Venezia Teatro La Fenice

Durata complessiva: 4h40′

Domenica 21/10/2018
PROGETTO ROSSINI centocinquantesimo anniversario della morte di Gioachino Rossini

Semiramide   Jessica Pratt
Arsace   Teresa Iervolino
Assur    Alex Esposito
Idreno   Enea Scala
Oroe   Simon Lim
Azema   Marta Mari
Mitrane   Enrico Iviglia
L’ombra di Nino   Francesco Milanese

Direttore   Riccardo Frizza
Regia   Cecilia Ligorio
Scene   Nicolas Bovey
Costumi   Marco Piemontese
Movimenti coreografici e ballerina   Daisy Ransom Phillips
Ballerine   Olivia Hansson, Elia Lopez Gonzalez, Marika Meoli, Sau-Ching Wong

Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Maestro del Coro   Claudio Marino Moretti
nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice

 

Ogni volta che si propone Semiramide, un melodramma tragico in due atti, si può parlare di evento: proporlo in versione integralissima come sta facendo in questi giorni il Gran Teatro la Fenice vuol dire fare giustizia all’ultimo capolavoro composto da Rossini espressamente per palcoscenici italiani. Le 5 opere successive vedranno luce a Parigi dove i compensi erano ben maggiori che nei teatri italiani, e dove Rossini aspirava ad una pensione che ottenne dopo una lunga causa legale col governo francese. Se non avesse ottenuto la pensione si pensa che il compositore sarebbe stato costretto a comporre e comporre e avremmo molte opere dopo il Guillame Tell che segna invece il non plus ultra della sua carriera teatrale (ma non musicale).
A Napoli concluse la sua attività con una modernissima Zelmira, di cui vi abbiamo dato conto nel mese di luglio su questo web magazine, opera all’avanguardia nel suo iniziare in medias res, nella scelta di brani d’assieme originali e un taglio molto tragico. Semiramide invece sembra riprendere gli stilemi del giovanile Tancredi, guarda caso suo successo alla Fenice, e ampliare lo schema di Tancredi dall’interno con ampie arie e ampi duetti. Nel suo concetto apollineo, Rossini amplia ogni brano dall’introduzione ai finali trasformandoli in brani mastodontici, certo ispirato anche dagli ultimi successi di Meyerbeer come testimoniano le lettere inviate al librettista Gaetano Rossi. Meyerbeer dopo Semiramide andrà ancora oltre con il suo capolavoro italiano Il crociato in Egitto.
Semiramide debuttò a Venezia il 3 febbraio 1823 con Isabella Colbran nel ruolo della protagonista, nonostante la sua carriera fosse ormai in declino, come sottolineano i recensori dell’epoca. L’opera venne fin dalle prime repliche ridotta di dimensione con grande dispiacere del pubblico che voleva riascoltare interi brani. Probabilmente la prima cavatina di Idreno non venne mai eseguita, neanche alla prima rappresentazione. Rosa Mariani il primo Arsace en travesti, fu Isaura nel 1820 alla prima di Margherita d’Angiò di Giacomo Meyerbeer alla Scala.  Era la sorella maggiore del basso Luciano Mariani che nella produzione originale di Semiramide cantava l’importante ruolo di Oroe.

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Dobbiamo sicuramente attestare che lo spettacolo odierno qui a Venezia è riuscito ottimamente su tutti e tre i versanti vocale, orchestrale e registico in una sinergia che raramente ci capita di osservare.
A livello visivo il primo atto mostrava la ricchezza dell’oro insieme al bianco dei coristi in fondo alla scena e al porpora del principe Idreno, mentre il secondo atto collocato nella tomba di Nino era dominato dal nero più profondo delle scene, dei coristi e dei personaggi fino al buio più totale nel terzetto conclusivo. Il contrasto tra i due atti non era poi così netto ed elementare ma carico di suggestioni e rimandi: il primo corto movimento della sinfonia vedeva protagonista Semiramide che come una Lady Macbeth cercava di togliersi dalle mani il sangue nero del marito tradito. L’ombra di Nino rompeva nel finale primo il mondo dorato degli assiri in un netto contrasto. La grande tela d’oro compariva per 2 minuti nel coro finale di trionfo, sebbene Arsace piangesse la madre morente. Rossini per una versione in italiano a Parigi cercò di migliorare la conclusione di questo capolavoro con un recitativo breve (conservato) tra Arsace e Semiramide e un coro di dolore purtroppo non ancora emerso dagli archivi cosa che rende impossibile eseguire la versione pienamente tragica. Guarda caso anche il Tancredi ha questa doppia possibilità nella conclusione. Promossa quindi appieno la regia della giovane Cecilia Ligorio. Uno spettacolo 10 volte più bello di quello che recentemente si è visto a Monaco e Londra della stessa opera, questa la nostra opinione.

