Rinaldo Jakub Józef Orliński
Armida Elizabeth Reiter
Almirena Karen Vuong
Argante Gordon Bintner
Goffredo Julia Dawson
Eustazio Daniel Miroslaw
Ballerini Evie Poaros, Natalia Rodina, Ida Kaufmann, Katharina Wiedenhofer, Challenge Gumbodete, Matt Emig, Konrad Plak, Jorge Bascuñan
Direttore Simone Di Felice
Regia  Ted Huffman
ripresa da Benjamin Cortez
Scene Annemarie Woods
Costumi  Raphaela Rose
Coreografie Adam Weinert
Luci Joachim Klein
Drammaturgia Stephanie Schulze
Frankfurter Opern und Museumsorchester

 

 

Rinaldo è un capolavoro assoluto nell’ampio catalogo delle opere di Händel, il quale prima di comporlo aveva beneficiato del soggiorno (dal 1706 al 1710) in Italia, dove si era abbeverato alla fonte della melodia italiana. Proprio in Italia aveva composto per il Teatro San Giovanni Grisostomo la famosa Agrippina e da Venezia un lungo viaggio lo portò a Londra, sua sede definitiva dove trovò l’isola felice per scrive tante opere e, nella seconda parte della sua carriera, altrettanti oratori in inglese.

Essendo il pubblico londinese ancora ignaro della musica del “caro sassone”, Händel come era costume nel ‘700 ne approfittò per incastonare nel Rinaldomelodie precedentemente composte, come l’immortale “Lascia ch’io pianga” che era nata per l’Almira e confluita poi ne Il trionfo del tempo del disinganno. Anche “Sibilar l’angui d’Aletto” proviene in realtà dalla cantata Aci, Galatea e Polifemo e l’altissima qualità della musica ne giustifica appieno l’autoimprestito.

Un’opera tipica del tardo barocco, piena di effetti spettacolari e di magia. Uno spettacolo che a Francoforte ha avuto sede al Bockenheimer Depot, deposito leggermente fuori dal centro storico, peraltro completamente ricostruito nel dopoguerra, che viene utilizzato fin dalla fine degli anni ’80. Si tratta di un edificio industriale che si compone di un unico ambiente, metà riservato al pubblico, con una ampia platea a scalare e un palcoscenico che per l’occasione aveva una forte pendenza, costringendo i cantanti a salire, scendere, con numerosi passi acrobatici nelle non poche battaglie.

Bellissimi effetti sono creati dal regista Ted Huffman con le luci, mentre le scene sono praticamente assenti ma suggerite con elementi e oggetti particolari. Per creare il mondo di Armida tre ballerine incarnano tre furie, mentre altri ballerini impersonano l’esercito a capo di Goffredo impegnato in molti scontri. La prora di una barca in lontananza e una sirena evocano il mondo marino insieme all’ocean drum, uno strumento moderno che imita il suono della risacca del mare aggiunto in partitura dal direttore d’orchestra. Il giardino di Almirena è costituito da tre alberi sostenuti da tre mimi, che creano un suggestivo berceau sotto il quale Almirena e Riccardo si scambiano le rispettive promesse d’amore.

Protagonista assoluto della serata il Rinaldo dell’affascinante Jakub Józef Orliński, controtenore polacco avviato da soli due anni ad una brillante carriera. È appena stato edito il suo primo cd da solista Anima sacra ed è davvero richiesto in tutto il mondo per recital e opere, tanto da dover compiere scelte molto mirate. Questa estate esordirà a Glyndebourne, sempre nell’opera Rinaldo ma nel ruolo di Eustazio, e ad oggi purtroppo in Italia non sono previsti concerti o opere con Orliński.

