Giulio Cesare in Egitto
Libretto di Nicola Francesco Haym
Musica di Georg Friedrich Händel
Giulio Cesare | Bejun Mehta |
Cleopatra | Danielle De Niese |
Cornelia | Sara Mingardo |
Sesto Pompeo | Philippe Jaroussky |
Tolomeo | Christophe Dumaux |
Achilla | Christian Senn |
Curio | Renato Dolcini |
Nireno | Luigi Schifano |
Direttore | Giovanni Antonini |
Regia | Robert Carsen |
Scene e costumi | Gideon Davey |
Luci | Robert Carsen e Peter van Praet |
Video | Will Duke |
Coreografia | Rebecca Howell |
Drammaturgo | Ian Burton |
Orchestra del Teatro alla Scala su strumenti storici
Nuova Produzione Teatro alla Scala
Georg Friedrich Händel è una presenza costante nel repertorio del teatro alla Scala che ogni anno propone una opera del Caro Sassone. Raffinato lo spettacolo del Trionfo del Tempo e del Disinganno visto anche a Zurigo e Berlino, innovativo il Tamerlano di Livermore. Ora si preannuncia una trilogia con questo Giulio Cesare, Ariodante e Agrippina. Era stata annunciata anche una Semele ma per ora sembra sospesa sebbene l’abbiamo già ascoltata per una serata speciale quest’anno sotto la bacchetta esperta di Gardiner fuori dal Progetto Barocco.
In effetti le opere di Händel denotano una cura particolare nell’orchestrazione varia e raffinata, nella bellezza delle arie che esplorano tutti gli “affetti” barocchi. Ogni atto è costruito con attenzione ed equilibrio dando importanza ai cantanti principali i castrati e i soprani: la musica barocca privilegiava le voci acute ritenendo tenori e bassi utili solo per parti di contorno (a parte qualche rara eccezione).
Giulio Cesare in Egitto è uno dei massimi capolavori del sassone per cui scrisse più di 4 ore di musica, approfondendo in maniera completa i personaggi principali che sviluppano i propri sentimenti in tutta la loro ampiezza. Due grandi scene con cori, varie marce guerriere e battaglie e una importante scena metateatrale nel secondo atto che ogni regista moderno rielabora a vantaggio di uno spettacolo vario e complesso. Oltre le arie sono presenti due duetti a fine del primo e terzo atto e soprattutto gli “Accompagnati” recitativi dalla forte pregnanza drammatica introdotti da Preludi in tonalità minore che focalizzano l’attenzione sulla “parola” espressa da Cesare o Cleopatra.
All’interno dell’Orchestra scaligera è stato creato quattro anni fa un ensemble dedito alla prassi esecutiva originale che ha già potuto esprimersi nel Il trionfo del Tempo e del Disinganno e Tamerlano di Händel e La finta giardiniera di Mozart. Il Progetto Barocco si svilupperà con collaborazioni con altri Teatri italiani e la creazione di una Fondazione apposita per promuovere il repertorio del ‘700. L’allestimento di questi giorni di Giulio Cesare in Egitto è stato proceduto qui alla Scala solo dalla produzione diretta da Gianandrea Gavazzeni nel 1957 con Nicola Rossi Lemeni, un basso nella parte di Cesare (!), Giulietta Simionato come Cornelia, Corelli come Sesto, Mario Petri come Tolomeo e Virginia Zeani come Cleopatra. Una edizione logicamente lontana dalla filologia moderna che utilizza ensemble con strumenti antichi, attenzione massima al basso continuo con cembali tiorba e arpa barocca, e alla missione di ricreare il mondo perduto dei castrati: qui alla Scala si è scelto di utilizzare 4 controtenori, tra i più importanti e famosi nel mondo. Händel utilizzò tre castrati in Giulio Cesare e per la parte di Sesto preferì utilizzare Margherita Durastanti in un ruolo en travesti. Il direttore Giovanni Antonini ha affidato anche questo ruolo ad un controtenore.
Giulio Cesare è l’americano di origine indiane Bejun Mehta, che già aveva sfolgorato in Tamerlano e possiede una discografia molto apprezzata in ambito barocco. Viene omaggiato dal compositore con moltissime arie molto varie tra loro: entra in scena dopo un coro con una aria di vittoria e subito dopo mirata la testa decapitata di Pompeo con una aria di sdegno. Proprio in questa aria Bejun Mehta mostra una coloratura nitida e perfetta e un controllo perfetto della voce. Immensa l’aria tra le più famose del repertorio barocco “Va tacito e nascosto” con corno solista che dialoga col controtenore: grande cadenza improvvisata dal cantante che seduce con la sua musicalità. Viene omaggiato con una aria imitativa “Se in fiorito e ameno prato” dove serrato è l’uso del primo violino con la voce ad imitare il canto degli uccelli nel bosco.
Trilli perfetti ed evocativi con equilibrati effetti eco, una vera gioia per le orecchie. Ottima la concentrazione drammatica nei due “Accompagnati” dove l’attore ha più importanza del cantante.
