Teatro Lirico di Cagliari
Saggio di Potito Pedarra
Nel tempo si è consolidata l’idea, tra gli addetti ai lavori, che il poema sinfonico Fontane di Roma di Ottorino Respighi rappresenti l’inizio della maturità dell’autore. Non tutti, però, sono d’accordo. Alcuni vorrebbero anticiparla (ossia retrodatarla) di almeno un lustro, vale a dire a quella Semirâma (seconda nella cronologia delle opere teatrali di Respighi) che spinse l’autorevole critico della Gazzetta milanese “Il Secolo”, Ildebrando Pizzetti, a redigere la sua bella profezia appena calato il sipario nella celebre sala del Bibbiena a Bologna. Era la notte del 20 novembre 1910. “Quello che devesi dire, e che si può dire con la sicurezza di essere nel vero – scrive il recensore -, sì è che Ottorino Respighi ha dimostrato stasera con questa sua Semirâma tali qualità di forte musicista ed anche di compositore teatrale, da farci credere che l’Italia avrà in lui uno dei più rispettabili musicisti nel suo prossimo avvenire …”. “La parte migliore dell’atto primo – precisa Pizzetti -, migliore e di più facile comprensione, di profondo e sicuro effetto su ogni ascoltatore, è il duetto d’amore fra Merodak e Susiana, il quale reca una tale ricchezza di dolci e chiare espressive melodie svolte maestrevolmente e maestrevolmente colorate in orchestra dai più rari colori, una tale ricchezza di musica quale da parecchio tempo non eravamo abituati a trovare nelle opere nuove né italiane, né straniere …”.
Negli anni tra Semirâma e Fontane di Roma, la produzione di Respighi è costellata di gemme, da Aretusa, che apre la strada al “fontaniere” (la definizione è dell’Autore), al poemetto lirico Il tramonto (opera d’indubbia bellezza e maturità), passando per Marie Victoire, la Sinfonia drammatica e La sensitiva, anche questo come gli altri due poemi su testo di P. B. Shelley. Pertanto il lavoro sinfonico con il quale Respighi assurge a celebrità, Fontane di Roma, costituisce come una sorta di spartiacque tra produzione giovanile e della maturità. A rendere ancora più netta la separazione, contribuisce un breve ritiro di Respighi dalla composizione quando, dopo la perdita della madre, egli va a vivere all’Eremo di Tizzano, per abitare“col parroco e vivere una vita patriarcale e di grande pace”. Scrive a Chiarina Fino-Savio, sua amica e cantante prediletta, in una lettera del 12 giugno 1916: “Faccio qualche progresso ogni giorno nella mia salute, ma molte volte un improvviso ritorno del ‘nervoso’ e relativo battito di cuore, mi avvilisce e mi riporta indietro di qualche passo; ma con la pazienza ritorneremo come prima”.
È nel breve ritiro di Respighi dalla composizione e dal mondo circostante che va individuata la chiave di volta della sua evoluzione artistica, privata e spirituale. Per un certo periodo Respighi non scrive più sinfonie (più o meno “drammatiche”) e nordici tramonti ma musiche fantastiche, raggianti di spirito e di brio, come La boutique fantasque. I lontani rapporti sentimentali che Respighi aveva intrattenuto fino allora, con la speranza di una cattedra in altra città, man mano si dileguano aprendo a nuovi contatti: riscopre la gioia di vivere, la spensieratezza e l’amore che in breve lo condurrà al matrimonio con Elsa Olivieri Sangiacomo, già sua allieva di composizione.
