Dramma lirico in cinque atti
Libretto di François-Joseph Méry e Camille Du Locle
Traduzione italiana di Achille De Lauzières e Angelo Zanardini
(Edizione in 5 atti, a cura di U. Günther e L. Petazzoni, Ricordi, Milano)

Elisabetta di Valois  Krassimira Stoyanova
La principessa Eboli   Ekaterina Semenchuk
Don Carlo            Francesco Meli
Rodrigo                Simone Piazzola
Filippo II             Ildar Abdrazakov (29 Gennaio)
Il Grande Inquisitore    Eric Halfvarson
Un frate              Martin Summer
Tebaldo               Theresa Zisser

Direttore        Myung-Whun Chung
Regia     Peter Stein

Produzione del Festival di Salisburgo

Sono più di vent’anni che studio personalmente Don Carlos e ogni volta che si affronta questa immensa partitura c’è sempre da scoprire. Numerose le versioni approntate dallo stesso autore che di volta in volta approfondiva lo spessore drammatico di quest’opera colossale che nella versione originale durava 4 ore di musica. Durata comune hai 4 grand-opéra di Meyerbeer, Robert le diable, Les Huguenots, Le Propèthe e Vasco de Gama a cui Verdi fece riferimento. Come Meyerbeer anche lui in prossimità della prima fu costretto ad eliminare dei brani per rendere accettabile la durata complessiva con gli intervalli di rito sacrificando musica bellissima.

I brani eliminati durante le ultime prove parigine nel 1867 furono:

  1. Il coro iniziale di boscaioli e cacciatori con la sortita di Elisabetta (un pezzo magistrale)
  2. Cavatina di Rodrigo (breve brano prima del duetto con Carlo)
  3. Duetto tra Elisabetta e Eboli
  4. Compianto di Filippo, Carlo e coro sul corpo di Posa

Di questi brani il direttore Myung-Whun Chung ha reintrodotto solo il primo indicato: il Coro scaligero ha realizzato benissimo questo ampio pezzo durante l’inverno nella foresta di Fointainbleau. I boscaioli cantano una melodia che viene modificata nei particolari più volte questa tecnica raffinata si indica come “ristrutturazione del paragrafo musicale”. Il coro dei cacciatori dietro le scene era purtroppo amplificato fatto che noi non riteniamo consono ad una esecuzione così di qualità come quella proposta in queste serate.

Il direttore ha inoltre mantenuto il coro d’introduzione al terzo atto con lo scambio delle vesti fra Elisabetta e Eboli (dove si riprende il tema della canzone del velo) brano interessante per capire poi l’errore in cui incappa don Carlo. I 16 minuti di balletto che seguono a questo coro non sono stati eseguiti per andare spediti all’azione. Il balletto “La peregrina” è di qualità musicale alta e raffinatissima l’orchestrazione, il titolo si riferisce alla grande perla di proprietà di Filippo II ( e in un recente passato fu nelle mani di Elizabeth Taylor).

Nel 1884 Verdi approntò una nuova versione in 4 per la Scala versione che compatta l’ampio affresco parigino in un dramma più privato eliminando molte esteriorità e migliorando la continuità drammatica di molti brani come nel duetto iniziale tra Rodrigo e Carlo (che perde il I tempo), nel duetto Filippo e Posa riscritto per la seconda volta, nel quartetto quando sviene Elisabetta completamente rifuso o la rivolta poco seguente che da 10 minuti passa a tre (concentrando in questo caso troppo le azioni). Perdita grave della versione 1884 è l’eliminazione del processo sommario che era posizionato prima dell’ultima apparizione di Carlo V: in questo brano notevole Filippo e l’Inquisitore accusavano tre volte i malcapitati supportati dalla presenza del coro dei domenicani creando un giusto effetto monumentale a fine atto. Lo stesso editore Ricordi rimase esterrefatto del taglio eccessivo operato da Verdi ma lui fu irremovibile. Peccato!

