Melodramma in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave, dal dramma Le Pasteur, ou l’Évangile et le Foyer di Émile Souvestre ed Eugène Bourgeois
Teatro Farnese sabato 21 ottobre 2017
Musica
GIUSEPPE VERDI
Edizione critica a cura di Kathleen Kuzmick Hansell, The University of Chicago Press,
Chicago e Casa Ricordi, Milano
Personaggi | Interpreti |
Stiffelio, ministro assasveriano | LUCIANO GANCI |
Lina, sua moglie | MARIA KATZARAVA |
Stankar, conte dell’Impero | FRANCESCO LANDOLFI |
Raffaele, nobile di Leuthold | GIOVANNI SALA |
Jorg, vecchio ministro | EMANUELE CORDARO |
Federico di Frengel, cugino di Lina | BLAGOJ NACOSKI |
Dorotea, cugina di Lina | CECILIA BERNINI |
Maestro concertatore e direttore
GUILLERMO GARCIA CALVO
Regia
GRAHAM VICK
Scene, Costumi
MAURO TINTI
Luci
GIUSEPPE DI IORIO
Movimenti coreografici
RONALD HOWELL
Maestro del coro
ANDREA FAIDUTTI
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO COMUNALE DI BOLOGNA
Sicuramente per definire questo Stiffelio dobbiamo utilizzare questa espressione FULL IMMERSION, non c’è altro per esprimere uno spettacolo di cui tutti noi facevamo parte. Da pochi anni anche il magico Teatro Farnese fa parte dei luoghi del festival Verdi. Un teatro del XVI secolo (sebbene in parte ricostruito dopo l’ultima guerra) è sempre un luogo speciale sopratutto se gli spettatori non si siedono sulle gradinate ma restano in piedi per due ore insieme ai cantanti per vivere il dramma di Stiffelio. La genialità di Graham Vick che ci ha stupiti più volte nella sua lunga carriera, è far vivere il dramma tra la gente, tra gli adepti, tra il pubblico non permettendo di distrarsi un secondo. L’orchestra che ha iniziato la lunga sinfonia al primo ingresso da parte del pubblico (abbiamo perso parecchie battute del Largo) è confinata verso il palcoscenico utilizzato solo dalle persone che necessitavano per forza di sedersi. Una sinfonia brillante, con un bel assolo di tromba e poi ritmi rossiniani con i crescendo e le marce. L’orchestra è quella del Comunale di Bologna diretta da Guillermo Garcia Calvo, l’abbiamo apprezzata solo all’inizio poiché poi abbiamo seguito costantemente le pedane al centro della platea del Farnese per stare vicinissimi ai cantanti. I primi due atti sono stati davvero al cardiopalma con gli scatti d’ira di Stiffelio e di Stankar, con le lacrime di Lina e le seduzioni provocanti di Raffaele. Le varie pedane dove stavano i cantanti venivano mosse nell’ampia platea occupata dal pubblico in un continuo cambio di prospettiva. Sulle gradinate capeggiavano grandi manifesti inneggianti la famiglia tradizionale e la difesa dell’utero materno.
Stiffelio per prima cosa non era affatto un pastore di qualche setta, o un pastore protestante ma un prete cattolico con il suo clergyman in sintonia quindi con i manifesti esposti nel teatro. Luciano Ganci è un tenore eccezionale dotato di particolare squillo, di un registro centrale robusto e capace di arroventare le frasi suscitate da accesa gelosia. Bellissima la sua prima aria “Vidi dovunque gemere” con la cabaletta “V’appare in fronte scritto” ripetuta addirittura tre volte come prescritto in partitura. Per inciso riferiamo che l’opera è stata eseguita integralmente con tutte le cabalette perfette e sopratutto con il testo prima dell’intervento della censura della prima di Triste che annacquò la modernità del libretto. Stiffelio ebbe nell’800 solo le rappresentazioni triestine poi scomparve dai teatri per l’argomento troppo scottante e Verdi la trasformò in Aroldo: solo nel ‘900 è stato possibile ricostruire la partitura di cui l’autografo fu trovato negli anni ’70 a Casa Verdi diventando la base dell’edizione critica.
Interessante lo sfogo nel finale secondo “Me disperato abbruciano” dove Stiffelio all’ascolto dei canti in chiesa tentenna nel suo atto di vendetta. Sentire i cantanti così da vicino, perdendo un poco i riferimenti con l’orchestra, ha avuto un effetto catalizzatore delle emozioni come per la performance di Stankar, Francesco Landolfi baritono molto bravo, dalla voce piena e dal registro acuto sicuro e scuro che gli ha permesso di svolgere l’aria “Lina, pensai che un angelo” nella migliore delle maniere; la cabaletta “Oh gioia inesprimibile” non è stata cantata in pianissimo come prescritto e ha sortito un effetto meno potente sebbene i sol finali fossero alquanto luminosi. Bene il duetto del primo atto con Lina anche se il baritono ha sbagliato 8 battute in una ripresa creando un vuoto problematico e portando fuori anche il soprano.
Lina è una interessante Maria Katzarava fin dall’inizio vittima della sua passione extraconiugale. Il regista riesce bene a farla interagire con Raffaele con atteggiamenti molto spinti per enfatizzare il tradimento di cui il libretto accenna solo. “Ah degli scanni eteri” è svolto con la giusta partecipazione, la voce è generosa e gli acuti sempre ben intonati. Piace sopratutto lo stato molto sofferto di Lina, in qualsiasi situazione, lei vittima di se stessa. Raffaele è il bel giovane Giovanni Sala che nonostante la piccola parte ha convinto e ha agito bene con gli altri protagonisti.
Il coro del Comunale di Bologna, bravo e intenso, spesso cantava tra il pubblico come nella magnifica scena del finale III che il libretto definisce in chiesa: non c’era un coro, c’erano mille voci che da tutti i lati ci contornavano. Bellissimo questo effetto che porta Stiffelio a perdonare la moglie adultera.
Durante tutta l’opera numerosi mimi erano presenti tra il pubblico e un po’ invasati seguivano le prediche di Stiffelio, fino a spogliarsi con la Bibbia in mano in preda a crisi mistiche. Di grande impatto la scena del cimitero dove davanti alla croce illuminata ecco due uomini colti in un amplesso da tre preti che prendono la coppia a pugni e calci, manifestando appieno la loro ipocrisia.
Uno spettacolo non riproponibile altrove, non percepibile da un dvd, uno spettacolo unico, uno spettacolo da vivere. Il pubblico è stato entusiasta e grande il successo per il direttore, il cast e il geniale regista.
Fabio Tranchida