Il Marchese di Calatrava: Luigi Roni
Donna Leonora: Tiziana Caruso
Don Carlo di Vargas: Dario Solari
Don Alvaro: Marco Berti
Preziosilla: Sonia Ganassi
Padre Guardiano: Graeme Broadbent
Fra Melitone: Vincenzo Taormina

Direttore: Andrea Battistoni

Doveva essere Ruy Blas di Victor Hugo e fu La forza del destino. Anche la censura russa aveva posto il veto al dramma di Hugo troppo sperimentale e sovversivo, ma ormai quando San Pietroburgo concesse anche questo titolo del drammaturgo francese, Verdi si era già infiammato di Don Alvaro e continuò con sollecitudine a comporre questo “vastissimo” affresco. Cercò di imitare in molti punti i caratteri da gran-opera mutuati da Meyerbeer ravvisabili nelle scene dell’accampamento e nella figura brillante di Preziosilla, tutti episodi presenti nel successo del momento L’étoile du Nord. La scena della vestizione di Leonora è un’invenzione di Verdi rispetto al dramma spagnolo e la maledizione scagliata dal Padre Guardiano ricorda nelle prime scene de La Juive la figura del cardinale Brogni. Ma a tutto ciò Verdi unì la sua grande capacità nel creare linee di canto raffinatissime, nuove strutture in tutte le cabalette e finali d’atto originali.

Un vero capolavoro che ha la sua peculiarità nell’originale svolgersi della vicenda che ha lasciato perplessi molti critici. La celebre sinfonia aggiunta per la Scala insieme ad un nuovo finale manzoniano e a tanti piccoli particolari, fa da legante ai numerosi temi dell’opera. Anche I lombardi alla prima crociata avrebbero avuto necessità di una sinfonia pot-pourri per sintetizzare in 10 minuti tutta l’opera. Peccato non ci abbia pensato, neanche in una revisione successiva.

Lo spettacolo visto a Genova era in forma di concerto a causa dell’usura della macchina scenica che aveva dato già problemi nella scorsa Salome. Problemi diventati insormontabili con la complessa scenografia per La forza del destino di Livermore. Si sta già provvedendo alla risoluzione dei gravi e onerosi problemi in vista dell’inaugurazione con La rondine pucciniana.

Si è optato quindi per la forma di concerto, con l’elegante proiezione dei fondali della prima di San Pietroburgo. Scelta che ha portato tutta l’attenzione al canto.

Protagonista assoluto Don Alvaro (mi raccomando con l’accento sulla prima A) un tenore che più romantico non può essere: la linea vocale scritta per Enrico Tamberlik è sempre arroventata, spinta con frasi ad altezza vertiginosa. Parte lunga e spossante, ha culmine con l’aria a conclusione del terzo atto eliminata da Verdi nella revisione scaligera non per la qualità ma per l’impossibilità a sostenerla a teatro. Ve ne proponiamo l’ascolto in questa notevole esecuzione.

Marco Berti ha risolto ruolo con rara capacità. Facilità nel sostenere una parte cosi acuta, uniformità di registro e acuti squillanti ben intonati. Nessuno sforzo a porgere la frase e ottima tensione nei tre duetti con Don Carlo. Prova brillantemente superata.

Alcune riserve invece per quanto riguarda Tiziana Caruso dalla bella voce ma non sempre ben controllata. Se intimistica è risultata la prima cavatina “Me pellegrina e orfana” (tratta dal Re Lear) molti i problemi nella preghiera “Madre, pietosa vergine” con frasi sempre col fiato corto, con molte preoccupazioni nel salire nella regione sovracuta. Anche nel successivo duetto col Padre Guardiano gli acuti erano sempre aciduli senza la rotondità necessaria.

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Eccellente il Don Carlo di Dario Solari, baritono uruguayano dalla promettente carriera. Un baritono a tutto tondo, dalla voce spessa ed uniforme, dallo sguardo ipnotizzante, un artista completo. Baldanzoso nella sua sortita “Son Pereda” e sicuro nella grande aria “Urna fatale” dalla incisiva cabaletta. Autoritario nei tre duetti col tenore, sempre sollecitato da una cieca vendetta del sangue paterno ha mostrato tutta la sua professionalità per un ruolo di grande respiro. Consigliamo l’ascolto del suo Azzo nella Parisina donizettiana per l’etichetta Opera Rara, vero suo capolavoro.

Briosa e divertente la Preziosilla di Sonia Ganassi nostra amatissima cantante dal Sigismondo a tutti i ruoli rossiniani da lei così ben esplicitati. “È bella la guerra” svolto con piglio militare e baldanzoso, e la codetta “Ma gnaffe a me non se la fa” piena di verve in dialogo con l’ottavino. Qui c’è tutta la tradizione francese dell’opéra-comique che Verdi cercava di imitare con i suoi mezzi. Ottimo i Rataplan della Ganassi che ci ha regalato trilli non previsti per aumentare la tensione delle slanciate frasi. Movimenti occhiatine, passi di danza: chissà se l’opera fosse stata in forma scenica cosa ci avrebbe regalato.

Graeme Broabdent è stato un Padre Guardiano autorevole, con ottima tecnica e voce profonda: a noi non piace del tutto il timbro ma è difetto da poco perché tutta la parte è stata svolta con massima professionalità: il duetto con Leonora, la maledizione a chi varca il recinto dell’eremo e il terzetto finale.

Vincenzo Taormina è stato un divertente Melitone: begli gli accenti e facile l’estensione ma forse una comicità poco sbozzata.

Negativa invece la prova di Luigi Roni, dalla linea instabile e con tre errori nelle parole della breve parte del Marchese di Calatrava.

Andrea Battistoni ha diretto con energia vulcanica la trasbordante sinfonia. Tempi perfetti sia gli allegri che i cantabili. L’orchestra ha assecondato con precisione la sua concertazione. Avendo assistito all’ultima replica forse l’intesa era ancora maggiore. Bello e romantico è stato il preludio al terzo atto, vivace la tarantella con i commenti del coro molto impegnato in quest’opera. Il coro diretto dal Maestro Assante ha svolto con precisione tutti gli interventi coronando un’esecuzione interessantissima, che nonostante la mancanza di scenografia ha fatto percepire l’aura di capolavoro in questa opera monumento che vi invitiamo ad ascoltare anche nella versione sanpietroburghese dove vi attendono non poche sorprese come il suicidio di Don Alvaro, che alla fine dell’opera durante una tempesta si butta dal precipizio del convento: se questa non è un’opera romantica, quale altra?

Fabio Tranchida

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