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Ildar Amirovich Abdrazakov il grande basso russo, ha sostituito l’indisposto Furlanetto che abbiamo ascoltato nelle prime rappresentazioni. Abdrazakov affronta il ruolo con ottimi mezzi vocali, il suo accento è solido, le parole sempre spiccate, il timbro ampio e vellutato. Un capolavoro “Ella giammai m’amò” e il successivo duetto con l’Inquisitore.

Protagonista è stato Francesco Meli in un don Carlo prodigioso nel far sembrare la parte facile mentre invece la linea di canto fu scritta da Verdi con insidie pericolose. Morbida è stata l’aria dopo l’iniziale coro di boscaioli, incisivo il duetto con Rodrigo che riesce a stampare nella memoria il tema della amicizia e libertà che ritornerà spesso nell’opera. Mille diversi accenti nei tre duetti con la fidanzata-madre. La scrittura verdiana esalta i contrasti tra le voci e Meli evolve subitamente nella successione degli atti.

Simone Piazzola ha mantenuto le promosse di pochi anni orsono diventando una baritono elegantissimo nel porgere le frasi: i volumi sono sempre ben delineati e con facilità si esprime con frasi in pp e messe di voce perfette. Ottima la doppia aria nel carcere con un effetto “morte sulla scena” realistico. I parigini dopo poche repliche facevano terminare il quarto atto proprio con la morte di Posa.

Krassimira Stoyanova ha fatto tutte le recite fino ad oggi con raro impegno. Un bellissimo colore nella voce matura che caratterizza questa Regina spinta da forti contrasti e dal tentativo di reprime gli istinti verso Carlo. Lacrimevole l’aria rivolta alla contessa d’Aremberg con corno inglese solista. Un monumento “Tu che le vanità” affrontato con voce imperiosa, con un volume notevole tanto da fronteggiare l’orchestra vivida nella seconda parte della lunga aria.

Ekaterina Senenchuk ha volto la difficile parte di Eboli con un carisma naturale, e la capacità di affrontare le note acute della sua parte senza alcuna tema. Molti sono si (note sopranili) e sono stati affrontati dal nostro mezzosoprano con naturalezza. I tre momenti di “O don fatale”  sono stati ben eviscerati dalla cantante fino all’invettiva finale che l’ha vista emergere nella speranza di liberare Carlo dal carcere. Molto brava.

Bravissimo anche come attore Eric Halfvarson che interpretava il Grande Inquisitore nonagenario e cieco. Voce cavernosa ma capace anche di far risaltare il canto nella seconda parte del duetto dove è più esposto, si è prodigato in tremoli e movimenti a scatto per indicare lo stato quasi convulso di questo spietato personaggio ottimamente tratteggiato da Verdi. Martin Summer è stato ingaggiato per la breve ma fondamentale parte del frate-Carlo V ben svolta. Parti di fianco tutte ben riuscite, nonostante l’amplificazione abbia condizionato anche la voce del cielo.

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Ottima l’orchestra che dipinge con una tavolozza veramente ricchissima, delle raffinate soluzioni del coro di donzelle prima della canzone del velo alle sonorità del controfagotto associato all’Inquisitore.Utilizzata giustamente la banda sul palcoscenico: una ventina di elementi in costume che instaurava uno stretto dialogo con l’orchestra nella scena dell’Autodafè.

Peter Stein è molto attento alle indicazioni del libretto e fa un lavoro profondo sulla recitazione, sugli sguardi e sugli atteggiamenti dei personaggi. Le scene sono fin troppo stilizzate (ricordiamo il Don Carlo di Zeffirelli con Muti nel 1992 che era esattamente l’opposto).Uno spettacolo quindi riuscito in tutti gli aspetti, con una durata di 5 ore che passavano veloci veloci tanto è la bellezza austera di quest’opera. Ancora alcune repliche nel mese di febbraio per chi non l’avesse ancora apprezzato.

Fabio Tranchida