Opera buffa in due atti. Musica di Gioachino Rossini
Libretto di Felice Romani
Prima rappresentazione: Teatro alla Scala di Milano, 14 agosto 1814.
Selim Fabrizio Beggi
Donna Fiorilla Paola Leoci
Don Geronio Marco Bussi
Don Narciso Ruzil Gatin
Prosdocimo Vittorio Prato
Zaida Cecilia Bernini
Albazar Stefano Marra
Direttore Christopher Franklin
Regia Alfonso Antoniozzi
Scene Monica Manganelli
Costumi Mariana Fracasso
Light designer Nando Frigerio
Maestro del coro Diego Maccagnola
Coro di OperaLombardia
Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano
Coproduzione Teatri di OperaLombardia
Venerdì 20 gennaio abbiamo assistito a questa nuova produzione del capolavoro di Rossini il quale profuse tanto impegno nel realizzare quest’opera per Milano senza l’utilizzo di autoimprestiti, escludendo qualche brevissimo accenno di materiale precedente comunque profondamente rielaborato. Una attenzione particolare per il teatro milanese attenzione che aveva già rivolto alla precedente produzione scaligera Aureliano in Palmira anch’essa con musica al 100% nuova. Entrambe le produzione purtroppo non ebbero il successo sperato, l’opera seria per le molte defezioni e carenze del cast e anche il Turco non ebbe vita facile all’inizio. Ma Rossini ne conosceva la qualità e il valore e la ripropose con successo a Roma con ben tre brani nuovi e il successo gli arrise anche a Napoli in un secondo tempo. L’opera circolò bene anche se con tanti rimaneggiamenti spuri che culminarono con l’edizione sfigurata da Päer per Parigi che minò per tutto l’800 l’integralità rossiniana dell’opera.
Maria Callas e Gavazzaeni recuperarono l’opera a metà del ‘900 sebbene con numerosissimi tagli in ogni brano e l’assurda eliminazione della grande aria seria di Fiorilla dove Maria avrebbe creato un monumento sonoro di cui ancora rimpiangiamo la mancanza. Da allora l’opera si è imposta come alternativa all’altezza del Barbiere , dell’Italiana e Cenerentola.
Lo stesso cammino dovrà ora compierlo LA GAZZETTA ora che con il Quintetto ritrovato è stato completato l’autografo. Basterebbe eseguire integralmente i lunghi recitativi così vividi sopratutto nel vernacolo di Don Pomponio (ci vuole un fuoriclasse come Nicola Alaimo) sostituire le due rachitiche arie di sorbetto con due peccati di vecchiaia di Rossini e il gioco è fatto avremmo un’altra opera comica che nonostante qualche importante autoprestito vivrebbe di vita propria. Si attende teatri coraggiosi o case discografiche che diano forma compiuta a LA GAZZETTA.
Il Turco in Italia di questa sera è stato di buon successo, innanzitutto per una compagnia di canto abbastanza equilibrata. Annunciata l’indisposizione del soprano Paola Leoci in realtà per eccesso di prudenza in quanto ci ha dato buona prova, con quella giusta civetteria e ottimo aplomb. Certo la voce non è ampia ma il ruolo pretende piuttosto agilità e spigliatezza ciò che caratterizza la Leoci. Ottimo il duetto con il marito cornuto e buona la prova nell’amplissima aria tragica del secondo atto dagli accenti patetici iniziali alla coloratura picchiettata finale resa sufficientemente bene.
Fuori classe il Selim di Fabrizio Beggi che doveva riproporre il ruolo affidato al grandissimo Filippo Galli compagno di avventure di Rossini. Voce amplissima, robusta, ben calibrata e morbida. Un vero piacere all’ascolto da “Bella Italia alfin ti miro ” al duetto del secondo atto con la frase “non si fa l’amor così”! Rossini nel vortice dei pezzi d’assieme e concertati non affida mai un’aria a Selim rendendolo una macchina sempre in movimento e mai statica. Ottimo il suo duetto con l’altro basso buffo Marco Bussi entrambi pieni di verve e capaci di affrontare i pestiferi sillabati con cui Rossini cercava di imitare e superare i duetti buffi di Cimarosa.
Marco Bussi è beneficiato di una cavatina di presentazione di buona qualità anche se non di mano di Rossini ma di un collaboratore: il dialogo rapido con lo stoul di zingarelle è ben affiatato grazie anche alla regia. Spiace che poche battute nella stretta siano state eliminate da una decisione del direttore. Bussi è buon carattersta e anche se non può vantare il timbro eburneo di Selim è perfetto nel ruolo del marito frustrato: movimenti macchiettistici, voce talvolta chioccia ottimi sillabati lo rendono un marito tradito credibilissimo.
Ruzil Gatin interpreta Narciso, un ruolo appiccicato da Romani al vecchi libretto di Mazzolà e si vede, poiché non ha mai parte vera e propria. Bellissima invero l’aria del secondo atto che sebben disarticolata dalla trama fa sfoggiare al tenore di turno tutta l’arcata vocale. Gatin è sufficientemente preciso, manca un poco di accento e robustezza ma porta a termine l’opra. Rossini scrisse un’aria ancora più bella per il primo atto e talvolta viene eseguita come l’estate scora a Pesaro con un Don Narciso-Prete felliniano.
Eccezionale Vittorio Prato nel ruolo originale del poeta che tesse l’opera: voce caldissima, morbida dai bellissimi riflessi sono le sue caratteristiche. A ciò si aggiunga la sua magnetica presenza che lo ha eletto tra i più bei baritoni del mondo e la spigliatezza nell’azione che lo vede sempre in movimento a far progredire la trama e a tessere la tela.
Rossini aveva previsto nel primo atto un’aria per il poeta e un duetto con Don Geronio entrambi eliminati in corso di composizione per rendere più fluido il primo atto. Chissà cosa avrebbe fatto Prato con questi due pezzi di cui ci rimane solo il testo di Romani.
Bene la Zaida di Cecilia Bernini e l’Albazar di Stefano Marra.
Ottime la videoproiezioni studiate fin dall’illustrazione della sinfonia a corredare tutta l’opera senza soffocare i personaggi. Paesaggi napoletani e sorrentini, marine e Vesuvio, penne e inchiostro e tante scritte per evidenziare il lavoro del poeta. Colpo di scena col l’idea di trasformare il festino turco nell’estrazione del lotto con le carte e i tarocchi a fare da scenografia che si scomponeva letteralmente nella stretta del quintetto.
Alfonso Antoniozzi pur con pochi mezzi ha fatto un lavoro lodevole, sfruttando una drammaturgia già ben oliata grazie al libretto che utilizza quasi esclusivamente brani di assieme aggiornando le formule della commedia borghese.
Orchestra ben preparata, forse priva di alcune morbidezze e alcuni impasti, ma ben sicura nei ritmi talvolta folli imposti dal giovane compositore.
Un buon successo per il Teatro Sociale di Como.
Fabio Tranchida