Musica di Giuseppe Verdi
Libretto di Temistocle Solera e Francesco Maria Piave
Attila |
Ildar Abdrazakov |
Odabella | Saioa Hernández |
Ezio | George Petean |
Foresto | Fabio Sartori |
Uldino | Francesco Pittari |
Leone | Gianluca Buratto |
Direttore | Riccardo Chailly |
Regia | Davide Livermore |
Scene | Giò Forma |
Costumi | Gianluca Falaschi |
Luci | Antonio Castro |
Video | D-wok |
Coro e Orchestra del Teatro alla Scala
Coro di Voci Bianche dell’Accademia Teatro alla Scala
Nuova produzione Teatro alla Scala
Attila mancava dal cartellone scaligero dal 2011 e inizialmente era programmata una altra opera inaugurale della stagione 2018/2019 il grand opéra Les vêpres siciliennes ma alcune difficoltà hanno fatto ripiegare la scelta su Attila opera certo meno impegnativa. Attila è una opera degli anni di galera di Verdi scritta per il Teatro alla Fenice e destinata all’Editore Lucca invece che a Ricordi. Il libretto molto spartano di Solera autore anche di Nabucco e I Lombardi non aiuta certo ad approfondire i personaggi che risultano essere abbastanza bidimensionali. Verdi piano piano matura un poco il suo stile introducendo una bella scena di tempesta e alba ispirato dall’ascolto al San Carlo di Napoli de Le Desert di Felicien David, ampia sempre di più le grandi frasi nelle sue arie creando dei notevoli ruoli per il quartetto di cantanti. I finali dell’atto secondo e terzo (consideriamo il prologo come atto primo per facilitare le spiegazioni nell’articolo) sono sviluppati ma non ridondanti e raggiungono il loro effetto. Lo sfociare troppo spesso nelle squadrate cabalette è prerogativa delle opere di questo periodo.
Il maestro Riccardo Chailly ha compiuto il miracolo di trasformare della materia un poco grezza (concedetemelo) in una raffinata partitura piena di colori e accenti. La frase lirica che struttura il breve preludio risulta essere una frase al calor bianco per intensità. Nel secondo atto raffinati fiati chiosano l’aria di Odabella e gli accompagnamenti nelle strette e cabalette sono sempre piene di una forza primordiale. L’orchestra ubbidiente alla bacchetta asseconda il maestro nei più piccoli particolari. Chailly va oltre scegliendo di inserire la terza versione dell’aria di Foresto scritta proprio per la Scala per le recite di Napoleone Moriani il tenore della bella morte, e a parte l’incisione di Pavarotti con Abbado, mai eseguita, tanto meno in teatro all’interno dell’opera. Una autentica rarità questa versione dell’aria che supera notevolmente l’originale più squadrata. Chailly inoltre aggiunge le poche battute composte da Rossini per introdurre il terzetto nel quarto atto. Rossini compose le battute per pianoforte per una esecuzione privata del terzetto ma è stato facile orchestrare le battute per archi. Rossini scrisse in calce allo spartito “Salvo l’approvazione di Verdi” ma siamo sicuro l’avrebbe accordata.
Ildar Abdrazakov dopo il successo personale nell’Ernani autunnale qui alla Scala, ritorna ad un ruolo di Attila che gli calza a pennello. Una potenza sonora notevolissima, controllata per regalarci delle frasi scolpite a tutto tondo. Il suo fisico ben piazzato e l’autorità dei gesti erano perfetti per il ruolo del capo degli Unni. Gli altri personaggi erano sempre subordinati ai suoi ordini e alle sue minacce fino al momento finale quando lasciato solo soccombe agli altri tre. Ottimo il duetto nel primo atto con George Petean nei panni di Ezio un romano che tradisce il suo popolo: Petean è una artista rumeno che ha studiato canto tra gli altri anche con Giorgio Zancanaro che sosteneva la sua stessa parte nel 1991 nell’epoca Muti. Petean è molto professionale e ci offre una aria all’inizio del terzo atto dalla notevole resa sonora, con frasi di notevole volume e ampiezza perfettamente intonate. Granitico nel suo modo di offrirci le frasi, il baritono riesce bene a descrive il ruolo di Ezio che da traditore della patria infiammava invece il pubblico risorgimentale con frasi come “Resti l’Italia a me”.
Saioa Hernández è una eccellente soprano madrileno che abbiamo tanto applaudito l’anno scorso nella sua interpretazione di La Wally di Catalani nei teatri del circuito emiliano. Il ruolo creato da Verdi è al limite delle possibilità umane e solo nella prima cavatina la cantante deve salire e scendere per due ottave con salti micidiali che senza una perfetta tecnica sarebbero molti pericolosi per la voce. Saioa Hernández dimostra invece di possedere questa tecnica e fin dall’inizio dona al pubblico la sua voce immacolata. Accenti e sbalzi sono caratteristiche del canto di Odabella, caratteristiche ben esaltate dalla voce del soprano Hernández che è capace di essere più lirica nella romanza del secondo atto dove il dialogo coi fiati si fa più raffinato.
Fabio Sartori è ospite fisso alla Scala e non delude neanche nel ruolo di Foresto che già aveva affrontato nel 2011. Ora mette a fuoco ancora meglio il suo ruolo, un tenore che si sente tradito un po’ da tutti ma che alla fine riscatta la sua patria. La voce possiede un bello squillo e nell’aria del primo atto con il coro come pertichino Sartori riesce particolarmente bene, in uno stato di esaltazione finale. Bene l’aria rara dell’ultimo atto dove gli accenti più morbidi da lui impiegati riescono a colorare la parte intima di questa composizione aggiunta.
Il coro è spesso impegnato in quest’opera con una scrittura non particolarmente complicata. Il coro della Scala stupisce ogni volta per precisione degli interventi e compattezza generale.
Superbo spettacolo dell’ormai affermato Davide Livermore che dopo due spettacoli straordinari come Tamerlano e Don Pasquale viene promosso a regista della prima. Ci sposta in una location della seconda guerra mondiale, con camionette verde marcio, tralicci e case bombardate. Visualizza l’assassinio del padre di Odabella da parte di Attila con ottimi filmati e video che completano l’enorme scenografia dei tre artisti che costituiscono Giò Forma. Un plauso speciale a Gianluca Falaschi che come sempre eccelle con i suoi costumi che di base erano ispirati agli anni ’30 del ‘900 ma intelligentemente mischiavano anche altre epoche, con un trionfo speciale nel finale terzo: durante una feste lasciva vestiti di epoca liberty si mischiavano agli elmetti prussiani. Un’orgia di forme e colori ben orchestrata da questo costumista.
Ottimo successo di pubblico sia alla prima in mondovisione che alle repliche da tutto esaurito. Un ottimo inizio di stagione lirica che proporrà ben 15 titoli in tutto.
Fabio Tranchida