Georg Friedrich Händel

Opera in tre atti

Libretto di Nicola F. Haym da Agostino Piovene

Orchestra del Teatro alla Scala su strumenti storici
Nuova Produzione Teatro alla Scala

CAST
Tamerlano Bejun Mehta
Bajazet Plácido Domingo
Asteria Maria Grazia Schiavo
Andronico Franco Fagioli
Irene Marianne Crebassa
Leone Christian Senn
Direttore Diego Fasolis
Regia Davide Livermore
Scene Davide Livermore e Giò Forma
Costumi Mariana Fracasso
Lighting Designer Antonio Castro
Video Videomakers d-Wok

 

 

Dopo 293 anni dalla prima esecuzione nel 1724 a Londra, Tamerlano di Händel giunge finalmente alla Scala svelando tutte le sue preziosità. Si tratta invero di un capolavoro con molti aspetti innovativi eseguito nel Tempio della Lirica come meglio non si sarebbe potuto fare.

Händel prese ad esempio sia letterario che musicale due versioni dell’opera musicate da Gasparini nel 1711 e 1719. Inoltre il grande tenore Francesco Borosini interprete del ruolo dell’antagonista, Bajazet, collaborò alla revisione del libretto una volta giunto a Londra dovendo anche lì cantare il ruolo. Proprio questo ruolo è il cardine della vicenda a dispetto del titolo, e la morte di Bajazet dovette scioccare più di uno spettatore. Bajazet fin dalle prime scene dichiara di essere pronto al suicidio e tutta l’opera non è che un dilazione del gesto estremo: gesto che è compiuto con un realismo davvero impressionante grazie ad arie, recitativi, recitativi accompagnati e ariosi tutti calibrati con la giusta oculatezza da Händel grazie anche all’esperienza del tenore protagonista. Solitamente Händel per il pubblico londinese era solito tagliare e ridurre all’osso i recitativi secchi, poco comprensibili al pubblico, ma nel Tamerlano mantiene lunghi recitativi come mai fece prime ne mai fece successivamente. Quindi una grande attenzione allo svolgimento della vicenda e ai caratteri dei personaggi.

Il maestro Diego Fasolis ci ha proposto una versione integrale della partitura a parte qualche limatura pertinente nei recitativi. Le principale differenze rispetto all’autografo sono qui indicate: la prima aria del secondo atto di Tamerlano è sostituita con una per tromba obbligata tratta da Amadigi, sempre Tamerlano nel terzo atto canta “A dispetto d’un volto ingrato” integralmente, aprendo anche i tagli di Händel forse dovuti alle difficoltà dell’interprete. L’aria n°35 nel terzo atto cantata da Bajazet viene eseguita senza episodio B e da capo, e poco prima viene aggiunta dalla versione 1731 l’aria di Leone “Nel mondo e nell’abisso” di grande qualità, eliminando un’aria di Andronico “Se non mi rendi”. Diego Fasolis fa una operazione intelligente pescando a piene mani dalla versione del 1731 e articolando il finale terzo in una ampia teoria di affetti. Nella versione del 1724 l’opera si concludeva dopo la morte di Bajazet con un coro in minore: nella versione proposta alla Scala alla morte di Bajet segue un’aria di compianto della figlia Asteria e un duetto tra i due controtenori terminando poi con il coro menzionato. Ciò crea un finale di più ampio respiro che forse lo stesso Händel non ebbe mai modo di sentire così completo, ma è solo una supposizione dallo stato dei materiali che si sono ritrovati e rimaniamo in attesa che la musicologia faccia più approfondite analisi. Risulta quindi che il terzo atto sia il più lungo dei tre e che tutto lo spettacolo sia durato 4 ore e 25 minuti circa. Scriviamo questa recensione dopo averlo visto tre volte e vi assicuriamo che la bellezza della musica e la bontà dell’esecuzione fanno passare velocemente questa monumentale durata.

