Musica Hector Berlioz
Libretto Hector Berlioz e Almire Gardonnière
Da J.W.Goethe, tradotto in francese da Gérard De Nerval
Prima esecuzione in forma di concerto:Paris,opéra comique 6-12- 1846
Interpreti
Faust    Pavel Černoch
Mephistophelès  Alex Esposito
Marguerite   Veronica Simeoni
Brander   Goran Juric’
Direttore     Daniele Gatti
Regia   Damiano Michieletto
Orchestra e coro del Teatro dell’Opera di Roma
Con la partecipazione della scuola di canto corale del teatro dell’Opera di Roma
Nuovo allestimento in cooproduzione con il Teatro Regio di Torino e
Palau de les arts Reina Sofia di Valencia
La Damnation de Faust fu rappresentata in forma di concerto la prima volta il 6 dicembre 1846 all’Opéra comique di Parigi e in forma scenica nel 1893. Non può essere considerata un’opera, né un oratorio, Berlioz la definiva “légende dramatique” : fu proprio a Montecarlo che venne effettivamente rappresentata con scene e costumi.
Si tratta di una partitura complessa e come fa presente il maestro Daniele Gatti, induce il pubblico ad immaginare un’azione, una scenografia. Il Faust di Goethe, nella traduzione di Gerard de Nerval è punto di riferimento, ma dall’opera del grande scrittore sono state tratte soltanto alcune scene come in effetti fece Schumann più o meno negli stessi anni. Del resto la vicenda di Faust circolava nel mondo letterario, soprattutto nel nord Europa; Berlioz ne è stato attratto e ne ha dato una sua versione.
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La scelta della Damnation de Faust per aprire la stagione del teatro dell’opera, un titolo di ampio respiro, è una scelta coraggiosa dal momento che non veniva messa in scena da molto tempo e pertanto era da considerarsi poco conosciuta dal pubblico.
La partitura orchestrale e i cori imponenti (coro di voci femminili, maschili, di voci bianche), ma anche equilibristi, ballerini, sono dominanti insieme all’originalità della regia e la spettacolarità delle scene. Le scelte del regista sono ricche di fascino, anche se la molteplicità dei simboli crea una situazione di sovraccarico che può disorientare lo spettatore e renderne non sempre chiara la lettura e la condivisione. Le scene sono divise in 15, ognuna con un titolo che definisce l’argomento e la situazione psicologica dei protagonisti che sono tre: Faust, Mefistofele, Margherita. Brander ha un ruolo limitato alla scena del locale in cui Mefistofele trascina Faust per mostrargli i piaceri della vita e nel quale viene ucciso un enorme topo.
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Il regista Damiano Michieletto introduce in apertura Faust in un letto d’ospedale in preda ad uno stato di forte depressione, a un taedium vitae, malattia dell’anima che lo conduce a morte. La bara della prima scena è quella di Faust e da questo momento il protagonista ripercorre la sua vita, attraverso i vari stati psicologici, percorso interiore, proiettati su uno schermo filmato attraverso una telecamera che lo segue ovunque. Faust non muore alla fine, è già morto dall’inizio. L’anima è stata data a Mefistofele, che, attraverso l’inganno dell’amore l’ha conquistato e sedotto. Mefistofele è la tentazione, metafora degli inganni e delle seduzioni effimere di tutti i tempi, trascina Faust nel giardino dell’Eden, truccato da serpente, offrendo la mela. Particolarmente forte il lungo bacio appassionato tra Faust e Mefistofele che esplicita il rapporto equivoco fra i due. Lo sfondo è quello dei quadri di Cranach, molte le immagini capovolte, forse ad indicare una duplicità del reale. Alla fine la redenzione non ci sarà, non quella di Margherita riscattata dall’amore e dal pentimento e l’acqua con la quale cerca di lavare le sue colpe si trasformerà in pece. L’unico gesto di vero amore, quasi cristiano, lo compirà Faust per salvarla, perdendo comunque la sua anima, nel patto con Mefistofele. La scena finale, spettacolare poichè la pece sembra toccare ogni personaggio e la scenografia, non è quella della redenzione di Margherita la quale è vicina alla bara di Faust. Le tematiche sono molteplici come i ricorrenti i temi dell’amore, della natura che viene letta in chiave romantica, i temi sacri; la visione di Berlioz è negativa, quasi nichilista e non c’è salvezza, solo il nulla e questa è la scelta anche della regia.
Le voci sono quelle del tenore Pavel Černoch (Faust), voce potente dall’ottimo fraseggio capace di affrontare anche le arroventate frasi che spingono su un registro molto acuto. Impegnato in molte azioni complesse come quando all’inizio è tra i banchi di scuola e diventa vittima di bullismo. Fino alla fine dell’opera la qualità della sua performance è stata ottimale. Importante sapere che il primo interprete fu Gustave-Hippolyte Roger creatore assoluto dei ruoli ne Le prophète nel 1849, L’Enfant prodigue di Auber nel 1850,l’Le Juif errant di Halévy nel1852 e  Herculanum di Félicien David.
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Il basso-baritono Alex Esposito (Mefistofele), è eccezionale nella registro profondo e brunito,  sicuro nelle capacità recitative che lo impegnano come non mai e ne fanno un grande interprete. Il suo atteggiamento sornione, le sue movenze da grande burattinaio che tutto decide in un completo bianco splendente o nella parte del serpente tentatore sono delle eccellenti icone della figura elegantissima di un originale diavolo. Il mezzosoprano Veronica Simeoni, delicata ed elegante Margherita, applaudita soprattutto nell’aria “D’amour l’ardente flamme”, riesce a mostrare anche l’ambiguità di questo ruolo e tutta la sua fragilità. La prima interprete fu Hortense Dufflot-Maillard.
Il basso Goran Juric, che, nonostante un ruolo limitato, si impone per una vocalità interessante e ottimo volume a contrastare la grande orchestra.
Il maestro Daniele Gatti riesce a tenere insieme orchestra, cori, ballerini e cantanti, ottenendo uno strepitoso successo. Splendida interpretazione dei ballerini e di due bambini equilibristi d’eccezione. Il coro, in fondo alla scena e su una pedana sopraelevata domina la scena in modo ieratico diventando un vero e proprio personaggio. La regia di Damiano Michieletto è superlativa, ma nonostante non tutte le scelte possano essere condivise da tutti (la contestazioni in teatro ci sono state alla prima), il testo del libretto è stato sostanzialmente rispettato, anche per la maggiore libertà interpretativa che un’opera/non-opera richiede.
Il pubblico giustamente numeroso a un evento di tale portata  è stato più attento ed educato. Grande successo e applausi. Le recite proseguiranno a Valencia, al Palau de les arts Reina Sofia,teatro che ha questo spettacolo in coproduzione.
Giuseppina Giacomazzi e Fabio Tranchida