Dori: Benedetta Mazzucato
Rubinetta: Caterina Di Tonno
Artemidoro: Matteo Mezzaro
Don Gasperone: Domenico Colaianni
Eufelia: Angela Nisi
Madama Bartolina: Daniela Mazzucato
Trofonio: Roberto Scandiuzzi
Don Piastrone: Giorgio Caoduro

Direttore: Giuseppe Grazioli
Regia: Alfonso Antoniozzi

Il Festival della Valle d’Itria ha centrato il bersaglio anche questa volta con un titolo, La Grotta di Trofonio, che ha riscosso unanime successo. Ogni aspetto dell’allestimento è stato curato nei dettagli e la scelta del rarissimo titolo ci ha fatto scoprire un Paisiello al massimo delle sue capacità. Si parla sempre del compositore ma dobbiamo lodare anche il librettista Giuseppe Palomba che, elaborando un libretto algido e simmetrico dell’abate Casti, ha tratto una pièce di una vitalità a volte convulsa ma trattata con estrema fantasia. Il libretto di Casti con la doppia coppia di amanti ispirò Da Ponte per il Così fan tutte e infatti entrambi i testi hanno una classicità e una compostezza che a volte raffrena l’azione nei continui rimandi tra le parti. Palomba include solo 4 sezioni di testo dal vecchio libretto e rielabora completamente la poesia, inventa ex novo lo smargiasso napoletano Don Gasperone (all’epoca il grande Casaccia) e due nuove figure femminili: la ballerina Madama Bartolina e l’intraprendente locandiera Rubinetta. Gli uomini entrano per ben tre volte nella grotta non solo cambiando carattere ma diventando anche spagnoli e francesi. Le donne con estrema originalità diventeranno una pittrice e una cantante bolognese. I pezzi d’assieme, che superano di molto le arie, si susseguono con estrema naturalezza.

Un vortice di situazioni ben orchestrate del regista Alfonso Antoniozzi che ha creato uno spettacolo molto elegante: tutti i personaggi escono dai libri, da questa cultura filosofica greca che pervade il libretto, e d’altronde un libro alchemico è La grotta di Trofonio. Alcuni servi con la tunica decorata a meandri rendevano più animata la scena. Bellissimi i costumi di Gianluca Falaschi ispirati a un fine ‘800 napoletano, tutti dai candidi tessuti, mentre Rubinetta come un Pulcinella indossava un vestito con la veduta di Napoli e il suo Vesuvio. Trofonio, che viene paragonato ad un orso, in effetti ha un costume molto appariscente con velli di animale che lo rendono irsuto come il suo carattere.

Quattro donne e quattro uomini sono i protagonisti dell’opera. Le due ragazze da marito sono Dori, Benedetta Mazzucato e Eufelia, Angela Nisi. Quest’ultima ha avuto un’aria nel primo atto, dove è emerso il suo carattere di zanzarina, con la voce un poco calante. Poi canta una finta aria seria di notevole fattura non esente però da asperità nel registro acuto. Molto bene invece Benedetta Mazzucato che di sua invenzione ha eseguito l’aria dopo la trasformazione con l’accento bolognese creando un raffinato momento comico. Voce di perfetto equilibrio, dalla coloratura ben sgranata quando necessario, ci è parsa personaggio molto ben riuscito. Nell’opera giungono più tardi le altre due donne, la locandiera Rubinetta e la ballerina Madama Bartolina, quest’ultima impersonata da Daniela Mazzucato, dalla brillante carriera alle spalle. Certo i suoi mezzi risultano un po’ appannati ed è evidente la fatica nel registro acuto, ma si tratta pur sempre di personaggi più attoriali che cantanti. Lo stesso vale per la Rubinetta di Caterina Di Tonno, che ha i mezzi giusti per una parte non impegnativa e che è brava a far emergere la napoletanità del ruolo, con voce piccola ma espressioni ben dette, da locandiera vivace ed estrosa.

Protagonista assoluto Don Gasperone, l’habitué del festival Domenico Colaianni che in questi anni ha ampliato il suo repertorio con ruoli comici spesso in prima mondiale. Noi lo seguiamo da La Gazzetta di vent’anni fa al Sociale di Como. Oggi è artista maturo dalla sillabazione perfetta e dall’uso interessante del vernacolo napoletano, sempre così esplosivo nella sua carica buffa. Un nuovo Casaccia a cui è cucito su misura il ruolo di Don Gasperone partorito da Palomba. Ottima la seconda aria, quella riferita al ritratto, ma anche tutti i numerosi pezzi d’assieme dove egli muove spesso l’azione. Il secondo pretendente è Artemidoro, Matteo Mezzaro, tenore che affronta la difficile aria del primo atto con buoni mezzi anche se con qualche squilibrio e rigidità. Entrambi divertentissimi quando ballano travestiti da spagnolo e francese. Roberto Scandiuzzi ha potenza vocale ancora raggurdevole e dilata con la sua imponenza la parte di Trofonio, creando un mago sempre pronto a giocare con le sue vittime. Bellissima la scena che lo trasforma in burattinaio che muove tutti i malcapitati personaggi: un ruolo ben più vario di quello immaginato da Casti. Di minor importanza invece la parte del padre delle due ragazze, il Don Piastrone di Giorgio Caoduro, dalla linea di canto morbida e dall’interessante verve negli assiemi. Il finale I, di eccezionale durata e complessità, ispirerà anche quello del Re Teodoro in Venezia che Mozart ascolterà a Vienna con i risultati che sappiamo.

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Si è distinta l’orchestra diretta da Giuseppe Grazioli, che ha staccato tempi azzeccati in questo vortice musicale. Veramente fastidiosa l’amplificazione elettronica del fortepiano. Assurda. Bastava aggiungere violoncello e contrabbasso con risultati decisamente diversi. Dario Gessati per il gran finale ha trasformato i libri in quadri psichedelici come se fosse stato tutto un folle sogno. Le quattro coppie si compongono nel finale, in un’opera che lascia mai un momento di tregua tanti sono gli accadimenti e la naturalezza della musica nel descriverli. Un Paisiello festeggiato degnamente dalla sua terra grazie a questo imperdibile 42° festival. Appuntamento al prossimo anno.  

Fabio Tranchida