È in questo contesto che matura l’idea de La bella addormentata nel bosco per il “Teatro dei Piccoli”, auspice un gruppo d’intellettuali che frequentano il vivace ambiente romano di allora, tra cui lo scrittore russo Alessandro Amfiteatrov (che Respighi conobbe in Russia nel 1901), il quale fa conoscere a Podrecca le partiture del compositore Cesare Kjui, create per il Teatro delle Marionette di Leningrado e ispirate alle più note fiabe russe. È del 26 agosto 1917 una lettera di Respighi, da Bologna, all’amica Chiarina: “Sono stato tre giorni a Viareggio, liquefatto dal caldo e mangiato dalle zanzare, per combinare un ballo con i ‘Russi’“. “Sono già al lavoro e il ballo si darà in marzo a Londra”. Si tratta del balletto La boutique fantasque, le cui pratiche richiedono più tempo e che andrà in scena solo il 5 giugno 1919 all’Alhambra Theatre di Londra. Nella già citata lettera del 26 agosto 1917 Respighi espone all’amica anche i suoi progetti di lavoro per l’immediato futuro: “A Pinerolo voglio finire La bella addormentata nel bosco”. “Avrò molto da lavorare e lei mi darà una mano”.
Dai Carteggi respighiani emergono contatti di Respighi con Vittorio Podrecca (creatore del Teatro dei Piccoli) già dal mese di maggio del 1916, vale a dire nel breve periodo in cui il Maestro bolognese torna a Roma per riprendere l’insegnamento, tentativo che si risolverà con il ritiro all’Eremo di Tizzano. È in una lettera del 28 giugno 1916, infatti, che leggiamo per la prima volta il titolo della fiaba musicale che Respighi si appresta a scrivere per “I Piccoli” di Podrecca: “La salute va un poco meglio e anche il cuore non è più così matto” scrive all’amica Chiarina. E ancora. “A Pinerolo spero di poter lavorare alla mia opera per il Teatro dei Piccoli: La bella addormentata nel bosco, che sarà rappresentata in inverno se arrivo a scriverla […]”. Evidentemente le speranze di Respighi non si avverano perché è a Roma che inizierà la stesura, come attesta una lettera del 9 ottobre 1917 alla cantante torinese, fornendo persino lo stato di avanzamento: “Mi sono messo al lavoro e parecchie ore del giorno le passo a scrivere”. “Tanto che ho già musicato le prime due scene della Bella addormentata”. “C’è la parte del Cucù che andrebbe così bene per lei!” Ma passerà ancora del tempo prima che la stesura della Bella possa dirsi compiuta. Lo apprendiamo da una lettera dell’autore ad Anna Magnetti (Roma, 16 novembre 1919): “Ho finito La bella addormentata che sarà rappresentata a primavera al Teatro del Piccoli”. La conferma a Chiarina Fino-Savio è in una lettera del 9 dicembre 1919: “A Pasqua si farà La Bella addormentata ai ‘Piccoli’ con una grande messa in scena”.
Il dilatarsi delle date, sia della composizione sia della rappresentazione, induce a pensare che La Bella addormentata nel bosco sia un progetto amato, sì, da Respighi, ma portato avanti come per gioco e negli spazi che altri lavori gli consentivano, tant’è che il musicista ne affiderà la strumentazione a un suo allievo: Vincenzo Di Donato. Del resto Respighi in quel periodo era tenuto a onorare altri impegni di lavoro presi con Sergej Djagilev, il quale, dopo il successo ottenuto a Londra con La Boutique fantasque, gli aveva affidato di rielaborare Le Astuzie femminili di Domenico Cimarosa e La Serva padrona di Giovanni Paisiello, contratti importanti e rinumerativi. Ciò nondimeno, per la freschezza dell’invenzione e l’abilità nel parodiare con le opere di grandi maestri (si pensi solo al Viaggio di Sigfrido sul Reno), La Bella dormente di Respighi è una delle più belle partiture dell’Autore.
La fiaba musicale di Respighi va in scena solo il 13 aprile del 1922 al Teatro Odescalchi di Roma, presente il fiore del mondo della cultura, dell’arte e dello spettacolo, e persino personaggi della politica. La rassegna stampa presenta, tra gli altri, i nomi di Trilussa, Grazia Deledda, Silvio D’Amico, Giuseppe Prezzolini e Claudio Guastalla; quindi i pittori C. E. Oppo e Armando Spadini e l’architetto Marcello Piacentini e, ancora, la cantante Gemma Bellincioni, l’attore e drammaturgo Ettore Petrolini, il regista Carmine Gallone. Il Generale Diaz era forse il personaggio più in vista della politica, seguito dal Ministro della Pubblica Istruzione e dal sottosegretario alle Belle Arti. Molti erano i personaggi del mondo della musica, tra cui il direttore d’orchestra Bernardino Molinari e i Maestri Tommasini, Santoliquido e Michetti, quasi tutti in compagnia delle signore. Per non dire delle rappresentanze straniere.
