Opera buffa di Jacques Offenabch
Libretto di Eugene Scribe

Bababeck, Gran Vizir Rodolphe Briand
Il Gran-Mogol Nicolas Cavallier
Saëb Patrick Kabongo
Kaliboul Loïc Félix
Xaïloum Stefan Sbonnik
Maïma Pauline Texier
Balkis Fleur Barron
Périzade Anaïs Yvoz
Direttore Jacques Lacombe
Regia Mariame Clément
Scene e costumi Julia Hansen
Luci Philippe Berthomé
Coreografie Mathieu Guilhaumon
Riscrittura dialoghi Mariame Clément e Jan-Luc Vincent
Orchestre Symphonique de Mulhouse
Coro dell’Opéra National du Rhin

Data dello spettacolo: 28 Dec 2018

 

Il 2019 sarà un anno molto particolare per le opere di Offenbach in quanto si celebreranno i duecento anni dalla nascita del compositore e molti teatri, sopratutto francesi e tedeschi, hanno programmato sue opere. Il teatro di Strasburgo gioca d’anticipo e propone nel mese di dicembre una messa in scena a livello mondiale di una delle opere meno conosciute del catalogo del compositore.
Ben cinque piccoli saggi sul programma di sala cercano di ricostruire la genesi e la breve storia esecutiva di questa divertente opere buffa su cui non esiste in pratica letteratura. Offenbach, nel biennio 1858/1859, era diventato famosissimo per la versione in due atti del suo 
Orfeo all’Inferno che aveva superato le 200 rappresentazioni. A quel punto il teatro imperiale dell’Opéra-Comique, che lo aveva sempre ignorato, gli commissionò un’opera: Offenbach si mise subito al lavoro grazie ad un folle libretto di Scribe, certo non l’ultimo arrivato come librettista, scrivendo non un’opéra-comique ma un’ opéra-bouffe stilisticamente più assurda e eccessiva, diversa da ciò che si vedeva di solito in quel teatro. Il grande musicologo Jean-Christophe Keck è riuscito, in anni di lavoro, a ricostruire tutto l’autografo consultando numerose biblioteche e i materiali in possesso degli eredi di Offenbach, ritrovando quasi tutta la partitura autografa originale. Un lavoro immane del massimo esperto del compositore tutt’ora in piena attività di ricerca con al suo attivo molte pubblicazioni critiche per la casa editrice Bote&Bock. Da queste si evince chiaramente che sia Offenbach che Scribe hanno dovuto lottare non poco con la censura, avendo messo in scena un cane che governa al posto del Gran Mogol: una chiara satira alla Seconda Repubblica, breve pausa tra la Monarchia di Luglio e il Secondo Impero. Lo stesso cane abolirà le pena di morte proprio come avvenne nel periodo storico della Seconda Repubblica. Essendo andati a fuoco i materiali di esecuzione nel famoso incendio del teatro del 1887, diventa difficile capire cosa effettivamente fu eseguito in quelle uniche sette repliche di Barkouf. La censura inizialmente respinse l’opera per poi ricredersi, sicuramente dopo i rimaneggiamenti, come, per esempio, nel caso della scomparsa della parola “roi”sostituita con “Kaimakan”.

Lo spettacolo sceglieva una ambientazione moderna in una sala conferenza di un Gran Mogol/Dittatore. Secondo e terzo atto in un archivio polveroso con al centro la grande cuccia del cane che diveniva enorme nel terzo atto: il cane si limitava ad abbaiare qualche volta fino alla sua comparsa fugace nel terzo atto con in testa una coroncina. La versione del 1860 non prevedeva la sua comparsa in scena.
Il Gran Mogol si prende una vacanza, poiché troppe sono le rivolte in corso nel suo regno dell’India e sceglie il suo cane Barkouf per governare con l’aiuto del suo braccio destro, il Gran vizir Barabek, protagonista dell’opera come primo tenore buffo. Vengono presentate due coppie di amanti: una secondaria, Xaïloum (condannato a morte come sovversivo) e la sua Balkis e una coppia principale, Saëb (costretto dal Gran vizir a sposare la sua odiosa figlia) e Maïma cresciuta insieme al cane Barkouf e unica persona che può comprendere il suo abbaiare. La figlia del Grand Vizir, Périzade è brutta e antipatica e in questa versione rappresentata con folti baffi.
Maïma, come prevedibile, fa dire al cane ciò che lei stessa desidera: dimezzare le tasse, abolire la pena di morte (salvando Xaïloum) e impedire il matrimonio di Saëb con Périzade, per riconquistare l’amato. Tutto ciò scatena l’ira nel Gran Vizir Barebek, politico corrotto e approfittatore che organizza una congiura per uccidere il cane. In realtà egli morirà sul campo di battaglia contro i Tartari mentre il potere passerà di mano per volere del Mogol, ritornato in grande affanno, a Saëb.