Quintetto vocale di grande valore, una gara di fuoriclasse. Teresa Iervolino, applauditissima, disegna un credibile Arsace nel suo manto blu cobalto: la caratterizzano una personalità volitiva, un canto incisivo e al contempo morbido nell’emissione. Cura massima nel porgerci i recitativi scolpiti e con frasi che non di rado si espandono in espressioni profonde. Bellissimo il verso “Non conosci cos’è amor” con una frase grave e morbida rivolta nel duetto all’odioso Assur. Ci hanno sorpreso nella seconda aria il pianto e i sospiri che quasi increspavano il canto. Dopo poco conscia della sua missione la voce invece si faceva decisa nell’episodio ponte. Una espansione degli affetti davvero palpabile. Raffinate e discrete le variazioni nelle varie ripetizioni di cabalette e strette dei tre duetti.
Due di questi duetti sono una cosa sola col canto di Semiramide, una algida Jessica Pratt, che trova la parte Colbran un poco stretta e bassa: naturale quindi per lei come fece a Firenze due anni fa acutizzare in più punti la parte sfruttando il suo bellissimo smalto e gli acuti, i picchiettati con variazioni sempre funamboliche. I duetti con Arsace, gemme inestimabili, hanno tutta la morbidezza del caso con giochi per terze dal sapore arcaico, un mondo musicale che da li a poco sarebbe scomparso con l’irruenza del romanticismo in musica.

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Enea Scala ha vitalizzato oltremodo il ruolo di Idreno, interpretando un giovane smaliziato, sempre pronto ad amare una riluttante Azema. Se nella prima aria il canto è più astratto nella seconda si fa più lirico e contrastato sviluppando una serie anche violenta di affetti che non avevamo mai immaginato nel personaggio. Enea Scala dalla superba e seducente presenza nel suo completo porpora ci regala un canto intenso e vibrante; il tenore pensa nota per nota offrendo una precisione maniacale nel canto. Il tenore possiede anche note baritonali di inusuale ampiezza come già aveva dato prova nel ruolo Nozzari del Mosè in Egitto di Napoli pochi mesi fa. Nella seconda aria abbiamo apprezzato la cadenza insistita e la difficile e lunga coda finale che ha portato ad acclamazioni prolungate.
Oroe è Simon Lim dalla potente voce di basso e dall’autorità ieratica nel canto. La regista ci mostra Oroe cieco con gli occhi bendati. Una cecità che gli permette di vedere “oltre” e capire i presagi e le visioni orrorifiche dell’opera.
Buona la prova di Alex Esposito che disegna un Assur maligno, col suo bastone-scudiscio: se il duetto con Arsace non ci è parso veramente a fuoco, vocalmente ci è parsa molto valida la sua partecipazione all’introduzione dell’opera e all’epocale scena di follia nel secondo atto. Un episodio non presente in Voltaire e scritto e musicato apposta per esaltare le capacità di Filippo Galli memore della follia del conte d’Ordow nel Torvaldo romano. Il canto di Esposito nell’aria della follia ci è parso giustamente esagitato, rotto, drammaticissimo. Il volume sonoro ampio gli ha permesso di sostenere la baldanzosa cabaletta che segue.
Coro molto impegnato in questa solenne opera e in ogni momento lo abbiamo trovato compatto e preciso così come la rutilante orchestra dove i magici preziosismi dei fiati sono stati ben evidenziati della bacchetta del bresciano Riccardo Frizza. Il numero degli archi non era eccessivo così da far risaltare flauti, ottavini, oboi e clarinetti che cantavano coi solisti. Impressionanti i colpi di tam-tam nelle scene di apparizione dell’ombra di Nino, rappresentato proprio da una attore scuro di pece e con la corona in testa. Frizza sceglie tempi “neoclassici” cioè senza la volontà di eccedere neille dinamiche e nei colori ma consegnandoci ampi affreschi sonori nella loro classicità.

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L’assoluta integralità dell’opera ha fatto solo bene alla musica e alla architettura neoclassica perfettamente calibrata da Rossini. In occasione di questo evento, viene esposta la partitura autografa con le impronte digitali di Rossini, restaurata dal Laboratorio del Restauro del libro e di opere d’arte su carta dell’Abbazia di Praglia (Padova) col sostegno di Assicurazioni Generali e Generali Italia (progetto Valore Cultura).

Fabio Tranchida