Persino l’Autore di Cavalleria rusticana, che con Respighi non fu mai tenero, negli anni che seguirono fece pervenire la sua lettera di congratulazioni. “La Bella dormiente nel bosco è opera che io ammiro sotto ogni punto di vista: è concepita in maniera squisitamente ideale, la musica che il M° Respighi ha saputo comporre è degna del suo nome e della sua produzione artistica; l’esecuzione della Compagnia del “Teatro dei Piccoli” è perfetta e completa in ogni suo piccolo dettaglio”. “Si tratta di uno spettacolo artistico di primissimo ordine che suscita il plauso di tutti coloro che comprendono ed amano ogni espressione dell’arte che sia bella e sincera”. “Pietro Mascagni”. Mascagni assisterà a una messinscena di Buenos Aires circa otto anni dopo la premiére al Teatro Odescalchi di Roma.
Tornando ai Carteggi respighiani, è del 16 aprile 1922 una lettera di Vittorio Podrecca a Respighi, con allegato un “Contratto di esclusivo diritto di rappresentazione marionettistica della fiaba La Bella dormente nel bosco, libretto di Gian Bistolfi, musiche di Ottorino Respighi”. Alla lettera di cui sopra Respighi fa riscontro di lì a poco: segue una lettera del 26 aprile, a firma congiunta di Vittorio Podrecca e del condirettore Romano Fidora, dove si chiariscono alcune condizioni fissate nella lettera dell’11 maggio 1916.
Fin qui i punti salienti e documentabili, per una tracciabilità della prima versione della fiaba musicale di Respighi, perché del libretto che Gian Bistolfi (all’epoca trentenne) aveva tratto dalla celebre favola di Charles Perrault, intessendo un libretto moderno e perfettamente riuscito, poco è dato conoscere oltre al testo vero e proprio, forse perché la parte letteraria era stata commissionata dallo stesso Vittorio Podrecca. Il direttore del Teatro dei Piccoli “mantenne in repertorio l’opera per più di vent’anni – scrive Leonardo Bragaglia – e sempre con grande successo, nelle sue tournée internazionali che passarono dall’Australia al Canada, dal Giappone alla Russia”. Superfluo aggiungere che La Bella addormentata nel bosco di Respighi è stato, in assoluto, il lavoro teatrale più rappresentato del compositore: il successo si era rivelato tale che persino i teatri lirici incominciarono a farne richiesta.
È del 29 novembre 1927 una lettera a Casa Ricordi da parte di Respighi, il quale, trovandosi in Germania per la prémiere de La Campana sommersa, scrive all’editore: “Il teatro di Amburgo desidera fare l’anno prossimo la mia Bella addormentata nel bosco con azione mimata e cantanti in orchestra, a imitazione del teatro di marionette per il quale è stata scritta”. “Credo la cosa corrisponda molto a certe nuove tendenze del teatro moderno, e che potrà avere un buon seguito”. “Terrei molto che la vostra Casa fosse editrice anche di questo lavoretto e attendo di sapere vostre notizie in proposito”. “Ottorino Respighi”. Il riscontro della Casa milanese non si fa attendere e con firma congiunta dei due gerenti in carica (Carlo Clausetti e Renzo Valcarenghi): “Carissimo amico, … Vi rinnoviamo le sincere felicitazioni per il grande successo della Campana sommersa …”. “Vi ringraziamo per l’offerta della vostra azione mimata La bella addormentata nel bosco che accogliamo con viva soddisfazione”. “Anche di essa vogliate inviarci la partitura e indicarci le condizioni”.
