Azione tragico-sacra in tre atti
Libretto di Andrea Leone Tottola, dall’Antico Testamento e dal dramma di Francesco Ringhieri, Osiride.
Prima rappresentazione: Napoli, Teatro San Carlo, 5 marzo 1818

Interpreti
Faraone, Alex Esposito
Amaltea, Christine Rice / Arianna Vendittelli (17 marzo)
Osiride, Enea Scala
Elcìa, Carmela Remigio / Karen Gardeazabal (17 marzo)
Mambre, Alisdair Kent
Mosè, Giorgio Giuseppini / Goran Juric (17 marzo)
Aronne, Marco Ciaponi (15 marzo) / Krystian Adam (17 marzo)
Amenofi, Lucia Cirillo

Direttore | Stefano Montanari
Regia | David Pountney
Scene | Raimund Bauer
Costumi | Marie-Jeanne Lecca
Luci | Fabrice Kebour
Assitente alla Regia | Polly Graham

Allestimento della Welsh National Opera
Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo

Giovedì 15 Marzo 2018
Sabato 17 Marzo 2018

 

Il San Carlo di Napoli festeggia 150 anni dalla scomparsa di Gioachino Rossini allestendo una delle sue opere più innovative, il Mosè in Egitto che proprio su questo palcoscenico 200 anni fa ebbe la sua prima assoluta.
Un anniversario importante festeggiato con l’apertura della mostra “Furore napoletano” curata da Sergio Ragni massimo esperto e collezionista del pesarese. Una mostra che tratta delle opere napoletane che fanno capitolo a sé nella carriera del compositore, opere molto innovative dal punto di vista musicale e drammatico se confrontate con le altre prodotte per la penisola. Non è un caso che proprio due opere napoletane Maometto II e Mosè in Egitto diverranno la base per la trasformazione di esse in due imponenti grand opéra parigini ultimo capitolo della carriera operistica rossiniana.
Moïse et Pharaon, ou Le Passage de la mer Rouge sarà quindi la versione francese che una volta tradotta in italiano sostituirà la versione più scarna napoletana, anche se non del tutto se ancora Balzac rimaneva estasiato dalla versione napoletana tanto da descriverla nel suo romanzo Massimilla Doni.
Il San Carlo ha potuto disporre di voci eccezionali per un’opera che richiede parti molto impegnative sia ai protagonisti che ai comprimari. Colbran, Nozzari, Benedetti e Pellegrini ecco i nomi delle star assolute della prima che ripresero l’opera più volte negli anni successivi, complice Rossini che perfezionava la partitura trasformando il debole atto terzo in un successo prodigioso e inserendo un’aria per Faraone autografa sostituendola a quella di Michele Carafa.

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Abbiamo assistito alla prima rappresentazione e alla seconda recita e quindi possiamo darvi un accenno ad entrambi i cast proposti dal San Carlo. Star assoluta è stato il tenore Enea Scala il giovane tenore di Ragusa che ha già calcato i palcoscenici internazionali: ricordiamo in particolare le sue partecipazioni a Lione e Le duc d’Albe ad Anversa come magnifico Henri. Enea Scala ha saputo fronteggiare l’irta parte scritta per il baritenore Andrea Nozzari, sfoggiando un virile timbro su tutta l’arcata che dalle regioni più profonde svettava fino al do diesis acuto. La voce risulta piena, ricca di armonici, sensuale e passionale nei duetti d’amore. Plauso particolare al tenore che si è scritto molte variazioni in tutti gli assiemi: solitamente le variazioni si fanno alle cabalette ma Enea Scala ha reso la sua parte ancora più difficile variando la linea vocale con funamboliche acrobazie anche negli insiemi creando una positiva tensione in tutta l’opera.
Alex Esposito è veterano della parte, lo ascoltammo infatti al Rossini Opera Festival nel 2011. Il suo è un Faraone autoritario, emergendo in particolare nell’aria “Cade dal ciglio il velo” resa in modo chiaroscurale con pause e attese, pianissimi e forti creando un piccolo capolavoro. Nel duetto del secondo atto con il figlio Osiride, Alex Esposito si dimostra molto preciso nella fitta coloratura scura della sua parte scritta per il famoso Raniero Remorini, già esperto di ruoli buffi rossiniani. Debole il basso Giorgio Giuseppini che non riesce per niente ha mostrare l’importanza del ruolo biblico, molto meglio interpretato la sera del 17 marzo da Goran Juric dotato di una voce profonda e autorevole. “Eterno! Immenso!” è una invocazione che Goran Juric riesce a far ben risaltare così come l’incipit della preghiera “Dal tuo stellato soglio”. L’aria di Mosè del secondo atto affidata ad un anonimo collaboratore è debolissima musicalmente e spiace che Rossini nelle due revisioni napoletane non abbia pensato di sostituirla in toto.

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Carmela Remigio ha carattere da vendere, ed esprime i sentimenti contrastanti di Elcìa con notevole sforzo. Tutta la parte vocale è ben spiccata e accentata e la parte quasi mezzosopranile della Colbran è esaltata dal colore bruno e smaltato della sua voce. Ottima l’aria che conclude il secondo atto, un vero monumento musicale ad alta tensione che la Remigio ha sfruttato in pieno. Karen Gardeazabal ha cantato la stessa parte il 17 marzo con buoni risultati e uniformità di linea di canto senza però l’accento e la personalità della più esperta Remigio. Di pari livello Christine Rice e Arianna Vendittelli nel ruolo di Amaltea la sposa del Faraone: Rossini affida ad Amaltea una vecchia aria tratta dal Ciro in Babilonia che viene svolta con perizia da entrambe le cantanti. Bene Mambre e Aronne e plauso a Lucia Cirillo, cantante esperta nel barocco, che qui svolge un ottimo duetto con la protagonista Elcìa “Tutto mi ride intorno” dove gli accenti sono in perfetta simbiosi. Lucia Cirillo canterà presto alla Scala ne La finta giardiniera diretta da Diego Fasolis.
Ottima la direzione di Stefano Montanari, apprezzato l’anno scorso a Roma ne Il viaggio a Reims integralissimo. La direzione risulta sempre concitata e mossa, esprimendo al meglio la scabra drammaturgia rossiniana: nella lunga introduzione dirige con due bacchette fosforescenti poiché tutto il teatro è al buio per la piaga causata da Mosè. Molti i ritmi di banda che sarebbero dovuti essere affidati ad una banda sul palco, ma si è optato di farli eseguire direttamente dai fiati nel golfo mistico perdendo un poco l’effetto spaziale. L’orchestra e il coro hanno secondato in tutto e per tutto il maestro creando una potente architettura musicale in quest’opera caratterizzata più che da aria, da ampi concertati.
La regia voleva nella sua asciuttezza recuperare il concetto di oratorio sacro, spesso rappresentato con pochi elementi ma a noi è risultata molto sterile e ripetitiva. Nessuna capacità di muovere le masse, nessuna intenzione narrativa hanno reso l’aspetto visivo monocorde. Le piaghe, il fulmine che incenerisce Osiride e l’apertura delle acque non erano per niente esplicitati facendo perdere l’aspetto spettacolare dell’opera.
Complimenti quindi al Teatro San Carlo per aver festeggiato questa ricorrenza recuperando un’opera fondamentale nella carriera rossiniana.

Fabio Tranchida