Cleopatra, dopo l’imbarazzante disdetta della Bartoli, è stata interpretata della magnifica e seducente Danielle De Niese cantante australiana di origine cingalese. Già protagonista della produzione del festival di Glyndebourne nel 2005 con la regia di David Mc Vicar, ritorna più attraente che mai e presentandosi come l’ancella Lidia agli occhi di Cesare. E’ una fanciulla che gioca all’amore per poi esserne intrappolata e infine piangere per la perdita prima di Cesare e poi del regno. Un carattere complesso ben sviluppato dalla musica. “Non disperar chi sa?” rivolto a Tolomeo, è una arietta frizzante che la De Niese arricchisce con veloci variazioni. All’inizio del secondo atto diventa una diva del cinema come Vivien Leigh e Elizabeth Taylor che si vedono proiettati su un megaschermo, una bellissima idea di Carsen. Durante questa scena Cleopatra canta “V’adoro pupille” cercando di sedurre cesare. Conclude il secondo atto “Se pietà di me non senti” un brano che porta davvero alla profonda commozione così come il successivo “Piangerò la sorte mia” dall’andamento lentissimo. Di estrema concentrazione nell’Accompagnato dove tenta il suicidio, la De Niese si rianima in un brioso “Da tempeste” dove la sua calda voce brunita torna briosa con picchiettati e trilli mentre il regista le fa fare una bagno in una vasca dorata.
Cornelia è Sara Mingardo che infonde al suo personaggio tutto il dramma di vedova di Pompeo. Tenta tre suicidi durante l’opera ma poi viene vendicata dal figlio. La Mingardo è impegnata nella parte una volta affidata Anastasia Robinson. “Priva son d’ogni conforto” è lenta e patetica e anche nelle altre arie gli abbellimenti sono controllati e minuti. Capolavoro è il suo duetto col figlio dove oltre ai loro sospiri anche l’orchestra sembra respirare. Sospiri col figlio Sesto Pompeo, Philippe Jaroussky, controtenore di cui non è necessaria alcuna presentazione: dal 2004 è sulla cresta dell’onda con un repertorio che comprende ‘600 e ‘700 e con grande collaborazioni internazionali. La sua prima aria è particolarmente violenta “Svegliatevi nel core” con salti nella linea vocale a suggerire il suo sdegno. Tutto ciò è ben controllato dal controtenore. Händel lavora per sottrazione nell’aria “Cara speme” dove lo fa cantare solo col cembalo e pochi archi: Philippe Jaroussky emerge quindi con un timbro pastoso, femmineo, delicato. Ritorna il desiderio di vendetta in “L’angue offeso mai riposa” un agitato dove la perfetta coloratura del cantante è molto apprezzata.
Tolomeo è un esperto del ruolo, Christophe Dumaux, già impegnato con Pelly a Parigi e con McVicar a Glyndebourne. La voce del controtenore ha una componente “maschile” più accentuata rispetto agli altri due controtenore di cui abbiamo parlato: è difficile da spiegare, è una voce con un bilanciamento maggiore e nelle salite e discese è molto uniforme. “L’empio, sleale, indegno” ha notevole energia come “Si, Spietata” del secondo atto. Diciamo che il suo personaggio nella sua cattiveria rimane più dimensionale senza gli approfondimenti di Giulio Cesare e Cleopatra.
Achilla è il basso di origine cilena Christian Senn, che si invaghisce della vedova Cornelia. Il basso avrebbe tre arie ma a causa di vari tagli nell’opera, sia nelle arie che nei recitativi per tutti i personaggi, ha potuto esibirsi in unica aria. “Dal fulgor di questa spada” scritta per il basso Giuseppe Maria Boschi viene da Senn ben cantata, con precisione di accenti e un particolare equilibrio sonoro. Nireno è il bravo controtenore napoletano Luigi Schifano, che apprezzammo molto come Ruggero nell’Orlando di Vivaldi. Ha cantato in opere di Gluck, Jommelli, Camilla De Rossi indagando il repertorio barocco che sembra inesauribile cava di musica raffinata. Luigi Schifano a causa dei tagli suddetti non viene beneficiato di alcuna aria ma la correttezza nel canto di questo bravo controtenore è ben ravvisabile nei recitativi in cui è impegnato. Speriamo di riascoltarlo presto in ruoli da protagonista.
Il direttore Giovanni Antonini ha portato nell’ensemble della Scala alcuni dei suoi musicisti di fiducia. Il suono è sempre molto nitido, l’arpa spicca negli accompagnamenti con un suono pungente, i corni naturali svolgono intonatissimi il proprio lavoro. Fantasiosa la regia di Robert Carsen che ogni due arie circa, grazie a dei sipari, cambia la scena, da un deserto ad un sala per decidere le azioni di guerra, dal cinema a una palestra, da una accampamento alla scena finale con i barili di petrolio che sanciscono l’amore e gli accordi tra Cleopatra e Giulio Cesare. Molti i momenti divertenti che spezzano la tensione delle arie più drammatiche. Un capolavoro da vedere e rivedere più volte approfittando di un cast stellare messo a disposizione dal Teatro alla Scala. A termine dello spettacolo nonostante la durata dell’opera di 3 ore e 50 minuti il pubblico ha applaudito lungamente tutti gli interpreti e il direttore con particolare calore.
Fabio Tranchida
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