Poi, il 6 dicembre 1927, in una lettera con precisazioni Respighi scrive a Carlo Clausetti: “Caro Commendatore”. “Riguardo alla Bella addormentata nel bosco la prego di proporre lei stesso uno schema di contratto”. “S’intende che a parte la casa Ricordi dovrà trattare la cessione del libretto con Gian Bistolfi”. “Debbo però osservare che io ho ceduto alla Compagnia del Teatro dei piccoli di Vittorio Podrecca il diritto di esecuzione per marionette”. “Io sono perfettamente libero da qualsiasi legame sulla proprietà dell’opera per qualsiasi altro uso io ne voglia fare”. “Così pure per il libretto di Bistolfi”. Chi teme di uscire danneggiato dalla nuova “edizione” dell’opera ad Amburgo è Vittorio Podrecca, il quale, trovandosi allo Staatstheater di Cassel, aveva ricevuto dalla città di Amburgo un invito simile a quello che era stato fatto a Respighi ma per la propria compagnia di marionette. Ad ogni modo, spiaciuto “di dover rinunciare a questo piccolo sogno”, Podrecca si dichiara “felicissimo” di fare un piacere a Respighi e rispettarne un desiderio: “Scriverò subito ad Amburgo mettendo altro programma”.
Anche questa volta le previsioni non si avverano, perché per qualche tempo del progetto di rielaborazione della fiaba musicale non si parla più e l’opera sarà pubblicata da Ricordi solo dopo la scomparsa dell’Autore. Nel frattempo, evidentemente, Respighi aveva promesso all’Ente Italiano Audizioni Radiofoniche (E.I.A.R.) la première della fiaba “messa a nuovo” e l’Ente radiofonico italiano glielo ricorda con una lettera del 25 maggio 1932: “Eccellenza, avvicinandosi l’epoca dell’allestimento dell’opera La bella addormentata nel bosco, ci permettiamo di ricordarle la cortese sua promessa, di consegnarci il materiale di questa sua opera strumentato a nuovo”.
E sarà una partitura completamente nuova, quella che Respighi eseguirà a Torino nel ’34: “La partitura della Bella debbo farla di nuovo, perché quella per il teatro dei piccoli era fatta ‘ad usum Delfini’”, scrive a Carlo Clausetti il 6 dicembre 1927”. Forse intendeva riscattare la partitura per la quale si era avvalso (nella prima versione) della collaborazione di Vincenzo Di Donato? Nessuno lo può dire! Fatto, sì, è che la partitura, nuovamente strumentata tra agosto e novembre del 1933, è eseguita per la prima volta al Teatro di Torino il 9 aprile, sotto la direzione dell’Autore, con bambini dai tre agli otto anni sulla scena e i cantanti sempre in orchestra. “Una cosa lieve e sorridente sia nelle espressioni emotive, sia nelle arguzie descrittive, sia nelle onomatopeiche e nelle parodie, fra le quali è particolarmente felice quella del viaggio di Sigfrido sul Reno e il risveglio di Brunilde”. “Una cosa lieta e sorridente”. “Un facile piacere”. “Un genere teatrale che raramente viene coltivato in Italia”. Così Andrea Della Corte terminava la sua critica su “La Stampa” di Torino del 10 aprile 1934.
“Respighi si sente in un mondo nuovo e si diverte”, scrive la moglie Elsa, “trova i piccoli interpreti assai più espressivi e coscienziosi dei grandi”. “Che gioia – soleva dire Respighi riferendosi alle marionette – avere a che fare con questi personaggi che, finita la prova, metti tutto in un cassone e non ti annoia con le loro lamentele e i loro pettegolezzi, come fanno generalmente i loro colleghi veri”.
In un progetto più ampio riguardante la produzione musicale di Respighi, di cui si andava perdendo la pratica esecutiva, La Bella dormente nel bosco riceve nuove attenzioni attorno alla fine degli anni Sessanta da parte della moglie Elsa, la quale, in collaborazione Gianluca Tocchi, aggiunge danze modernissime nel finale. L’esito di questa nuova versione non fu felice, alcuni tagli netti (tra cui la canzone del Giullare che apre il secondo atto) apparvero inopportuni e le danze del finale infelici per una sorta di parentela con la musica cosiddetta leggera del momento: ricordavano il Twist allora in voga. Circa trent’anni dopo la partitura di Respighi è ripristinata e, con il restauro delle marionette di Podrecca, La Bella dormente nel bosco va nuovamente in scena al Teatro di Arezzo, con la direzione di Gianpiero Taverna.
