni avviene su delle barche dalla forma di barchette di carta. Molte quindi le idee, e tutte coerenti per descriverci i numerosi personaggi, le passioni amorose e le passioni patriottiche.
Una scenografia di impianto fisso ma che è mutata per ognuno dei 4 atti grazie hai vari elementi aggiuntivi che si alternavano a descrivere le fantasie, le letture e i sogni di Jemmy.
Abbiamo avuto modo di ascoltare qui a Pavia il secondo cast, impegnato la domenica pomeriggio.

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Ottima la presenza del tenore Matteo Falcier, che sebbene annunciato leggermente indisposto, ci è parso al top delle proprie forze. Nel primo duetto con Tell le frasi del tenore, che vuole celare invano le smanie per Matilde, hanno una ampia e granitica arcata. Rossini alza di un tono la seconda ripetizione del tema, sfidando il tenore: penso sia l’unico caso dove il pesarese usi questa tecnica. Falcier aumenta così la tensione della frase e anche nel terzetto con Tell e Gualtiero i suoi a parte risultano sempre messi ben a fuoco risaltando sulle due voci gravi. Falcier supera con professionalità lo scoglio dell’aria del IV atto “O muto asil del pianto” donandoci anche la cabaletta nelle due esposizioni splendente di vari Do sovracuti netti e sensibili. Un vero fuoriclasse.
Jemmy è la bravissima Barbara Massaro che è impegnata in scena dal primo all’ultimo minuto in una parte scenica impegnativa e piena di azione. Di statura minuta e pettinata alla maschietto sembra proprio il figlio maschio di Tell. Ma le sue qualità sceniche si ritrovano anche nelle abilità vocali che una voce sopranile limpida e sonora. Nell’ampia introduzione del I atto la sua voce si distingue sempre completando il quartetto vocale. Nel terzetto femminile del IV atto a modo di farsi apprezzare e spiace ancor più che questa edizione non preveda la sua lunga aria del III atto prima durante la scena della mela. Rossini stesso tagliò questa aria bellissima probabilmente per ridurre il già ampio finale III ma la qualità musicale del brano lo ha fatto spesso reintegrare alla partitura.

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Debole il Guglielmo Tell  di Michele Patti, annunciato leggermente indisposto: non ne possiamo dare un giudizio definitivo e comprendiamo l’indisposizione ma la sua voce è risultata fragile, con note basse molto vuote e poco sensibili. “Resta immobile” risulta poco espressivo e il cantante non canta in molti assiemi, sebbene previsto dalla partitura, forse proprio per le precarie condizioni di salute, ma togliendo così una componente musicale a questi grandi affreschi musicali come sono gli assiemi del Guglielmo Tell.
La Matilde di Clarissa Costanzo è di buona qualità, porgendo “Selva opaca” con discreto legato ma con suoni un poco metallici e privi della rotondità necessaria. Il taglio della sua ampia aria del III atto non permette al personaggio di essere pienamente sviluppato. Meno male che viene eseguito il terzetto e il duetto/preghiera nell’ultimo atto dove la Costanzo ha modo di esprimere con la sua voce la sua protezione verso la madre e il figlio di Tell. Necessario ulteriore studio, secondo noi, per far emergere appieno tutte le qualità di questa voce.
Gualtiero Furst  è Davide Giangregorio, che con ottima e profonda voce caratterizza il personaggio nell’ampio terzetto e nella seguente congiura. Melchthal è Pietro Toscano in generale corretto vocalmente anche se manca della autorità paterna del capo del villaggio.
Edwige è la brava Irene Savignano e molto buono il pescatore Roudi di Nico Franchini, tenore conosciuto già agli esordi a Martina Franca e qui capace già nell’introduzione di lanciarsi verso acuti temibili. Per il suo rifiuto ad aiutare Leutoldo viene picchiato da tutto il coro.
Corretti Leutoldo, Luca Vianello,  Gessler, Rocco Cavalluzzi, e il perfido Rodolfo di Giacomo Leone.
Jacopo Brusa concerta con attenzione e tiene insieme i fili di questo enorme grand-opéra. Solo in poche occasioni abbiamo sentito delle sfilacciature nel tessuto orchestrale tutto sommato ben diretto.

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Il maestro del coro, Massimo Fiocchi Malaspina, ha fatto un buon lavoro con il Coro OperaLombardia molto impegnato in questa opera. Sia il comparto maschile che femminile sono risultati validi. Purtroppo molte volte, sebbene previsto in scena dalla partitura, il coro cantava fuori scena diminuendo l’impatto sonoro e alcune volte sembrava la voce degli uomini uscire dalle casse acustiche in proscenio con pessimo effetto. Il secondo atto si conclude con l’arrivo di tre cori diversi dai vari cantoni, per ragioni tecniche si è scelto di eseguire solo l’ultimo di questi tre cori diminuendo la maestosità del finale ma con una continuità drammatica sufficiente coronata da un ampio e compatto giuramento.
Questa Coproduzione Teatri di OperaLombardia si conclude nel weekend venerdi 24 e domenica 26 gennaio con l’ultima tappa a Bergamo.

Fabio Tranchida