Tragedia lirica in due atti
Libretto di Felice Romani
Musica di Gaetano Donizetti
(Edizione critica a cura di P. Fabbri
Fondazione Donizetti di Bergamo e Casa Ricordi, Milano)
Coro e Orchestra del Teatro alla Scala
Produzione Grand Théâtre de Bordeaux
Anna Bolena |
Hibla Gerzmava |
Jane Seymour |
Sonia Ganassi |
Smeton |
Martina Belli |
Lord Percy |
Piero Pretti |
Enrico |
Carlo Colombara |
Lord Rocheford |
Mattia Denti |
Sir Hervey |
Giovanni Sala |
Direttore |
Ion Marin |
Regia |
Marie-Louise Bischofberger |
Scene |
Erich Wonder |
Costumi |
Kaspar Glarner |
Luci |
Bertrand Couderc |
|
Poco prima di Anna Bolena, Donizetti lascia Napoli con la sicurezza di aver realizzato una grande tragedia con la sua Imelda de Lambertazzi, il cui finale aveva molto impressionato i napoletani: Imelda sugge il sangue avvelenato del suo amato ferito Bonifacio, morendo anch’essa per la stessa causa. Tutto ciò con un’aria veramente realistica senza nessuna concessione al virtuosismo. Questa aderenza alla parola drammatica risulta evidente anche in Anna Bolena il cui libretto del grande Felice Romani è un autentico capolavoro capace di coniugare l’aspetto classicista dei suoi versi con gli aspetti e fremiti romantici. Il libretto è molto ampio e venne un poco sfrondato dallo stesso compositore sia prima che dopo la prima al Teatro Carcano di Milano. Una stagione in questo teatro sorto sulle ortaglie del convento di San Lazzaro che si contrapponeva con molto orgoglio alla stagione scaligera che presentava non in prima assoluta Capuleti e Montecchi con la Grisi. La rivalità tra Bellini e Donizetti ebbe tre scontri diretti: Anna Bolena vs Sonnambula, Ugo Conte di Parigi (versione censurata di Bianca d’Aquitania) vs Norma e infine Marin Faliero vs I Puritani sulla piazza parigina. In tutti e tre i casi le opere donizettiane indipendentemente dal successo maggiore o minore risultarono molto più tese e drammatiche rispetto alla liricità belliniana. Il Faliero adotta in linguaggio sicuramente più avanzato de I Puritani dove Bellini si compiace delle sue infinite e lunghe melodie. Uno è un capolavoro dionisiaco l’altro un capolavoro apollineo.
Se nel Castello di Kenilworth Donizetti adotta un linguaggio prettamente rossiniano, in Anna Bolena il compositore è ormai indipendente del Cigno di Pesaro e può coraggiosamente fondere una tragedia tesa e corrusca, una unica arcata verso il patibolo finale. Donizetti lavorò nella villa di Blevio sul lago di Como appartenente a Giuditta Pasta creatrice del ruolo della sfortunata regina: un lavoro così capillare a stretto contatto con la protagonista non poteva che portare ad una definizione psicologica del personaggio precisissima e sofisticata.
Sebbene in locandina fosse attestato l’uso della partitura in Edizione Critica della Fondazione Donizetti di Bergamo spiace che si sia operato con eccessiva disinvoltura, con tagli eccessivi mancando all’appello quasi 40 minuti di musica, specialmente le riprese delle cabalette ma anche tanti altri passaggi.
Se a Bergamo l’anno scorso si è eseguita l’opera integralmente vuol dire che è possibile nel 2017 in un importante teatro come la Scala scegliere l’opzione dell’integralità senza aver paura di pesare troppo sui cantanti o sull’attenzione del pubblico. Il rispetto delle volontà dell’autore viene prima di tutto. Forse non ha pensato a ciò Ion Marin direttore dalla lunga esperienza e dalla importante carriera discografica. La sua è stata una direzione corretta ma senza nulla più, senza la capacità di variare un poco i tempi e creare la concitata atmosfera romantica: tempi al metronomo privi di linfa vitale.