Negli anni il progetto di Elsa Respighi di fare rappresentare La Bella dormente nei “teatri dei grandi” ha interessato dapprima il Teatro Comunale di Bologna (dove nel 2005 l’opera è andata in scena per la direzione di Aldo Sisillo e la regia di Michal Znaniecki), quindi il Teatro di Bilbao e infine il Teatro del Conservatorio di San Pietroburgo. Teatro il quale, in collaborazione con il Conservatorio di Milano, ha dato alcune rappresentazioni in Russia (il 7 novembre 2012) e a Milano, Sala grande del Conservatorio “Giuseppe Verdi” (8-10 frebbraio 2013): direttore Sergei Fedoseev; coreografia di Kostantin Chuvachev; regia di Sonia Grandis. Si hanno pure notizie di altre rappresentazioni in giro per il mondo, tra cui a Parigi lo scorso anno.
Ora ciò che ci si attendeva dalla ripresa de La bella dormente di Respighi al Teatro lirico di Cagliari era quasi un miracolo, una sorta di battesimo per il suo ingresso definitivo nel teatro d’opera ed è in questo senso che l’Ente cagliaritano ha agito, superando gli esperimenti precedenti.
Ma in questo campo parlare di eventi soprannaturali è qualcosa poco serio, perciò meglio attenersi alla realtà. Ciò che “devesi dire, e che si può dire con la sicurezza di essere nel vero” – per usare le parole di Pizzetti – è che questa sera, per la prima volta, personaggi in carne ed ossa hanno agito liberamente e con esito felice sulle tavole del Teatro Lirico di Cagliari, assecondando come meglio non si poteva il progetto di Elsa Respighi. Del resto il progetto condivideva almeno in parte il pensiero dell’Autore, il quale volle che alla première dell’opera (seconda versione) da lui diretta al Teatro di Torino nel ’34, agissero non più le meravigliose marionette di Podrecca ma piccoli personaggi in carne ed ossa, in altre parole dei mimi, quasi come se i bambini di allora fossero diventati improvvisamente adulti e in grado di cantare. Certo il passo è piuttosto lungo, ma il passaggio dell’opera di Respighi al teatro dei “grandi” è inevitabile se si vuole salvare dall’oblio la partitura de La bella dormente nel bosco, considerata pregevole dai più, e il suo libretto perfettamente riuscito. Sarebbe forse pensabile il ritorno dei bambini del terzo millennio alla “favola lirica”? Chissà, può darsi di sì! Una risposta concreta si può cogliere nell’inesauribile successo che è arriso alla fiaba musicale Pierino e il lupo di Sergej Prokof’ev, oltre che per la stupenda musica anche per la parola parlata e tradotta in ogni lingua, alla portata di ogni età.
Nel teatro lirico gli spettatori adulti non potranno non tener conto del soggetto particolare dell’opera, del resto quanti libretti sono tratti da fiabe? “Siamo davanti a una favola”, spiega Leo Muscato. “Dobbiamo calarci in una dimensione lontana anni luce dalla realtà, dove a dominare sia la fantasia sfrenata”. “Solo con questa consapevolezza potremo considerare accettabile, per esempio, il fatto che animali e oggetti cantino in scena accanto a personaggi in carne ed ossa”. Del resto un esperimento simile sarà tentato da Respighi circa dieci anni dopo con La campana sommersa, l’opera che ammirammo circa un anno fa in questo stesso teatro e con esito felicissimo.
