Daria Garbinati Eleonora Bellocci
Procolo Cornacchia William Hernandez
Luigia Castragatti Dioklea Hoxha
Agata Castragatti Filippo Morace
Pipetto Frescopane Cecilia Bagatin
Guglielmo Hollemand Francisco Javier Ariza
Biscroma Strappaviscere Dielli Hoxha
Prospero Salzapariglia Omar Cepparolli
Impresario Francesco Samuele Venuti
Dramma giocoso in due Atti
Musica di Gaetano Donizetti
Libretto di Domenico Gilardoni
Opera di Firenze- Maggio Musicale Fiorentino
Nuovo allestimento in collaborazione con il Conservatorio di Musica
“Luigi Cherubini” di Firenze- Orchestra e coro “Luigi Cherubini” di Firenze
Direttore Paolo Ponziano Ciardi
Regia Francesco Torrigiani
“Le Convenienze e inconvenienze teatrali” è una delle opere di Donizetti ad aver avuto un alto numero di rifacimenti e pertanto più versioni. La prima edizione per il teatro Nuovo di Napoli è una farsa in un atto intervallata da dialoghi parlati in dialetto e così fu rappresentata la prima volta nel 1827. In questa realizzazione fiorentina la scelta è stata quella del dramma giocoso in un atto con parti in prosa e in dialetto secondo il riallestimento al teatro del Fondo di Napoli (odierno Teatro Mercadante) del 1831. Il passaggio ai due atti avvenne probabilmente nel rifacimento intermedio della farsa per il teatro della Canobbiana di Milano il 20 aprile 1831. L’opera risultò sensibilmente trasformata, anche nei nomi dei personaggi e le esecuzioni successive videro continui riadattamenti in rapporto al tipo di pubblico. La storia dell’opera è pertanto complessa e l’edizione critica edita da Ricordi ha risolto solo in parte i problemi. La versione odierna adatta la ricca versione in un atto per il Fondo trasformando le due scene previste in due atti veri e propri con l’aggiunta di alcuni brani qua e là come spesso invita fare la stessa partitura.
L’ambientazione è quella del teatrino di Brozzi, un sobborgo di Firenze,in cui si sta provando uno spettacolo lirico. Si tratta pertanto quasi di un’anticipazione del “teatro nel teatro” di Pirandello, di un’opera che parla dell’opera, una “presa in giro” divertita (ma in fondo anche amara) del malcostume teatrale, argomento che era stato oggetto nel ‘700 del “Teatro alla moda” di Benedetto Marcello, ma anche di opere di Metastasio, Ranieri di Calzabigi, e del famoso all’epoca Impresario in angustie di Cimarosa. Un gruppo di cantanti improvvisati, senza alcuna preparazione musicale (nella vita fanno altri mestieri), sono in competizione fra loro. La prima e la seconda donna sono supportate rispettivamente dal marito e dall’invadente madre napoletana Agata, “ruolo en travesti” al contrario, affidato da Donizetti ad un basso buffo notissimo all’epoca Gennaro Luzio che con le sue forme “abbondanti” rendeva ancora più comica la MAMMONA. Intorno ci sono una serie di personaggi che si atteggiano in modo diverso, cercando ognuno degli spazi per emergere, nonostante l’incompetenza musicale: il poeta che deve aggiustare di volta in volta i versi, il compositore Biscroma, il musico che riecheggia il “castrato” dell’epoca, il cantante tedesco con il suo italiano incerto. L’opera che dovrebbero eseguire è “Romolo ed Ersilia” su libretto metastasiano. In seguito ai litigi musico e tenore lasciano la compagnia sostituiti dagli incompetenti e comici mamma Agata e Procolo, marito della prima donna. Alla fine tutto si concluderà in un fallimento: l’impresario non riceverà il contributo economico , l’opera non si farà e tutti fuggiranno rapidamente. Il primo atto è dedicato alle convenienze, alla ricerca di privilegi da parte dei cantanti: l’aria finale nella forma di “rondò” per il ruolo sopranile. Il secondo è riservato alle “inconvenienze” che preludono al disastro finale.
La realizzazione fiorentina dell’opera è affidata completamente , sia per l’allestimento che per la produzione, al conservatorio Luigi Cherubini, pertanto a cantanti e musicisti giovanissimi. Tutti, orchestra e cantanti, si sono dimostrati di alta qualità e competenza. Le qualità vocali dei cantanti state unite ad una grande capacità recitativa, necessaria in un dramma giocoso dove le relazioni tra gli interpreti sono vivissime e in costante comica evoluzione. Protagonista è il bravo Filippo Morace, baritono, che realizza il ruolo di “buffo” e unisce alle doti vocali richieste, capacità recitative , competenza e disinvoltura nei recitativi in dialetto napoletano. Divertentissimo lo snocciolare onomatopeico dei vari strumenti dell’orchestra che Agata suggerisce al compositore. Particolarmente brillante l’aria tratta dall’Otello rossiniano, “Assisa a’piè d’un salice” che diventa “Assisa a piè d’un sacco”, esilarante e tecnicamente perfetta, accompagnata dalla tromba solista,e le citazioni dalla Lucia di Lammermoor aggiunte dal cantante alla scena creando un gioco di rimandi nel mondo donizettiano. Morbida e trasparente la voce del primo soprano che è la seconda protagonista dell’opera. Basta la sua presenza e quella del buffo per reggere tutto lo spettacolo. Il secondo soprano deve cimentarsi in una vocalità sgradevole, come richiesto dal ruolo di “seconda donna”, cosa del resto difficile. Comica la presenza del tenore tedesco con i suoi accenti ridicoli. Bello il virtuoso scioglilingua che i due bassi , poeta e maestro, sottendono alla stretta dell’introduzione che come struttura è fedele alla stretta che conclude la prima scena della Cenerentola rossiniana. Un vero pezzo d’antologia. Il coro impegnato in semplici passaggi è risultato convincente.
Buona la direzione Paolo Ponziano Ciardi assecondato dalla ligia orchestra tutta motivi saltellanti e incisi comici. Le scene, anche se un po’ minimaliste, sono adeguate alla realizzazione del teatrino di provincia in cui i protagonisti si muovono, migliore e più colorata la scenografia nel secondo atto, nel quale i “cantanti” si muovono su un improvvisato “palcoscenico”. I costumi appartengono a diversi momenti del ‘900: gli anni ’20, gli anni ’60, la contemporaneità. Ai presunti cantanti vengono continuamente portati modellini di vestiti realizzati in cartone, gioco infantile che comunque richiama al teatro.
Molti gli applausi, sentito e divertito il coinvolgimento del pubblico. Un ottimo lavoro che ha proposto, nonostante l’indiscutibile” verve” comica, una riflessione sul nostro presente e sul destino del teatro. I giovani del conservatorio che hanno realizzato l’opera aprono alla speranza. Un’opera camaleontica che si presenta ogni volta diversa per ogni allestimento. Pensate che poco prima di diventar pazzo e vivere gli ultimi anni della sua vita in situazione di gravissimo malessere psichico Donizetti pensava a una ennesima revisione del suo lavoro che non ebbe il tempo di realizzare: ci piace pensare che ogni volta che si presenta sulle scena questa divertentissima opera viva un poco di vita propria.
Giuseppina Giacomazzi