Olympia: Nina Minasyan
Antonia: Ermonela Jaho
La voce della madre: Eva Kroon
Giulietta:Christine Rice
La Muse:Irene Roberts
Hoffmann: John Osborn
Lindorf/Coppelius/Dr. Miracle/Dapertutto:Erwin Schrott
Direttore: Carlo Rizzi
Regia: Tobias Kratzer
È stato importante venire ad Amsterdam per questa importante produzione del capolavoro Les contes d’Hoffmann del compositore francese Jacques Offenbach di cui l’anno prossimo si celebrano 200 anni dalla nascita. La sua ultima opera rimase incompiuta e fu montata in una edizione manomessa in più punti nel 1881 sia per ridurre l’eccessiva lunghezza sia per incapacità di discernere tutto il materiale vergato da Offenbach. Avendo l’autore 5 figli, i materiali musicali furono divisi e dispersi in tutto il mondo tanto che di quest’opera si trovano anche singole pagine tra le biblioteche europee e americane. Un lavoro difficilissimo per i due musicologi Micheal Kaye e Jean-Christophe Keck, che dopo vent’anni di lavoro per ricostruire questa partitura sono arrivati ormai ad un 95% di musica completa e autentica con piccole lacune nell’atto veneziano e sopratutto l’epilogo effettivamente mai portato a termine. L’atto veneziano è certamente l’atto che necessitava una piena restituzione: ora la musica è tutta di Offenbach senza le pessime interpolazioni del passato e la trama è resa finalmente intellegibile e chiara, restituendo l’ordine dei brani nei 5 atti di questa opera-fantastica che ritorna così alle sue dimensioni ragguardevoli.
Il direttore milanese Carlo Rizzi e il regista tedesco Tobias Kratzer hanno deciso di seguire l’edizione critica Kaye/Kekc operando alcuni sfoltimenti (esecuzione di una unica strofa invece che due, riduzioni degli ampi terzetti). Queste cesure, sebbene fatte con molta attenzione, non ci paiono opportune e avremmo preferito sedere a teatro 15/20 minuti in più per sentire l’opera integralmente.
Il cast è risultato molto valido e affiatato, a cominciare dal protagonista John Osborn, tenore rossiniano ma capace di ampliare il suo repertorio. Hoffman è in effetti un tenore ambiguo, abile a divertire con la canzone di Kleinzach inserendo nella stessa un episodio lirico. Osborn gioca sui due registri con i duetti con le sue amate particolarmente veementi e drammatici. La voce è potente e incandescente e le 4 ore di spettacolo non la fiaccano neanche nel brindisi veneziano dove lo squillo rimane magnifico. Ottimo il fraseggio francese da parte del tenore.
Fuori classe risulta Erwin Schrott, celebre basso-baritono capace di trasformare i 4 diabolici cattivi in personaggi via via più degradanti. Miracle è un dottore ossessionato e Schrott quasi parla invece di cantare con espressioni realistiche. La voce è amplissima e il cantante gioca con sulfurei chiari scuri. Il francese è padroneggiato bene e l’effetto generale è impressionante. Nina Minasyan è una divertente Olympia una bambola appena creata e paurosa di tutto: la parte è molto virtuosistica e la Minasyan riesce al meglio nella coloratura e negli acuti con audaci variazioni. Ottima Ermonela Jaho che si presenta con un’aria dolcissima e orchestra trasparente, ma ben presto diventa drammatica come Antonia con una voce spessa e cupa che concede agli acuti pochi spazi. Gli acuti la porteranno alla morte: infatti la voce della madre è in questa versione un grammofono e lei spezzerà il disco è si taglierà la gola. Anche la madre morta Eva Kroon è apprezzabile in un terzetto magico la cui musica deriva da Fantasio. Giulietta è Christine Rice e canta finalmente l’aria scritta da Offenbach ritrovata da Keck. Tutto l’atto in questa versione è una gemma e il personaggio di Giulietta ne esce completo. La Rice ha notevole personalità e si mostra come una sirena/cortigiana con voce superabile di buona estensione e colore scuro. Anche il duetto con Hoffmann è buono e bellissima la barcarola con la musa. La musa sembra una amica di vecchia data di Hoffmann in questa regia e Irene Roberts è un ottimo mezzosoprano, di cui traspare la preoccupazione per le sorti dell’amico. Molto applaudita dal pubblico, è un ruolo che la regia ha saputo valorizzare.
Al centro della scena divisa in più stanze vi era lo studio fotografico di Hoffmann e intorno le varie stanze delle sue amate che lui spia. Bello l’impianto scenico che però ha reso difficile talvolta la direzione delle voci in quanto spesso i cantanti erano lontani tra di loro e da Rizzi. Buone le numerose parti di fianco tra cui il cantante di colore Sunnyboy Dladla divertentissimo. Belli i costumi e in generale il colore delle varie scene quasi orrorifiche. Direzione esemplare di Rizzi che esplicita i mille colori vibranti della partitura. Coro preparatissimo. Un grande successo questo capolavoro di Offenbach qui ad Amsterdam che prosegue fino a luglio nelle repliche.
Fabio Tranchida