Con La bella dormente nel bosco di Respighi il regista pugliese crea con mezzi minimi uno spettacolo di grande bellezza e fantasia, dai colori vividi e fiabeschi. È ciò che accade nel quadro primo al levarsi del sipario su uno sfondo notturno. Lentamente la scena si trasforma e nuvole bianche muovono lentamente nell’azzurro terso, assecondando la trama sinfonica; graziose trovate recano come un soffio di reale quando L’Usignolo e Il Cuculo, altalenando sul prato di fiori, “sussurran nell’ombra le cose più belle” e “gli augelli solfeggiano squisite canzoni”, mentre Le Rane tenendosi per la zampa saltellando in giro tondo. Improvvisamente il gioco si arresta, turbato dall’uomo che si avvicina: “È l’uomo che giunge”. “Fuggiam, se la pelle a cuore ci sta”. Qui la felice trovata di una tromba sulla scena, un effetto che in genere si perde nell’imitazione, è lo strumento che L’Araldo suona per richiamare le “benigne fate che d’esser madrine accettino” della figlia del Re. È, infatti, l’invito che L’Ambasciatore fa, srotolando anche il lungo proclama del Re. Qui, forse, si sarebbe dovuto insistere sull’aspetto comico di questo personaggio che, stremato da un viaggio di sette giorni, sarebbe dovuto entrare in scena piangendo disperatamente, sorretto dall’Araldo che “per etichetta, singhiozza accanto a lui”. Spettacolare, come si può ben immaginare, è l’entrata delle fate precedute da La Fata Azzurra che promette “alla bimba porteremo rose belle… e le carezze delle stelle”. Il quadro si chiude sul verso de Il Cuculo.
Il secondo quadro assume all’inizio un aspetto più intimo, a tinte rosee, quasi cameristico diremmo, con semplici drappi a delimitare lo spazio che circonda la piccola principessa che, nella culla, si addormenta col Buffone di corte che le canta una ninna-nanna. Sarà il corteo battesimale ad animare la scena con un vivo e pregevole commento musicale. Festosamente la corte inneggia alla principessa e alle sue madrine, quando la scena si rabbuia (con bellissime e terrificanti trovate registiche) e in orchestra si ode un immenso fragore: è La Fata Verde che piomba tra i convitati lamentando “l’ingiuria atroce” di non essere stata invitata ai festeggiamenti. “Alla pargoletta darò anch’io un dono come alcun non seppe”, e predice: “Bella, gentil, dolcissima, ella vivrà sino ai vent’anni”. “Allora si pungerà con un fuso e per l’eternità cadrà in un sonno che nulla potrà dissipare”. Il primo atto termina con un duetto disperato tra La Regina e il Re, il quale ordina che in quello stesso istante siano distrutti tutti i fusi del suo regno. Il sipario cala sopra il sublime coro di stelle e, come previsto nel libretto, molte scendono dall’alto in un meraviglioso effetto visivo.
Il resto della favola si è fatto “storia”, nel senso che tutti sappiamo come andrà a finire: nonostante la precauzione del Re, suo padre, la Principessa si pungerà con l’unico fuso rimasto nell’angolo più remoto del suo regno e perciò cadrà in “un sonno che nulla potrà dissipare”. Invano la Vecchietta disperata tenterà di destarla, mentre il Gatto che, vedendo il Fuso irridere davanti alla giovane addormentata, gli salterà addosso, afferrandolo e portandolo lontano. Questo accade nel Quadro Primo del Secondo Atto. Il Quadro Secondo vede i due disperati sovrani che piangono la loro sorte. È un duetto prevalentemente caricaturale inframmezzato da due momenti di altissima comicità, quello dei Quattro medici, quattro celebrità “che nulla sanno” e che il Re fa uscire precipitosamente dal castello, e l’altro dei Piangitori che il Re chiama “al lor dovere” avendo perduto ogni speranza di salvare la figlia. D’un tratto un gran fulgore interrompe i Piangitori, è la Fata Azzurra che appare presso la Principessa a riparare con un nuovo incantesimo la tragica magia della strega: la Principessa non morirà ma cadrà in un lungo sono che solo il bacio dell’April potrà ridestare. La corte si assopisce, mentre i Ragni mormorano un basso coro a bocca chiusa. Ecco alcuni brani molto apprezzati sin dalla prima esecuzione: “Il maggiore successo fu ottenuto nel second’atto e specialmente dal lamento dei piangitori o dalla canzone dei ragni che si chiude con effetti indovinatissimi di voci a bocca chiusa”, è ciò che scrive Alberto Gasco, musicista e compositore egli medesimo, su La Tribuna del 14 aprile 1922.
