Poesia di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa
Musica di Giacomo Puccini
Tosca | Saioa Hernández |
Cavaradossi | Francesco Meli |
Scarpia | Luca Salsi |
Angelotti | Carlo Cigni |
Sagrestano | Alfonso Antoniozzi |
Spoletta | Carlo Bosi |
Sciarrone | Giulio Mastrototaro |
Carceriere | Ernesto Panariello |
Pastore | Gianluigi Sartori |
Direttore | Riccardo Chailly |
Regia | Davide Livermore |
Scene | Giò Forma |
Costumi | Gianluca Falaschi |
Luci | Antonio Castro |
Video | D-wok |
Coro e Orchestra del Teatro alla Scala
Nuova produzione Teatro alla Scala
Tosca viene presentata nell’edizione critica di Roger Parker edita da Ricordi per espressa scelta del Direttore Musicale Riccardo Chailly che con estrema coerenza continua il percorso di presentazione delle opere di Giacomo Puccini seguendo le ricerche musicologiche aggiornate. Un grande lavoro musicale e musicologico con cui ha già presentato alla Scala in veste rinnovata Turandot, La fanciulla del West ( con alcune scene inedite), Madama Butterfly (una opera completamente diversa dalle esecuzioni correnti) e Manon Lescaut (anch’essa con brani inediti come il finale I). Sono migliaia i dettagli che Chailly riscopre in queste partiture su cui si pensava si fosse già detto tutto: invece Puccini fece molti cambiamenti alla sue creature, talvolta tornando su i suoi passi, talvolta sconvonlgendo equilibri interni, talvolta eliminando passaggi pregevoli su insistenza di Ricordi che puntava alla brevità. Piccole sono le differenze in caso di Tosca con alcuni versi in più rispetto alla versione corrente che non modificano sostanzialmente il dramma. Chailly fa un lavoro di estremo cesello sulla partitura. Innanzitutto sceglie dei tempi più lenti del solito. Possiamo dire che rende lo scorrere del Tempo in questa Tosca “Maestoso” cioè dilatando e mettendo una lente di ingrandimento su ogni nota della partitura. Lo può fare poiché ha come collaboratori tre grandi cantanti che possono sostenere le parti così ben “espanse”. Si rabbrividisce dal terrore all’ingresso del clarinetto basso e al suono sinistro dei piatti prima della fucilazione. L’arpa è molto presente e punteggiata dagli archi pizzicati, mentre il glockenspiel e la celesta danno qualche suono brillante nei pochi momenti distesi della vicenda corrusca. Questa Tosca inaugurale segna il grande ritorno di Davide Livermore, già applauditissimo per Tamerlano, Don Pasquale e l’Attila del 7 dicembre 2018, che si avvale come sempre delle scene di Giò Forma e i preziosi costumi di Gianluca Falaschi. Livermore si distingue per una regia cinematografica, in cinemascope, il primo atto è un continuo movimento con la Cappella Attavanti che entra ed esce di scena più volte, con il dipinto della Maddalena e della Madonna su schermo con dissolvenze da bianco e nero a colore. Sfruttata al massimo la macchina scenica della Scala in un Te Deum ricchissimo: negli ultimi secondi la scena intera si alza di 5 metri con una senso di elevazione grandioso e spettacolare. In questa scena i costumi di Falaschi mostrano tutta la loro fantasia, infatti, sebbene l’idea di base sia di realizzare costumi storici, vengono aggiunti molti dettagli raffinati che rendono specifico e unico ogni costume si per la foggia che per i ricercati tessuti. I quadri digitali sono presenti anche a Palazzo Farnese connotato da ricchi mobili: geniale mostrare il povero Cavaradossi torturato con lo stesso metodo di rialzare l’intera scena. Castel Sant’Angelo è costituito dalle ampie ali dell’Angelo che creano anche la scala da cui si getterà Tosca. Tosca si butta e noi vediamo un alter ego di Tosca che mima la caduta (la vediamo come dall’alto, sopra di lei, cadere verso il basso, in un rallenty raggelante), mentre tutta la scena si inabissa.
