Molte erano le aspettative dopo il successo delle Scene Liriche dell’Eugenio Onegin, ma il successo per La maliarda (o L’incantatrice) di Čajkovskij, rappresentata per la prima volta nel 1887 non arrivò ne da parte del pubblico né tantomeno dalla critica, motivo per cui quest’opera è divenuta poi di rarissima esecuzione. La scelta del Teatro San Carlo di presentarla ha destato dunque grande interesse.
Il compositore si avvicinò a questo testo sperava di sfruttare il successo dell’omonimo dramma in prosa Čarodejka, che aveva da poco conquistato la Russia,  ma l’incapacità a sintetizzare il dramma da parte dell’autore Ippolit Vasil’evič Špažinskij (investito del ruolo anche di librettista) resero il libretto troppo verboso e le limature operate da Čajkovskij non furono bastanti. L’ opera è in realtà di grande qualità anche se non un capolavoro come la seguente Dama di Picche. Il primo atto è assolutamente il migliore, con la presenza del coro, del decimino, sei balletti; una fantasmagoria unica piena di colori e melodie del folklore russo. La vicenda si sviluppa per grandi confronti tra i personaggi che non si scompongono mai dalle loro posizioni: dei confronti serrati senza possibilità di redenzione ma con il dato ineluttabile sempre presente.

In realtà Kuma l’incantatrice è il più puro tra i personaggi, dato che non cede mai alle avances del Principe. Viene infamata per invidia e solo Juri comprenderà la verità, ma anche lui sarà vittima dell’amore verso questa donna. L’alta borghesia che associamo al Principe e alla Principessa è una borghesia ormai decadente, che crolla su se stessa come esemplificato dai successivi drammi di Checov. Certo alcune parti sono eccessivamente diluite e mancano alcune arcate drammatiche che avrebbero giovato alla musica. Tra i personaggi minori il vagabondo Paisij travestito da prete è il meglio riuscito col suo viscido servilismo. Un tenore di carattere godibilissimo sempre pronto a cambiare bandiera per pochi soldi. Savva Hastaev è risultato divertente interprete di questo ruolo atipico. Più che qualità vocali sono richieste ottima recitazione e interventi puntuali. Ottima la prova di Jaroslav Petrjanik un baritono chiaro nel ruolo dell’infido Principe.  La linea vocale porta Petrjanik spesso verso le regioni acute e il cantante svolge il compito senza alcun affaticamento. Certo i due ruoli baritonali della Dama di Picche sono più liricamente generosi ma la scena finale della tempesta dove il baritono lotta con un’orchestra fragorosa è un vero tour de force che il nostro baritono ha superato positivamente.

Nicolaj  Emcov è stato un tenore sufficientemente bravo anche se non dotato di un timbro bellissimo. Alcune difficoltà erano ravvisabili ma la parte ostica è stata svolta con molta professionalità. Bene il lungo duetto con Kuma del terzo atto, vero nucleo dell’opera dove il cambio di opinione del tenore su Kuma risulta credibile. Marija Bajankina è stata una validissima protagonista fin dalla sua cavatina di presentazione anticipata già nell’ouverture dell’opera. I due duetti col Principe e con Juri sono stati sviluppati benissimo. La voce è matura, dagli ottimi colori e da grande tenuta drammatica tanto da sviluppare il complesso personaggio.

Profonda la voce della Pricipessa che con la sua ingiustificata vendetta porta il dramma alla funesta conclusione. Voce grave, voce da un unico colore che tratteggia bene l’incomunicabilità del ruolo nel suo grigiore continuo e nella sua ottusità. Insufficiente la prova del basso Aleksej Tanovickij dalla voce ormai usurata, insicuro in tutti gli attacchi e dalle frasi irrimediabilmente opacizzate. Pessima l’idea di fargli cantare anche la parte dello stregone provando l’opera di un personaggio molto evocativo e ben tratteggiato da Caikovskji.

Direzione di Zaurbek Gugkaev, pupillo di Gergiev, veramente competente. Molti gli squarci sinfonici prima di ogni atto, brillanti i balletti e furiosa la tempesta che conclude il dramma, con attenzione ai mille colori in un’azione molto complessa e variata. L’orchestra e il coro del San Carlo ubbidiscono elargendo magnifiche rese timbriche.

Spettacolo di David Pountney che utilizza una scena fissa (forse un po’ poco per 3 ore e 40 di recita) ma sa come muovere gli attori. La scelta di presentare la cena borghese durante la sinfonia e la sua macabra parodia a fine spettacolo è vincente. Plauso dunque ancora al Teatro partenopeo di aver proposto, primo in Italia, questo monumento musicale. Complimenti.

Fabio Tranchida