Oratorio profano in tre atti
Musica di Georg Friedrich Händel
Libretto di William Congreve
Serata a favore della Fondazione Opera San Francesco per i Poveri ONLUS
Semele | Louise Alder |
Jupiter | Hugo Hymas |
Gadmus/Somnus | Gianluca Buratto |
Ino/Juno | Lucile Richardot |
Athamas | Carlo Vistoli |
Iris | Emily Owen |
Direttore | John Eliot Gardiner |
Regia | Thomas Guthrie |
Luci | Rick Fisher |
Costumi | Patricia Hofstede |
Monteverdi Choir & English Baroque Soloists
Esecuzione in forma semiscenica
La presenza dei Cappuccini a Milano è sempre stata una realtà forte. La grande chiesa dell’Immacolata Concezione si trovava dal ‘500 fino all’800 presso l’odierno Corso di Porta Venezia. Il Manzoni immagina che tra i primi edifici visti da Renzo al suo arrivo a Milano ci sia proprio il convento cappuccino che però non fu risparmiato dalle soppressioni napoleoniche. Il convento fu distrutto per lasciare spazio ai palazzi alto borghesi dell’ultimo tratto di Corso di Porta Venezia e i cappuccini aprirono a cavallo tra ‘800 e ‘900 un nuovo convento non esente da influenze liberty nell’odierna viale Piave dedicandolo al Sacro Cuore di Gesù.
Li accanto in corso Concordia nacque nel 1595 l’Opera san Francesco per i Poveri con una mensa per chi aveva bisogno. L’idea venne a fra Cecilio Cortinovis, portinaio del Convento sostenuto dall’industriale Emilio Grignani. Nel 1994 la Mensa ebbe una prima importante ristrutturazione e negli anni seguirono lo Sportello Farmaci, un Poliambulatorio e altri servizi di accoglienza. Una realtà in continua evoluzione che festeggia quest’anno 60 anni di attività e lo fa con questa opera di Händel eseguita da eccellenti professionisti.
I biglietti della serata sono stati venduti per raccogliere fondi per l’Opera San Francesco e il teatro è risultato tutto esaurito testimoniando la grande sensibilità per questi eventi da parte dei milanesi.
Semele è uno dei titoli migliori dell’ultimo periodo di composizione del compositore di Halle. Composto quando ormai si dedicava all’attività degli oratori sacri in inglese, diviene allora un ibrido: il libretto di William Congreve è in inglese, ma il soggetto tutt’altro che sacro, pienamente profano e mitologico con un secondo atto molto voluttuoso. Questa ambiguità non venne apprezzata dai puritani inglesi e l’opera non venne ripresa se non una volta sotto l’occhio vigile del compositore che censurò in 4 punti il suo lavoro.
English Baroque Soloists ci offrono un suono asciutto e nitido con l’aggiunta di arpa e chitarra barocca. Una lastra metallica viene scossa per esprime le ire celesti e il rombare del tuono di Giove. L’opera viene eseguita quasi integralmente tranne il taglio di un’aria di Athams e una di Ino nel primo atto.
Semele è Louise Alder soprano inglese dotata di ricchezza timbrica e di una voce ben uniforme. Nel terzo atto ci offre due gemme “Myself I shall adore” un’aria molto virtuosistica e “No,no! I’ll take no less” che esprime nella sua enfasi le parole successive “full excess”. Bravissima la cantante a superare questi monumentali scogli con la massima sicurezza, ma brava anche ha infondere sentimento a arie e a accompagnati più sentimentali.
Jupiter è il giovanissimo Hugo Hymas, un tenore che ci mostra Giove nella sua forma adolescenziale. La voce per quanto corretta necessita ancora un irrobustimento. Bello il timbro, elegante l’emissione e coinvolgenti le scene di seduzione verso la sua amata. Anche le sue arie sono virtuosistiche e la piccola voce riesce ad esprime il dettaglio della coloratura più minuta.
Ino e Juno sono impersonati dal mezzosoprano francese Lucile Richardot, una cantante dalla voce piena e potente con una personalità prorompente che ci ha lasciato positivamente sorpresi. Nelle vesti di Juno canta “Hence! Hence!” Via, via… con insolita e feroce energia a scapito in alcuni momenti dell’eleganza. Addirittura entra in scena interrompendo il “da capo” dell’esile aria di Iris, Emily Owen.
Gadmus e Somnus sono affidati a Gianluca Buratto dalla potente voce di basso che fa un piccolo capolavoro nelle due arie affidate a Sonno, la prima addormentato in un languore sottolineato dai fagotti e la secondo rivitalizzato dalla promesso di conquistare Pasitea.
Athamas è il controtenore italiano Carlo Vistoli, una delle nostre miglior voci in questo particolare registro. Il timbro è molto particolare, la tecnica è molto precisa e proprio nell’ultima aria si rivela un fuori calle con “Despair no more shall wound me” con una tensione particolare anche nella raffinata cadenza. Spiace il taglio dell’aria nel primo atto “Hymen, haste, thy torch prepare”. Interessante il duetto con Ino dove i due timbri rimangono ben differenziati.
Il Monteverdi Choir ci offre una prova magistrale sia nei momenti gioiosi, dove il canto risulta ben spiccato sia nel coro di terrore dopo i nefasti presagi, dove il canto si fa potente e vigoroso. In ogni momento la compattezza di tutto il coro è qualcosa di miracoloso. Due cori di chiusura d’atto sono impreziositi dalla presenza di due corni naturali prima e di due trombe naturali poi. Il coro è un personaggio molto attivo sulla scena infatti il regista Thomas Guthrie con pochi elementi scenici e tanto lavoro sul coro e gli attori ha creato una e vera propria regia che lasciava grande spazio alla musica.
Il direttore John Eliot Gardiner è il grande protagonista della serata che con la solita maestria ha potuto coordinare i due ensemble (sue creature) e i solisti in una serata di grandissima qualità musicale.
L’Opera San Francesco e l’Opera Semele insieme per musica e beneficenza. Un trionfo testimoniato da 10 minuti di applausi finali.
Fabio Tranchida