Tosca è Saioa Hernández che da alcune recite sostituisce egregiamente la diva Netrebko. L’abbiamo scoperta 2 anni fa in una magnifica Wally ascoltata in Toscana ed Emilia-Romagna. L’anno scorso protagonista in Attila conferma le sue doti eccezionali. Si cala perfettamente nel personaggio e le passioni di Tosca sono davvero estreme. Nobile fraseggio nell’ampio duetto d’amore del primo atto, “Non la sospiri la mostra casetta” fino all’esplosioni di roventi frasi di passione. “Vissi d’arte” è cantato con estreme concentrazione, espandendo la cellula della frase e omaggiato da due versi aggiuntivi a chiusa dell’aria.
Cavaradossi è il tenore Francesco Meli, che da tenore lirico puro ci sorprende donandoci un personaggio da tenore drammatico. La grandezza di Meli può anche questo e dimostra la maturità dell’artista ormai ospite fisso del Piermarini. Lo ricordiamo giovanissimo sul palcoscenico del Teatro Rossini cantando con precisione Contareno , nel Bianca e Falliero, e Torvaldo, nel Torvaldo e Dorliska. Il pubblico pesarese non penso si sia reso conto all’epoca delle potenzialità di questo cantante. Un tenore d’oro, così come appariva nella Giovanna d’Arco inaugurale, tutto dorato. “Dammi i colori”, “Recondita armonia”, fanno entrare subito nel vivo delle passioni l’opera, e Francesco Meli struttura con potenza e precisione le frasi che autoimplodono nelle arroventate code finali. Nei due duetti d’amore la simbiosi con Tosca è palpabile e naturale fino all’esplosione nel Terzo atto dell’Inno romano che Illica avrebbe voluto ben più sviluppato. “Vittoria, vittoria” è una ulteriore esplosione deflagrante che invade il teatro per 50 secondi. Accolta da lunghi applausi la performance di “E lucean le stelle” dalla dimensione cosmica, anche grazie ai tempi dilatati del direttore.
Scarpia è un monumentale Luca Salsi che con potenza e autorevolezza descrive il nefando capo della polizia borbonica (non papale!). Bigotto e perverso arriva e livelli di bassezza insopportabili nel secondo atto ordinando la tortura e tentando lo stupro della vittima Tosca. Il canto della sua ampia aria “Va! Tosca” procede solenne su contrastanti suoni di campane e viene esaltato dal Te Deum finale. Il duetto con Tosca trova sempre accenti molto realistici ma Salsi non scade mai nel parlato e nobilita il suo canto nonostante ciò che deve dire e fare.
Angelotti di Carlo Cigni è alquanto ruvido e impreciso, non all’altezza di cotanto cast. Il Sagrestano è il notevole basso buffo Alfonso Antoniozzi che mancava dalle scene scaligere da anni: lo ricordiamo nel Marchese di Bloisfleury dalla Linda di Chaoumonix e come Melitone nella Forza del Destino con la superba regia di De Ana. Antoniozzi riesce a dare al personaggio una vera umanità togliendo aspetti macchiettistici. Non buffo, ma comico, il dialogo con Cavaradossi giocato su più livelli. Antoniozzi dal timbro particolare e riconoscibile è omaggiato di qualche verso differente anche in questa versione.
Coro presente solo in due scene Te Deum e Cantata ad inizio secondo atto: sempre puntuale il coro scaligero che assolve appieno il compito.
Menzione d’onore a Gianluigi Sartori un pastorello notevole che dà alla scena un colore particolare con la sua purissima voce bianca. Sarà presente anche lui alla tourné in Giappone di Tosca. Una Tosca quindi da “esportazione” per via della sue grandi qualità musicali, vocali, scenografiche e registiche.
Fabio Tranchida