La musica di Offenbach è di grande qualità: egli stesso conosceva bene l’importanza del teatro da cui aveva ricevuto la commissione. Grande spazio è dato a Barabek il tipico tenore comico delle sue opere: si tratta di un ruolo molto difficile, caratterizzato da frasi velocissime e versi ripetuti per molte volte per scatenare la risata contagiosa. Difficile anche la parte di Maïma inizialmente pensata per una star come Madame Ugalde e quindi ricca di vorticose colorature: Offenbach avrebbe voluto associarle la figura mezzosopranile di Balkis per equilibrare i due ruoli femminili ma proprio Scribe si oppose e Balkis rimase un ruolo secondario. Saëb, sebbene figura alquanto stereotipata di ufficiale amoroso, è beneficiato da due arie ricche di romanticismo che riscattano il ruolo. Offenbach abbonda in questa partitura di ensemble accattivanti così da far procedere la vicenda rapidamente, spesso difficili ritmicamente come il nonetto della congiura (una reminescenza tornerà nella Grande-Duchesse de Gérolstein). L’effetto temporale/sommossa è ben realizzato dal compositore, che sfrutta l’ampia orchestra dell’Opéra-Comique e il coro. La presenza del coro era una novità per lui poiché nelle opere in un atto precedenti a Barkouf gli era stato vietato dalle leggi di utilizzarlo e gli era consentito sfruttare soltanto tre o al massimo quattro solisti: impedimenti superati solo con il di poco precedente Orfeo all’Inferno la sua prima opera veramente completa in quanto a organico strumentale e vocale. Il finale del primo atto si risolve in un duetto per le due donne con un coro fuori scena, scelta molto originale, mentre ampio e lungo è il finale del secondo atto sviluppato da grande maestro.

Bababeck, il gran vizir, è Rodolphe Briand specializzato in ruoli comici come questo (Menelas nella Belle Hélène, John Styx nell’Orphée aux enfers) ed è perfetto nel disegnare un politico corrotto, interessato al potere e alle grazie della giovane Maïma che cerca di corrompere utilizzandola per “tradurre” i voleri del cane. Briand sviluppa un’interpretazione precisa con scelte ritmiche perfette: talvolta giustamente il canto sconfina nel parlato con battute o versi (in un’opera con protagonista un cane è la parola giusta) onomatopeici. Lui stesso si trasforma in un cane scodinzolando e facendosi accarezzare da Maïma. Briand è perfetto e vera anima di tutto lo spettacolo.
Il Grand-Mogol è 
Nicolas Cavallier che possiede una sola aria di sortita dove esprime il suo pensiero sul suo regno:Cavallier ha una voce da basso generosa e morbidissima, fin troppo per questo ruolo cameo che realizza benissimo e con autorità.

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Saëb l’ufficiale è Patrick Kabongo di cui avevamo già dato notizia questa estate, essendo stato interprete di due opere al Festival di Bad WildbadConfinato nel ruolo di tenore amoroso, è capace di trarre il meglio dalle sue due arie dolcissime: la voce è ben timbrata e solida, capace di dolci accenti e colori tenui. Alla fine dello spettacolo compare truccato da Napoleone III insieme al soprano truccata da imperatrice Eugenia de Montijo.
Maïma, la fioraia, amante di Saëb è Pauline Texier un soprano un po’ troppo chiaro per la parte. I suoni centrali sono flebili e nei duetti e brani d’assieme è spesso coperta. Certo che quando la linea vocale si fa acuta e acutissima la sua voce facilmente scala le vette della parte. Cap
ace quindi di proporre tutta la coloratura necessaria al ruolo, viene penalizzata da un timbro poco felice e acidulo. Balkis, la venditrice di arance, è Fleur Barron un buon mezzosoprano dal caldo registro centrale che ben esegue l’introduzione e sopratutto il duetto/finale primo. Périzade è Anaïis Yvoz. Confinata ai brani d’assieme, svolge discretamente le sua piccola parte che ha subito la riscrittura più importante nei nuovi dialoghi proposti.

Xaïloum, amante di Balkis è il simpaticissimo Stefan Sbonnik, omaggiato da due arie graffianti e satiriche nel primo e terzo atto. La voce da tenore chiaro ben s’adatta a questo ruolo sovversivo. Sbonnik è preciso nel rendere le frasi ritmicamente difficili a lui affidate. Kaliboul, l’eunuco, è Loïc Félix, un ulteriore tenore che fa da spalla a Barabek nei soliti giochi tra potente e servitore: realizza bene la sua parte impegnato in vari ensemble.

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Il direttore è Jacques Lacombe, impegnato in un grande lavoro dovendo resuscitare un’opera sconosciuta e dovendo decidere con attenzione tempi e sonorità: la missione è perfettamente compiuta con la scelta di tempi sempre molto vivi per portare la comicità di Offenbach a ben evidenti effetti parossistici. Delicatissima l’orchestrazione con la scelta dei fiati principali che dialogano con le melodie schiette dei protagonisti in un avvicendarsi continuo tra fiati e voci. Ottima la concertazione nei numerosi ensemble spesso con l’associazione del coro ben preparato.

La regista Mariame Clément ha dovuto lavorare a lungo utilizzando una linea guida per ciò che riguardava la musica preparata dal maestro del coro per decidere per tempo come sviluppare tutto lo spettacolo. Mano a mano che l’opera prendeva forma anche la regia si perfezionava: i riferimenti alla politica francese odierna sono stati ben evidenti e il nonetto dei congiurati prevedeva delle maschere con i politici francesi più famosi con grandi risate dal pubblico.

Uno spettacolo godibilissimo visto due volte, che procederà la sue recite a Mulhouse e Colonia dove verrà trasmesso via radio ma con i dialoghi in tedesco purtroppo. In una Strasburgo che abbiamo visto scossa dal recente attacco terroristico questa opera buffa ha portato un poco di felicità e frivolezza in una città ferita ma con la voglia di reagire e normalizzarsi.

La recensione si riferisce alla recita del 17 dicembre 2018

Fabio Tranchida

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