Data dello spettacolo: 5 Jul 2017
Turandot | Christine Goerke |
Calaf | Aleksandrs Antonenko |
Liù | Hibla Gerzmava |
Timur | In Sung Sim |
Ping | Michel de Souza |
Pang | Aled Hall |
Pong | Pavel Petrov |
Imperatore Altoum | Robin Leggate |
Mandarino | Yuriy Yurchuk |
Direttore | Dan Ettinger |
Regia | Andrei Serban |
Scene | Sally Jacobs |
Luci | F. Mitchell Dana |
Coreografia | Kate Flatt |
Royal Opera Chorus |
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Orchestra of the Royal Opera House |
Nei primi mesi del 1920 in Puccini comincia a farsi strada l’idea di musicare Turandot e contatta a tal fine Renato Simoni e il librettista del precedente Tabarro, Giuseppe Adami. Il dramma di partenza è La Turandotte creata nel 1762 da Carlo Gozzi che, con la sua fantasia e originalità, si contrapponeva al realismo del contemporaneo e conterraneo Goldoni.
Puccini e i suoi collaboratori inserirono principalmente due grandi cambiamenti rispetto a Gozzi: la presenza di Liù, che fa da contraltare all’algida principessa, e la sostituzione delle tre maschere, retaggio della commedia dell’arte, con i tre ministri Ping, Pong e Pang. Com’è noto, la scena conclusiva non fu portata a compimento dal compositore e fu Alfano, usando gli schizzi del Maestro, a terminare il lavoro. Il suo lungo duetto conclusivo passò poi sotto le forbici di Toscanini per diventare quello che è oggi il finale più noto al grande pubblico, utilizzato anche per queste recite londinesi.
La produzione del Covent Garden risale al 1984 e, da allora, è stata ripresa ben quattordici volte. La regia del rumeno Andrei Serban risulta molto elegante e funzionale, nonché rispettosa dei dettami del libretto. Una scena fissa è vivacizzata dai numerosi elementi e movimenti coreografici che la decorano nel susseguirsi delle scene. Quattro teste mozzate, o meglio quattro grandi maschere bagnate da finti rivoli di sangue, dominano l’inizio di primo atto, ricordando le precedenti esecuzioni di Pu Tin Pao; a queste si aggiungerà ben presto la testa del Principe di Persia. Di grande effetto la nuvola dorata da cui discende l’Imperatore, mentre non risulta altrettanto significativa l’apparizione di Turandot durante gli indovinelli: la principessa cammina sulla scena al pari di Calaf, vedendo così ridimensionata la sua invulnerabilità. Si aggiungono al quadro descritto due macchine sceniche importanti: un dragone che sostiene la cote per affilare la lama del boia e un grande letto funebre che porterà via con sé la povera Liù, vittima delle torture ordinate da Turandot.
Le voci impegnate nella produzione si rivelano tutte di notevole interesse, con la sola eccezione della protagonista. La vocalità di Christine Goerke è afflitta da un problematico vibrato che si accentua man mano che la tessitura sale verso l’acuto. Questa caratteristica rovina la performance di una cantante che sarebbe in possesso di voce squillante e intonazione accettabile. Inoltre la resa di alcune frasi risulta insufficiente, come ad esempio “Mai nessun m’avrà”, eccessivamente forzata. Alla presenza scenica già di per sé non particolarmente significativa si aggiunge l’infelice trucco (la parrucca con lunghi capelli lisci neri non valorizza la figura del soprano).
Hibla Gerzmava, ascoltata di recente nell’Anna Bolena scaligera, disegna alla perfezione una Liù angelica, che con canto purissimo e grazia nei movimenti riesce a focalizzarsi sulla semplicità (apparente) delle frasi del personaggio. Anche in Tu che di gel sei cinta, ultimo brano completato da Puccini in vita e quasi suo testamento (molte delle parole dell’aria sono rimaste di suo pugno), la linea vocale ferma, il volume ben proporzionato e la rotondità della voce hanno restituito un’esecuzione impeccabile.
Altrettanto bravo il tenore lettone Aleksandrs Antonenko, che impressiona per la potenza della voce e per il canto granitico, capace di affrontare senza tema le frasi più incandescenti. Il tenore sa poi ammorbidire la vocalità in Non piangere, Liù creando un’atmosfera in cui la commozione diventa palpabile. Dopo queste premesse anche il Nessun dorma non può che esitare in un pieno successo, con lo stentoreo Vincerò che ha scatenato l’entusiasmo del pubblico.
Michel de Souza è un discreto Ping, con voce intonata ma non particolarmente brillante, mentre il Pang di Aled Hall e il Pong di Pavel Petrov si rivelano abbastanza caricaturali, con insufficiente pronuncia dell’italiano. I tre ruoli hanno potenzialità ben maggiori.
Discreto l’Imperatore Altoum, Robin Leggate, con voce giustamente incerta e tremolante come si confà al ruolo. Buono il Mandarino di Yuriy Yurchuk.
Il coro è molto impegnato in quest’opera e, particolarmente nel primo atto, ha delle complesse scene contrastanti per volume e timbrica. William Spaulding prepara molto bene la massa corale. Deficitario è stato solo un passaggio delle ancelle di Turandot, alquanto stonate e insicure nel cantare Silenzio, olà! Laggiù chi parla?.
Corona il successo della serata l’ottima l’orchestra diretta da Dan Ettinger, assistente di Daniel Barenboim a Berlino per cinque anni e attualmente direttore musicale della Stuttgart Philharmonic Orchestra. Sonorità mai fragorose e ritmi perfetti per un’orchestra in forma smagliante.
La recensione si riferisce alla recita del 5 Luglio 2017
Fabio Tranchida