Musica di NIKOLAJ ANDREEVIČ RIMSKIJ-KORSAKOV
Zar Saltan | Ante Jerkunica |
Zarina | Svetlana Aksenova |
Tkatchikha | Stine Marie Fischer |
Povarikha | Bernarda Bobro |
Babarikha | Carole Wilson |
Zarevitch Gvidon | Bogdan Volkov |
Zarevna/Cigno Lyebyed | Olga Kulchynska |
Vecchio | Vasily Gorshkov |
Marinaio | Alexander Vassiliev |
Messaggero/Marinaio | Nicky Spence |
Marinaio | Alexander Kravets |
Direttore | Alain Altinoglu |
Regie e Scene | Dmitri Tcherniakov |
Costumi | Elena Zaytseva |
Video e luci | Gleb Filshtinsky |
Maestro del Coro | Martino Faggiani |
Orchestra Sinfonica e Coro de La Monnaie | |
Coproduzione Demunt/La Monnaie e Teatro Real di Madrid
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La favola dello Zar Saltan è un’opera in un prologo e quattro atti di Nikolaj Andreevič Rimskij-Korsakov. Il titolo completo di questa composizione è in realtà La favola dello zar Saltan, di suo figlio il glorioso e potente bogatyr principe Gvidon Saltanovič e della bellissima zarevna Lebed’, un titolo smisurato che vuole quasi condensare la trama in poche parole. Spieghiamo subito che “bogatyr” è termine molto usato nelle favole di Aleksandr Puškin, e significa giovane eroe. Questa favola viene rispettata quasi in tutto nel libretto Vladimir Bel’skij, a parte qualche semplificazione come i viaggi del principe Gvidon che da tre diventano solo uno. L’idea di trasformare Lo Zar Saltan in libretto partì dalla volontà di celebrare i cento anni dalla nascita di Puškin, ma tra elaborazione del testo e composizione, la prima avvenne l’anno successivo a questa ricorrenza: l’opera fu infatti rappresentata per la prima volta al teatro Solodovnikov di Mosca il 21 ottobre 1900.
Dmitri Tcherniakov è un vero maestro della regia, con ottimi successi soprattutto nell’opera russa che conosce profondamente, basti pensare ai suoi allestimenti monumentali del Principe Igor a New York, Kitež a Amsterdam o La fanciulla di neverecentemente in scena a Parigi. Si cimenta nello spettacolo di Bruxelles ancora con un’opera di Rimskij-Korsakov, prolifico musicista russo che oltre alle sue quindici opere ha messo mano un po’ a tutte le opere dei colleghi del Gruppo dei Cinque.
In Russia La favola dello Zar Saltan è considerata un’operina per bambini e spesso la si vede in allestimenti modesti e ridotti. Tcherniakov invece crede nelle potenzialità di quest’opera e cambia con intelligenza l’assunto della trama, facendolo con coerenza per tutta la durata dello spettacolo.
Il figlio di Saltan è un bambino sedicenne autistico, che soffre dell’abbandono del padre e vive in un mondo a parte. La madre, la zarina, fa di tutto per aiutarlo: secondo lei l’unica via è raccontargli favole su favole che sembra abbiano breccia nel suo cuore. Ciò che vediamo sulla scena è frutto dell’immaginazione del ragazzo, con le due zie cattive, sorelle della madre, e Babarikha che congiurano invece contro di lui. Tutti i personaggi indossano fantastici abiti (Elena Zaytseva) che sembrano dipinti con pennarelli, e anche la scena pare disegnata dal ragazzo; il mondo è fatto a matita, ma anche con colori vivi quando appare la principessa-cigno. Nella seconda parte dell’opera il cigno si trasforma in una semplice ragazza che cerca di instaurare un contatto con lo sfortunato giovine. Tutti i personaggi tornano in scena con vestiti contemporanei, ormai fuori dell’immaginazione, pronti a farlo reagire ma il regista conclude l’opera con l’ennesima crisi epilettica e con la disperazione degli astanti. Un percorso psicologico complesso che ci ha fatto molto meditare.
