Ottone Marie Seidler
Teofane Mariamielle Lamagat
Gismonda Valentina Stadler
Emireno Yannick Debus
Adelberto Alberto Migueléz Rouco
Matilda Angelica Monje Torrez
Direttore Fabrizio Ventura
Regia Anna Magdalena Fitzi
Scene e costumi Bettina Munzer
Accademia la Chimera

 

Ottone è la seconda opera che viene messa in scena a Innsbruck nel festival di quest’anno seguendo l’esecuzione della Merope di Broschi, salutata da grande successo grazie ad una superba ricostruzione filologica dello spettacolo. Ottone viene messo in scena con meno mezzi per il fatto di essere una vetrina della Cesti Competition, una gara che permette ogni anno di selezionare ottimi cantanti che sanno distinguersi nel campo della musica barocca sia del ‘600 che del ‘700.

Ottone ebbe molte riprese durante la vita di Händel, essendo un’opera di grande successo, e quasi ad ogni ripresa lo stesso Händel componeva musica nuova per adattarla agli interpreti del momento. Per la gioia dei musicologi, ci è pervenuta quasi tutta questa musica aggiuntiva: le due star femminili furono a Londra la Cuzzoni e la Durastanti mentre i due ruoli maschili più importanti furono ad appannaggio del Senesino e di Farinelli. Si scontrarono quindi in scena i due più celebri castrati dell’epoca e con loro la cultura bizantina con quella romana. Ma il conflitto dei popoli rimane, come spesso succede in questi libretti di primo ‘700, un poco in secondo piano, risaltando invece le vicende amorose tra i sei protagonisti che intrecciano in nodi complessi le loro vicende. Talvolta il libretto risulta pleonastico e si è pertanto scelto in questa occasione a Innsbruck di dare una leggera limatura alla trama eliminando qualche aria e due da capo. Un’operazione fatta con discernimento e oculatezza, e che ha reso lo svolgersi della vicenda più chiaro.

La musica di Händel non è mai pleonastica e ad ogni brano si rinnova nei ritmi, nelle tonalità e negli affetti con risultati sempre vari. I sentimenti dei personaggi sono sempre ben messi a fuoco e la vicenda si regge proprio su queste interrelazioni. Le arie che compone Händel per questa occasione hanno la caratteristica di essere poco virtuosistiche seguendo da vicino la passionalità dei personaggi con brani più intimistici, più lineari e più piani. Non che manchino di difficoltà tecniche ma solo un’aria che termina il primo atto, affidata ad Ottone, può essere definita veramente virtuosistica: un modo per chiedere l’applauso alla conclusione dell’atto. Qui Händel fa quasi una concessione al suo pubblico ma per il resto rimane in tutta l’opera concentrato in composizioni meditate e profonde, forti di una grande ispirazione.

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Come dicevamo lo spettacolo di Anna Magdalena Fitzi previsto all’aperto nel cortile dell’università della Facoltà di Teologia è stato spostato, nonostante il sole brillasse tra i monti di Innsbruck, nella piccola sala Kammerspiele della Casa della musica di Innsbruck, il nuovo complesso polifunzionale inaugurato l’ottobre scorso a fianco del Landestheater per aumentare le proposte offerte dal festival. La regista ha preso spunto da un verso del libretto “albergo fatale” pronunciato da Teofane per ambientare pretestuosamente la vicenda in un hotel. Penso che la regista sappia benissimo che il significato di “albergo” nel ‘700 voglia dire semplicemente “luogo, ma non sta qui il problema: la scena fissa non era animata da alcun cambiamento se non l’andare e venire dei sei cantanti e la presenza trascurabile di un servitore lugubre e due ieratiche guardie del corpo di Ottone, che non animavano certo una regia priva di idee e movimento. La seconda parte vedeva tutti i personaggi vestiti di bianco con indumenti da notte, e tutto questo bianco uniforme appiattiva ulteriormente la visione dello spettacolo. Abbiamo accennato alla seconda parte dell’opera poiché in effetti l’opera di tre atti progettata da Händel è stata sfrondata di alcune arie e divisa in due a metà del secondo atto. Scelta accettabile.