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I due controtenori scelti sono tra i più richiesti in ambito internazionale. Franco Fagioli, con alle spalle incisioni di altissima qualità e una carriera ormai ai massimi livelli, ci mostra un Andronico, principe greco, combattuto da un amore per Asteria che spesso deve reprimere e tenere nascosto. La voce è seducente, non amplissima ma morbida e uniforme nel registro acuto. La sua prima aria è accompagnata delicatamente da tiorba, violoncello e addirittura tre cembali facendo risaltare al massimo la linea melodica. Nel 1724 il protagonista era il castrato Francesco Bernardi detto il Senesino, cantante celeberrimo e molto conteso. Fagioli conclude il primo atto con “Benché mi sprezzi” un andante malinconico dalla coloratura tenue in chiaroscuro per poi stupirci con “Più d’una tigre altero” dalla coloratura impegnativa realizzata con perfetto cesello e articolazione. Se bellissimo e caldo è il timbro di Fagioli risulta un poco nasale ed artefatto il timbro dell’altro controtenore Bejun Mehta peraltro dalle capacità tecniche sorprendenti.  Mehta impersona Tamerlano, l’imperatore dei Tartari e il suo nome significa Timur (ferro) e Leen (zoppo).  Come si diceva il timbro non ci piace del tutto ma la statura del cantante è davvero notevole capace di affrontare la tromba solista nella prima aria del secondo atto o affrontare nel terzo “A dispetto d’un volto ingrato” con una minutissima coloratura che avrà dato fila da torcere anche al primo castrato Andra Pacini. Molto brava la principessa di Trebisonda, Irene cantata da Marienne Crebassa già apprezzata nel Lucio Silla e ne L’enfant et les sortilèges entrambi alla Scala recentemente. La voce è da mezzosoprano con bellissime screziature ambrate, sicurissima nell’intonazione anche nelle volate verso il registro acuto. Ci ha affascinato in “Del crudel che m’ha tradita” con due flauti traversieri a gareggiare con lei in un dialogo raffinato. Maria Grazia Schiavo è una buona Asteria, l’infelice figlia di Bajazet contesa dal nemico Tamerlano e dal troppo ritroso Andronico. La sua apparizione in una vistosa pelliccia bianca non si può scordare, così come i suoi bellissimi vestiti anni ’10 nel pieno della rivoluzione russa. Dal punto di vista vocale la sua preparazione ci è apparsa buona anche se alcuni acuti non scritti sempre sistemati al termine delle arie ci sono sembrati fuori luogo ed eseguiti male. Buono il Leone di Christian Senn vestito da Rasputin (così ci è sembrato ai nostri occhi) dall’atteggiamento imperioso e dalle importanti qualità vocali: per fortuna è stato omaggiato da due arie di cui la seconda alternativa di rara bellezza. Un’aria da tempesta, ma in questo caso una tempesta di neve che Senn ha ben espresso con la sua voce capace di raggiungere vette e abissi come richiesto e affrontare veloci semicrome con perfetta chiarezza.

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Tutti si aspettavano una gran prova da Placido Domingo che già affrontò questo impegnativo e drammatico ruolo. Il grande tenore spagnolo (non baritono questa volta!) affronta questo ruolo con incredibile coraggio e riesce fin dalle prime note a descrivere una re sconfitto, un personaggio pronto al suicidio per salvare il proprio onore e quello della figlia. La voce rende benissimo la sofferenza dell’anziano padre, lo stato di disperazione ma anche le ultime graffiate della tigre abbattuta come nell’aria “Cielo e terra armi disdegno” dove il dialogo serrato con la tromba naturale ci fa capire che tutto non è spento ancora. Ottima la lunghissima scena finale con aria, recitativo accompagnato e arioso ad indicare lo stato sempre più allucinato di Bajazet volontariamente avvelenatosi. Domingo risulta credibile nella parte fino alle ultima parole espresse all’estrefatta figlia.

L’orchestra è composta dagli strumentisti scaligeri e da qualche elemento dei Barocchisti creati da Fasolis. Ogni aria ha trovato il giusto colore con i numerosi interventi di oboi e flauti traversi. Due interventi della tromba naturale e interventi dei due flauti dolci nel duetto di amore-addio tra asteria e Andronico. Tre clavicembali davano il giusto supporto all’ensemble con una attenzione ai particolari grazie al gesto morbido e preciso di Fasolis tra i massimi direttori del barocco con un curriculum e riconoscimenti internazionali.

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La regia spostava la vicenda nel 1917 rappresentando Bajazet con lo zar deposto Nicola II, Andronico come Lenin e Tamerlano il crudele Stalin. Il primo atto a bordo di un treno in una tormenta di neve, il secondo nel Palazzo d’Inverno in stato di abbandono e l’ultimo atto su una ampia scalinata con carrozza e testa colossale ormai rotta e a terra. Oltre al valore di queste monumentali scene il regista Davide Livermore ha caratterizzato con intelligenza ogni aria con proiezioni, movimenti, mimi tanto da rendere il lungo spettacolo molto vario e interessante. I costumi elegantissimi di Mariana Fracasso completavano la bellezza delle scene: costumi elegantissimi per le donne, per i tre capi uniformi militari mentre per Leone un vestito da sacerdote ortodosso. Una gioia per gli occhi e per l’udito questo Tamerlano che verrà proposto ancora qualche recita: le ultime due con Kresimir Spicer a sostituzione di placido Domingo. Spiace che lo spettacolo non sia iniziato alle 19.00 poiché farlo iniziare alle 20.00 con termine alle 24.30 rende difficile il rientro e molte sono state le defezioni al terzo atto proprio per questo motivo logistico.

Fabio Tranchida