Di lui siamo entusiasti poiché il controtenore sfoggia per tutta l’opera una voce con un timbro dorato, piena di colori, morbida e uniforme fino al registro acuto. Jakub Orliński, possiede la parte nelle più piccole sfumature, offrendo – dal forte al pianissimo – una serie di sfumature cangianti. A conclusione del primo atto intona “Cor ingrato” con una progressione costante di minime dissonanze per esplicitare al meglio il dolore della perdita di Almirena. Mentre in “Venti, turbini” (quasi una cabaletta alla precedente aria) non teme la vivace dinamica e la rutilante coloratura che viene eseguita con precisi dettagli. Nel terzo atto deve affrontare un’aria con tromba solista ed interessante notare che le variazioni a cui è sottoposta la parte dal giovane cantante polacco determinano variazioni anche sulla parte della tromba in un interessante gioco di rimandi raffinati.

L’opera di Francoforte si è assicurata ulteriori servigi e Jakub Orliński esordirà a maggio come Unulfo nella “milanese” Rodelinda händeliana.

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Armida è Elizabeth Reiter, dal 2013 parte dell’ensemble dell’opera di Francoforte. La sua carriera non è specializzata solo nel barocco, ma l’ha portata ad affrontare molti titoli che spaziano fino al ‘900. Fin dalla sua sortita, mentre una lastra metallica imita fulmini e saette, la voce pare purissima e algida a descrivere un personaggio autoritario. Perfetta l’intonazione di “Molto voglio” dove il dialogo con l’oboe si fa serrato. Un’Armida certamente ben caratterizzata anche quando ambiguamente si maschera come Almirena, creando confusione nello stesso pubblico.

Almirena è Karen Vuong, soprano americano che ha intriso di molta passione il ruolo non presente nella Gerusalemme liberata. Il librettista ha cercato di dare un contraltare al ruolo di Armida creando una pura fanciulla amata da Rinaldo. Spesso questo ruolo viene realizzato dipingendo una fanciulla timida e sottomessa, cosa che Karen Vuong non ha certamente pensato di fare: la sua Almirena è quasi passionale, molto vicina agli scambi amorosi con il controtenore, in un gioco erotico di rimandi. Un gioco ardito, per quanto sia possibile in un’opera del ‘700. La voce è di soprano lirico ricco di sfumature che ci delizia fin dall’inizio con il famoso dialogo con gli augelletti realizzati in orchestra dai legni acuti e acutissimi.

Gordon Bintner impersona Argante. Il giovane basso dalla voce ampia e pastosa brilla in “Sibilar d’angui d’Aletto”, dove lotta con tre trombe naturali uscendone vittorioso. Nell’aria “Vieni o cara” è mirabile l’unisono con gli archi in un flusso continuo e morbido.

Goffredo è Julia Dawson, mezzosoprano dalla voce un poco acidula in un ruolo en travesti come avvenne alla prima a Londra. Una lunghissima barba e due stampelle caratterizzano il personaggio, riuscito visivamente ma non musicalmente, laddove evidenti sono alcune difficoltà, soprattutto nel registro più acuto.

Eustazio, infine, è interpretato da Daniel Mirosław, il secondo cantante polacco della compagnia, un buon basso dalla voce agile e dotata di tutte le note gravi necessarie a sostenere il ruolo che in quest’opera è da considerarsi secondario per numero di arie, ma non per la qualità della musica che gli è destinata.

L’orchestra è perfetta nel ricreare la sonorità settecentesca, anche se ci troviamo in un ex edificio industriale. Gli strumentisti sono dei veri virtuosi: i molti passaggi solistici con legni e ottoni sono sempre eseguiti magistralmente e intonatissimi, dalla accesa sinfonia d’apertura alle corrusche scene di battaglia. Il direttore Simone Di Felice sceglie l’integralità della prima versione esecutiva del 1711, regalandoci un’opera serrata, dove l’orchestra brilla quanto i solisti sul palcoscenico.

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Tutti i personaggi positivi, quindi escludendo Armida e Argante, hanno le membra bianchissime, quasi fossero statue antiche risvegliatesi a combattere l’ultima battaglia. In uno spettacolo senza scene questa è una scelta fondamentale per caratterizzare i personaggi abbigliati con costumi raffinati ed eleganti, evocanti il ‘500.

Uno spettacolo vincente che viene riproposto quest’anno dopo il successo nel 2017, registrando un ulteriore tutto esaurito.

La recensione si riferisce allo spettacolo del 20 gennaio 2019.

Fabio Tranchida