Stiamo recensendo la replica di venerdi 14 aprile e dobbiamo ammettere che rispetto la prima e le precedenti repliche tutti gli aspetti dello spettacolo sono migliorati piano piano, dalle condizioni vocali di Colombara in serie difficoltà le prime due sere a tutto il comparto femminile, dal rapporto coro-orchestra a numerosi dettagli nel golfo mistico. Ecco, oggi venerdi 14 aprile, abbiamo ascoltato un’altra Anna Bolena molto più equilibrata, con i cantanti in gran forma e un rapporto con l’orchestra limato. Forse le tensioni alla prima dovevano essere superate e bisognava far sfogare i pochi crudeli e passatisti loggionisti esibitisi in modo vergognoso. La stessa Caballè era stata costretta alla “fuga” a causa di un pubblico prevenuto sostituita da una giovane Cecilia Gasdia.
Hibla Gerzmava ci è parsa fin da subito credibile nel ruolo della sfortunata regina: l’ampiezza della sua voce le permette di affrontare le ampia arcate scritte per lei, di sfoggiare una nitida coloratura e cesellare “Al dolce guidami” in maniera certosina. Ci ha sorpreso con sovracuti vibranti alla fine dell’atto I, nel Terzetto e nell’ultima cabaletta veramente arroventata. Sulla scena si è mossa benissimo ed è riuscita ad esprime tutta la dignità di una regina tradita.
Superlativa la prova di Sonia Ganassi che negli anni ha sviluppato sempre più la propria estensione verso regioni acute. Affronta qui una parte veramente difficile riuscendo a sviluppare la sua lunga aria del secondo atto con tensione sempre crescente fino alle terzine drammatiche nella cabaletta. Capolavoro il duetto tra le due rivali dove le due personalità sono ben emerse e la Ganassi è riuscita farsi scusare del suo peccato con frasi sempre ben sostenute, con un accento di crudo verismo fino all’incalzante stretta.
Martina Belli riesce a acquarellare la figura di Smeton con colori tenui e delicati, accompagnato dalla dolce arpa nell’introduzione e con fremiti d’amore nel Finale I. Voce di volume non eccessivamente ampio, dizione molto corretta chiara sono le caratteristiche del giovane Smeton che completa il terzetto delle voci femminili.
Piero Pretti si è dimostrato un grande tenore ogni sera che l’abbiamo ascoltato, sfoggiando una linea di canto ampia, solida e sicura nei magnifici acuti forse non nella tradizione di Rubini ma pur sempre efficaci poiché sfruttavano al meglio la sua vocalità. Le due arie sono state ben tratteggiate, con una incessante tensione: spiace che i numerosi tagli nelle cabalette e nelle code abbiano portato via musica importante per la riuscita musicale del personaggio ma ciò non dipendeva dal cantante.
Carlo Colombara dopo un incerto inizio dovuto probabilmente ad una indisposizione (che però non è stata annunciata nelle prime repliche) finalmente nella sera del 14 aprile ha mostrato il suo valore, con una buona prova nel difficile ruolo a suo tempo affidato a Filippo Galli. Se alcune asprezze e fissità rimangano nel suo canto, certo il personaggio è emerso con sufficiente cura. Il Terzetto è stato un’ottimo banco di prova per il basso che con il suo quasi parlato “Coppia inqua” ha raggelato gli uditori.
Lo spettacolo di Marie-Louise Bischofberger aveva ben poco di artistico, la bruttezza delle scene era compensata da interessanti costumi che da soli certo non potevano ribaltare il giudizio su una regia puerile, senza senso estetico che comprendeva in scena secchiello di champagne, una fastidiosa Elisabetta bambina con la sua palla, i piedi nudi mirati e rimirati da Anna e il solito velo nero smisurato alla fine.
Una Anna Bolena quindi molto altalenante, forse per il fatto che su questi titoli si creano mano a mano troppe aspettative e tutti pensano di conoscere ogni aspetto del titolo in questione. L’ombra della Callas e la recita della Caballè sono forse ancora fantasmi sul palcoscenico scaligero: ciò non toglie che sopratutto dal punto di vista vocale sono molti gli aspetti da lodare in questa produzione. Consigliamo l’ascolto delle due ultime repliche il 20 e 24 aprile con protagonista Federica Lombardi.
Fabio Tranchida