Il terzo è, forse, l’atto su cui si gioca la partita del futuro operistico de La bella dormente nel bosco di Respighi, essendo già in sé un atto d’opera. Atto che oggi è consuetudine presentare in due quadri ma che, in origine, era strutturato in tre parti. La stessa partitura di Respighi prevedeva tre quadri, ignorando il testo nel secondo che diventa così un breve quadro strumentale, uno squarcio sinfonico atto a descrivere il Principe Aprile che muove nel bosco verso il castello incantato (difeso dal ragno gigante che egli uccide in duello) e il risveglio della Principessa, in cui è dato intravvedere quello più famoso di Brünhilde. Il duetto d’amore che segue è un bellissimo duetto d’opera, sotto ogni punto di vista. Il libretto, che Gian Bistolfi trae dalla favola originale, fa sì che il risveglio avvenga in pieno Novecento, avendo l’autore moltiplicato per tre gli anni previsti da Perrault per il risveglio della Principessa. La musica, tipicamente novecentesca, non è da meno e Respighi, incoraggiato dall’idea librettistica, v’introduce addirittura un fox-trot allora in voga che, alla fine, diviene un ballabile in chiusura dell’opera. Salvo alcuni momenti (la reggia addormentata, per esempio, e un Minuetto che precede le danze finali), la musica di Respighi asseconda come meglio non si potrebbe l’idea novecentesca del libretto.
Come si sa, il Teatro Lirico di Cagliari è un Ente che conta tra le sue virtù anche quella di anticipare eventi straordinari e di ridare vita a opere insolite, del patrimonio lirico italiano e internazionale, e certamente con La Bella dormente nel bosco di Respighi ha compiuto ogni sforzo possibile per restituire al teatro lirico una perla ignorata solo perché destinata originariamente ai “Piccoli”, mentre la musica ha tutte le caratteristiche necessarie per entrare a far parte del repertorio lirico comico fiabesco.
La compagnia di canto, che il Teatro Lirico di Cagliari ha scelto per rappresentare l’opera di Respighi, è formata essenzialmente di giovani artisti tecnicamente dotati e di alto profilo professionale. Sono bravi tutti gli interpreti scelti per l’opera, sia nei ruoli primari sia nei comprimari, ma specialmente quelli del primo cast. Citarne alcuni significa adombrarne altri: ci asteniamo.
Molto brave anche le piccole danzatrici istruite da Luigia Frattaroli, le quali hanno restituito alla Danza delle rose un aspetto più intimo, persino nei costumi di Vera Pierantoni (belli e allusivi i copricapo a forma di rosa). Le piccole danzatrici si trasformeranno, poi, in fusi destinati al rogo: commovente la sfilata al termine del secondo atto. Per la realizzazione dello spettacolo Leo Muscato si avvale anche della complicità di Giada Abiendi, per le scene, e di Alessandro Verazzi per le luci.
Su tutto domina la figura del direttore Donato Renzetti, coadiuvato da ottimi assistenti e collaboratori, tra cui il Maestro Gaetano Mastroiaco, per il coro. Il maestro Renzetti ha rispettato fedelmente il testo, dirigendo con quella precisione che gli è propria, penetrando le più riposte intenzioni dell’Autore. L’orchestra ha dato in meglio di se.
L’Ente Lirico cagliaritano ha già fornito ampia prova delle sue potenzialità, inaugurando la passata stagione, riportando alla luce e con grande successo una delle opere maggiori di Respighi, La campana sommersa, uno spettacolo che a breve (marzo-aprile 2017) sarà nuovamente in scena alla New York City Opera, con lo stesso allestimento. Sorte simile si auspica per La bella dormente nel bosco dello stesso autore. Com’è noto, il Teatro Lirico di Cagliari punta al “riconoscimento, da parte dell’Unesco, dell’Opera lirica italiana quale Patrimonio dell’Umanità, proseguendo un importante progetto di valorizzazione, che troverà ancora sviluppo nei prossimi anni, del repertorio operistico italiano, con particolare attenzione a quello del Novecento”, progetto condivisibile e al quale noi ci si associa.
Potito Pedarra