Ottima la qualità delle proiezioni (Gleb Flshtinsky) con molti disegni animati che illustravano gli aspetti più fantastici della trama, come per esempio la trasformazione del giovane zarevic in bombo, il maschio dell’ape, e i suoi voli per pungere le tre donne malefiche. Non sappiamo perchè il brano sia conosciuto in Italia come il Volo del Calabrone, animale oltretutto che non può pungere, mentre è proprio il Volo del Bombo ben rappresentato dal regista anche con effetti comici apprezzati dal pubblico belga. Il brano viene eseguito più volte ed è ben intessuto nello sviluppo della vicenda, arrivando al suo acme alla fine dell’atto terzo con una fiammata frenetica che coinvolge tutta l’orchestra. Tutta la musica di Rimsky-Korsakov è basata su melodie sinuose e cromatiche, spesso profumate da un esotismo palpitante: le frasi cantate si ripetono più e più volte, come appunto è suggerito dal libretto-filastrocca che vuole rendere la dimensione favolistica. Ma ad ogni ripresa della stessa melodia è la sontuosa orchestra che varia nei mille colori traslucidi dando varietà alla partitura.
L’opera, in maniera originale, si apre con uno sfogo in prosa russa ideato dal regista che spiega lo stato di malattia del ragazzo. Dopo questo preambolo viene rispettata la partitura con i suoi ampi squarci sinfonici che descrivono parte dell’azione.
Alain Altinglu rende questi interludi magnificamente, sia nelle rutilanti marce ricche di ottoni, sia nei sinuosi accompagnamenti per definire il mare calmo o in burrasca con effetti degni del compositore di Sherazade. L’orchestra è molto ampia e trasborda dal golfo mistico in aere sotto i palchi di proscenio, che a loro volta contengono fanfare e più di metà del coro che solo in parte compare sulla scena.
Lo Zar Saltan è un ruolo piuttosto limitato e, in questa occasione, è affidato al basso profondo Ante Jerkunica che sostiene bene la linea grave. Talvolta in alcuni incisi più acuti la frase si fa meno sicura e smaltata.
La Zarina è Svetlana Aksenova, vestita come il figlio in abiti moderni non facendo parte delle visioni del ragazzo. Il suo addio alla corte dello Zar prima di essere chiusa in una botte col neonato è cantato con molta tristezza e con belle frasi sostenute dalla voce di soprano drammatico. Le lunghe note di questo addio sono ben tenute e sortiscono l’effetto della commozione.
Sempre in scena per tutte le tre ore dello spettacolo è lo Zarevitch Gvidon, il ragazzo malato, impersonato da Bogdan Volkov: ottimo attore, in ogni movimento traspare il suo stato autistico e le sue numerose crisi. Il suo canto è rivolto esclusivamente alla madre e al cigno. La voce ha dei colori scuri e spessi. Dopo i romantici intrecci col il violoncello solista, Gvidon si rivolge al Cigno in duetti che lasciano comunque i due un poco distaccati, su due mondi inconciliabili (secondo la visione di Tcherniakov).
La Zarevna-Cigno Lyebyed è il soprano di coloratura Olga Kulchinska che abbiamo molto apprezzato per il colore luminoso che le permette di risaltare anche nel duetto-terzetto del penultimo atto: il suo è un personaggio immobile e stilizzato che si presta a essere reso da una voce molto acuta piena di seducenti cromatismi, senza comunque arrivare agli esiti sovraumani della Zarina di Šemacha nel Gallo d’oro.
Le due sorelle Tkatchikha e Povarikha sono cantate rispettivamente da Stine Marie Fischer e Bernarda Bobro, accentuando il loro carattere comico e malevolo al tempo stesso. Nel prologo sono protagoniste di un lungo intervento con un canto preciso e saltellante mentre contralto puro è Carole Wilson nel ruolo della anziana Babarikha. La parte è ben caratterizzata col giusto sbalzo creando così un trio femminile perfetto.
Gli ampi squarci corali sono ben resi dal nutrito coro istruito dal maestro Martino Faggiani. Si va dalla dolcissima ninna-nanna cantata dalle donne fuori scena con soavità ed eleganza ai cori in onore dello Zar che raggiungono il parossismo sonoro tra coro e orchestra in gran spolvero. Parti di contorno affidate con intelligenza per uno spettacolo pienamente riuscito, visivamente impeccabile con proiezioni di alta qualità e immersive (Glen Filshtinsky è l’autore dei video e delle luci). La produzione è realizzata in sinergia con il Teatro Real di Madrid dove a breve verrà riproposto lo spettacolo che consigliamo vivamente.
Grande successo di pubblico per un teatro sempre esaurito anche per una opera così poco nota, perlomeno fuori dalla Russia
La recensione si riferisce alla recita del 23 giugno 2019.
Fabio Tranchida