Direttore: Simon Rattle
Regia: Dieter Dorn

Parsifal: Stephen Gould
Kundry: Ruxandra Donose
Gurnemanz: Franz-Josef Selig
Amfortas: Gerald Finley
Klingsor: Evgeny Nikitin
Titurel: Robert Lloyd

Berliner Philharmoniker
Philharmonia Chor Wien

L’Osterfestspiele ( Festival di Pasqua) di Baden Baden festeggia nel 2018 i cinque anni di residenza dei Berliner Philharmoniker, che in questa amena e storica città termale hanno trovato una nuova casa, continuando la tradizione voluta da Karajan a Salisburgo di eseguire ogni anno a Pasqua un’opera in forma scenica.

Quest’anno, ultimo della reggenza di Simon Rattle alla guida dei Berliner, il titolo scelto è di alta rilevanza: Parsifal di Richard Wagner. L’occasione di sentire questo capolavoro eseguito da quella che è probabilmente oggi la miglior orchestra al mondo ha richiamato a Baden Baden numerosi appassionati da tutto il mondo, che hanno tributato allo spettacolo un caloroso ma non convintissimo applauso: l’impressione è che, con il materiale a disposizione, si potesse certamente fare di più.

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Le note liete, indubbiamente, vengono da ciò che si sente in buca. I Berliner confermano ogni aspettativa e suonano in maniera impeccabile, vibrante, senza cali di concentrazione e di tensione, senza mai perdere per strada nemmeno un singolo passaggio delle oltre 4 ore di musica di questa partitura. Merito di questi straordinari musicisti ed anche di Simon Rattle, che riassume in qualche modo in questa esecuzione i suoi anni sul podio berlinese. La qualità del suono, l’attenzione al dettaglio timbrico, il gusto e l’entusiasmo del “lasciar suonare” sono le migliori eredità che Rattle lascerà a questa orchestra: tutti pregi che tuttavia non sembrano bastare per dare pieno risalto ad un’opera come Parsifal, che oltre ai preziosismi musicali della scrittura wagneriana matura ha alla base anche un importante sostrato concettuale e di metafisica della musica, totalmente assenti nella lettura di Rattle, eccessivamente emendata di tutta la componente enfatica, retorica e un po’ nevrotica che è invece parte integrante della poetica di Wagner. Ci è parso che Rattle abbia lasciato briglie sciolte all’orchestra solamente durante la marcia funebre di Titurel, che è risultato infatti il momento più intenso dell’opera, a scapito di altre scene contenutisticamente più importanti quali il duetto del secondo atto o il finale.

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Ruxandra Donose in Kundry (c) Monika Rittershaus

La mano “leggera” di Rattle ha d’altro canto aiutato moltissimo i cantanti, chiamati a farsi valere nell’immensa sala da 2500 posti della Festspielhaus. Nel cast, tutto di ottimo livello, sono emersi il Parsifal di Stephen Gould, sempre di sicuro squillo e tenace resistenza, e il Gurnemanz di Franz-Josef Selig, che ha sostenuto questa parte quasi infinita da grande narratore con sapienza scenica e capacità di fraseggio naturale, oltre che con voce salda e convincente. Prova positiva per Ruxandra Donose, attesa dall’impegnativo ruolo di Kundry dopo una carriera per lo più votata al Belcanto. La voce è sempre ben impostata e non patisce le tessiture folli della parte, anche se qualche passaggio di temperamento ha mancato di mordente. Soddisfacente per quanto caricaturale Evgeny Nikitin in Klingsor e decisamente superiore alle aspettative il veterano Robert Lloyd, ancora autorevole nel breve intervento di Titurel. Abbiamo lasciato per ultimo Gerald Finley, quotato interprete di Liederistica e quindi, come spesso avviene, subito scritturato per la parte di Amfortas. Purtroppo il passaggio non è così immediato, ed i risultati sono spesso altalenanti. In questo caso, Finley ha evidentemente faticato a tenere testa all’orchestra in certi passaggi dei due monologhi, forzando la voce sul passaggio, là dove peraltro la sua tecnica non sembra perfetta, con conseguente strozzatura e intonazione rivedibile. Non sono bastate alcune sferzate di fraseggio per salvare una prova complessivamente negativa.

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I cavalieri del Graal (c) Monika Rittershaus

Amarus in fundo, dobbiamo purtroppo citare anche la regia di Dieter Dorn, gloria del teatro di prosa tedesco che patisce la senescenza dei suoi troppi anni di carriera. In un’assenza totale di idee, mal sopperite da un buon mestiere d’esperienza nei movimenti, lo spettacolo si apre (e si chiude) su Kundry, perseguitata dalle “tentazioni” incarnate da figure pseudo-kabuki. Il primo e terzo atto sono animati unicamente da strutture lignee a cuneo fatte di cantinelle e multistrato con mediocri paesaggi disegnati a carboncino sopra che ruotano per mutare la scena, senza alcun evidente valore aggiunto. Poco meglio il secondo atto, che quantomeno evita le brutture (fatta eccezione per il globo da veggente di Klingsor) scegliendo uno spazio interamente bianco con solamente dei parallelepipedi a formare altezze e pedane. Imbarazzanti i costumi e il trucco, privi sia di gusto che di originalità e decisamente inadeguati al livello della produzione, confermando l’incapacità del teatro tedesco di offrire maestranze sceniche adeguate all’elevato livello delle sue maestranze musicali.

Il festival dell’anno prossimo avrà un tocco decisamente più italiano, con Daniele Gatti a dirigere l’Otello di Giuseppe Verdi, regia di Bob Wilson e un cast di primo livello con Stuart Skelton, Sonya Yoncheva e Luca Salsi.

 

 

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