Musica di Giuseppe Verdi

Libretto di Andrea Maffei

 

 

Massimiliano Michele Pertusi
Carlo Fabio Sartori
Francesco Massimo Cavalletti
Amalia Lisette Oropesa
Moser Alessandro Spina
Arminio Francesco Pittari
Rolla Matteo Desole
Direttore  Michele Mariotti
Regia  David McVicar
Scene  Charles Edwards
Costumi Brigitte Reiffenstuel
Movimenti coreografici Jo Meredith
Luci Adam Silverman

 

Coro e Orchestra della Scala di Milano

 

I masnadieri sono un’opera dei pieni anni di galera di Verdi, quando molte erano le commissioni dai teatri italiani e Verdi tentava di essere presente su più piazze possibili. Il primo teatro estero a chiedere a lui un’opera fu il Her Majesty’s Theatre di Londra e la stessa Regina Vittoria assistette alla prima rappresentazione. Verdi aveva previsto per Londra un soggetto shakespeariano, il MacBeth, ma poi visto la disponibilità del baritono Felice Varesi a Firenze aveva scambiato le due opere e destinato I masnadieri di Schiller a Londra. Verdi incontra 5 volte Schiller nelle sue opere: Giovanna D’Arco, con un libretto lontanissimo dal drammaturgo tedesco, Masnadieri, Luisa Miller con un buon libretto autocensurato dallo stesso Cammarano, Don Carlos, che segue alla lettera la poesia di Schiller e Il campo di Wallenstein nella scena comica di Fra’ Melitone nella Forza del destino.

Per I masnadieri, Verdi si affida all’autorevole penna di Andrea Maffei, il quale è troppo poeta e poco librettista, incapace di creare scene adatte all’opera. I personaggi si muovono per scompartimenti stagni con poche relazioni tra loro, e quando si incontrano sono bloccati da pezzi d’assieme e concertati statici che bloccano l’azione. Verdi era solito strapazzare i suoi librettisti e chiedere notevoli cambiamenti ma con Maffei un rispetto reverenziale lo blocca e musica ciò che si trova davanti, senza toccare una sillaba. Questo è quindi il difetto più grande dell’opera, un libretto schematico e immobile che fa enorme fatica a sviluppare storia e personaggi. Verdi fa ciò che può per rivestire le parole di belle note, e constatiamo che molti sono i passaggi di bella musica, dalle arie affidate all’usignolo svedese Jenny Lind, al giuramento a fine terzo atto al bel quarto atto con l’incubo di Francesco e la conseguente confessione. L’ultima rappresentazione de I masnadieri alla Scala, opera poco frequentata dal teatro meneghino, risale addirittura al 1978. Gianandrea Gavazzeni era indisposto e venne chiamato all’ultimo momento Riccardo Chailly che a 25 anni debuttò al Piermarini riportando un successo personale.

Per far risaltare l’opera I masnadieri è necessario schierare una quartetto di cantanti importanti, capaci col canto di minimizzare le falle del libretto. In ciò il teatro alla Scala risulta vincente proponendo 4 cantanti notevoli che hanno eseguito con distinta professionalità tutta l’opera.

Amalia è Lisette Oropesa, cantante di origine cubane che già ci aveva affascinato nell’Adina di Rossini al Rof lo scorso agosto, e letteralmente incantato ne Les Huguenots con una Marguerite de Valois di perfetta esecuzione. La Oropesa, in questa produzione de I masnadieri, esce magicamente dal quadro che la ritrae dipinto da Van Dyck. Con sentimento e malinconia canta la sua cavatina di sortita “Lo sguardo aveva degli angeli” con una cadenza che la porta senza sforzi al do acuto. Le virtù della sua voce emergono ancor più in “Tu del mio Carlo in seno” con un accompagnamento della flebile arpa: le frasi sono molto ampie e i legati perfetti. Nella cabaletta la voce risulta sempre nitida anche nei numerosi trilli che contraddistinguono anche la stretta del duetto con Carlo nel terzo atto.

Carlo è Fabio Sartori che mano a mano sta affrontando tutti i tenori verdiani. La voce è stentorea e lungo i 4 atti dell’opera non accusa nessun cedimento. Fin dalla prima cavatina le frasi sono arroventate e Sartori tiene le acute note di “lo spavento innanzi a me” allargando la frase fino al la. Buono il giuramento del terzo atto, dove Verdi cerca di imitare il più riuscito giuramento del finale secondo del Guillame Tell: Sartori grazie al notevole volume riesce sempre a risaltare su tutto il coro che lo incalza. Drammatici i confronti con il padre, un Michele Pertusi che purtroppo canta poco poco in quest’opera. Ma ogni intervento di Pertusi evidenzia la sua immedesimazione nel personaggio: un Massimilano, morente e afflitto fin dall’inizio. “Un ignoto, tre lune or saranno” è un andante dal complesso accompagnamento su cui la voce di Pertusi  scolpisce frasi sensibili. Un vero basso profondo che ha ancora un momento importante nel duetto col figlio nel quarto atto.

Francesco, l’altro figlio di Moor, è Massimo Cavalletti da poco ascoltato nella Manon Lescaut. L’elegante baritono riesce a dipingere con violento realismo l’anima cattiva del fratello di Carlo. Innanzitutto Cavalletti scolpisce con notevole forza i recitativi della seconda scena e canta l’aria con trombe soliste “La sua lampada vitale” con la giusta malvagità. L’aria si conclude con un luminoso acuto finale che non dà preoccupazione al baritono. Ma è nel quarto atto nella grande aria/incubo che Cavalletti esplora le paure dell’animo umano. Un’aria tutta a sezioni diverse, che va dal cantabile al quasi parlato fino alle invettive finali. Nel successivo duetto della confessione col Pastore si porta al parossismo questa situazione mentale e Cavaletti riesce con la sua potenza vocale e il perfetto calibro delle frasi a farci davvero tremare dopo aver evocato il giudizio universale.

Buona la direzione di Michele Mariotti, dal corrusco preludio ai brani più cabalettistici, il direttore è sempre attento a sostenere le voci. I ritmi un po’ squadrati del giovane Verdi vengono ben realizzati da Mariotti con sfumature e colori che ampliano gli effetti orchestrali.

David McVicar, il famoso regista scozzese, uno dei più prestigiosi a livello mondiale, torna al Piermarini dopo la regia de Les Troyens di Berlioz del 2014, una regia monumentale coprodotta col Covent Garden. Per I masnadieri ha pensato a una scena fissa che però si auto distrugge atto per atto: incedi, assalti dei masnadieri, travi cadute e uste portano la scena alla distruzione più totale come si autodistruggono i personaggi principali. Il preludio viene sceneggiato con la presenza del giovane Schiller che viene punito dal reggimento. Questa Schiller sarà presente in tutte le scene e talvolta interagisce con i personaggi da lui stesso creati. 16 mimi di cui 8 danzatori e 8 attori affollano la scena dando movimentando molto le scene corali. I mimi si assommano al coro nelle scene più movimentate con effetti riusciti. Il coro ha cantato ottimamente nei numerosi interventi richiesti e in particolare nel compatto giuramento. Dobbiamo sottolineare, poche ore dopo la recita del 4 luglio, la scomparsa di Giuseppe Bellanca tenore da 13 anni nel coro scaligero che ci ha lasciato a causa di un incidente stradale. Era un amico e lo piangiamo tutti. La recita del 7 luglio sarà dedicata a lui.

 

Fabio Tranchida

Foto CREDIT BRESCIA/AMISANO – TEATRO ALLA SCALA