Ottima la direzione musicale di Fabrizio Ventura che riesce ad analizzare con attenzione ogni singola aria, amplificandone la bellezza e la profondità. I tempi sono abbastanza piani e lenti, corretti per approfondire l’affetto della musica, ma forse meno adatti a una visione complessiva di tutta l’articolata opera. A parte questa critica il suono intonatissimo dell’ensemble piemontese Accademia La Chimera ci ha particolarmente sedotto. Le qualità di questo ensemble sono la precisione tecnica, l’espressività dei fiati e il rutilante basso continuo che collegava le numerose arie senza soluzione di continuità permettendo l’applauso solo alla fine delle due parti.

Marie Seidler, giovane mezzosoprano, è Ottone, introdotto con originalità nell’opera da una lunga sinfonia militare. Bella l’aria “Dell’onda ai fieri moti” dai tempi un poco rilassati per scavare in intensità. L’aria imitativa arriva con “Deh! Non dir” dove i flautini imitano con bell’effetto gli augelli (Rinaldo docet). Ben sviluppato dalla Seidler un recitativo accompagnato che porta a “Tanti affanni ho nel mio core” e voce calda e luminosa nel duetto prima del finale “A’ teneri affetti” cantato con l’amata Teofane.
Mariamielle Lamaga, soprano interessante, è la principessa Teofane, omaggiata dalla celebre aria “Falsa immagine” cantata con voce morbida e flautata. La prima interprete si rifiutava di cantarla essendo poco pirotecnica per una aria di sortita ma Händel adirato riuscì ad imporsi. La Lamaga è intensa e espressiva in “Affanni del pensier”. Moderna nella successione armonica “S’io dir potessi al mio crudele”.

Valentina Stadler, mezzosoprano, è la perfida Gismonda, per la quale Händel dovette riscrivere alcuni brani per addolcire la parte dell’altrimenti perfida moglie di Berengario. Apre l’opera con due arie piene di concentrazione, nelle quali la cantante risulta imperativa e giustamente fredda; profondo il suo insistito trillo grave che dà spessore ad una linea di canto che non ammette concessioni all’ornamento, e bello l’effetto eco e fugato nel duetto “Notte cara!” con Matilda. La quale Matilda è Angelica Monje Torrez, mezzosoprano cugina di Ottone: due arie nel primo atto mostrano l’eleganza della voce e lo studio fatto con professionalità. In “Diresti poi così?” la sezione B viene cantata con insolita energia in un azzecato contrasto, e la sua ultima aria viene interrotta poco dopo, per scelta del direttore, ad enfatizzare e velocizzare il finale dell’opera.

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Yannick Debus nel ruolo secondario di Emireno svolge con precisione la sua parte. Durante una gara all’ultimo whisky con Ottone canta “Del minacciar del vento” e la parola “vento” viene sviluppata con una serie rigogliosa di note perfettamente a fuoco.

Alberto Miguel Rouco, giovanissimo controtenore, canta il ruolo di Adelberto: il biondo cantante è da apprezzare per un timbro chiaro e quasi virginale. “Bel labbro, formato” è una danza lenta e pura, l’orchestra si ingrossa e ispessisce nei ritornelli sia in questa aria che in altri casi dando molta intensità alla ripresa. In “Tu puoi straziarmi” la coloratura di fuoco risulta ancora un poco acerba e necessaria di ulteriore studio, ma due ampi e luminosi acuti riescono in parte a far apprezzare la performance.

I personaggi trattati ritorneranno anche nell’Adelaide di Borgogna di Rossini, opera minore nel catalogo del pesarese ma con alcuni brani non privi di fascino. In definitiva, opera di grande spessore e ben cantata da questi giovani interpreti sostenuti da una perfetta orchestra italiana in sintonia con tutte le parti, mentre le carenze visive hanno danneggiato la tenuta dello spettacolo che ci è parso troppo piatto per una performance di quasi tre ore che avrebbe avuto bisogno di ben altre idee e stimoli.

 

Fabio Tranchida