Linda: Jessica Pratt
Pierotto: Ketevan Kemoklidze
Carlo: Isamel Jordi
Antonio: Roberto De Candia
Il marchese di Boisfleury: Bruno De Simone
Direttore: Riccardo Frizza
Regia: Emilio Sagi
Capolavoro assoluto della piena maturità donizettiana, quest’opera ebbe fin dall’inizio una successo travolgente. Una preziosissima riduzione canto piano è custodita al Museo donizettiano di Bergamo, una edizione extralusso dovuta certamente ai successi nella capitale austriaca, impero di cui Donizetti era suddito. Le riprese nel Novecento ci sono state anche se non si tratta di un’opera di repertorio forse per due motivi: il primo perché trattandosi di opera semiseria non trova il suo giusto pubblico che ormai o ama il buffo o la tragedia senza commistioni (con difficoltà è ritornata in auge Matilde di Shabran, o La Gazza ladra, pochissime riprese per Torquato Tasso o Il Furioso); il secondo per la durata di più di tre ore di musica e un organico complesso che comprende un attivo coro di voci bianche (i savoiardi che partono per Parigi) e la possibilità dell’uso della ghironda, uno strumento popolare ma di difficile esecuzione in orchestra.
Un’opera importante con sei personaggi principali, molto ben delineati nei tre lunghi atti, una doppia scena della pazzia dove il compositore non copia se stesso ma trova nuove soluzioni formali. Un importante librettista come Gaetano Rossi, autore del suo successo scaligero di poco prima Maria Padilla e autore nel passato di Tancredi e Semiramide, “papà di parole di Rossini” come si definiva.
L’esecuzione odierna al Teatro dell’Opera di Roma ci ha entusiasmato per la bravura di tutto il cast, una buona direzione e uno spettacolo semplice e allo stesso tempo al servizio della musica.
Protagonista assoluta l’australiana Jessica Pratt che ha realizzato sia una fanciulla indifesa e innamorata nel primo atto, una ragazza che caccia il Marchese e impazzisce nel secondo fino alla lieta conclusione nel terzo. Tanti “affetti” espressi da una voce importante, omogenea nell’ampio registro, cristallina nelle colorature più sfrenate, specie in “Oh luce di quest’anima”, aggiunta da Donizetti per Fanny Tacchinardi-Persiani (la prima Lucia, Rosmonda e Pia). Credibile nell’originale pazzia dopo la maledizione paterna e il tradimento di Carlo: Donizetti aveva progettato originariamente un’ampia scena di pazzia con un cantabile, un episodio ponte e la cabaletta. Solo la cabaletta viene eseguita normalmente a teatro. Il cantabile è presente nell’autografo e sembra si stato depennato molto tardivamente poiché contiene un tema della sinfonia anch’essa composta all’ultimo. L’episodio ponte esiste solo sotto forma di libretto e non sappiamo se il compositore l’abbia scritto e poi stralciato. Per ora la musica risulta perduta. Probabilmente una scena così ampia dopo un secondo atto in cui Linda è quasi sempre presente risultava già allora troppo pesante per la protagonista. Jessica Pratt ha staccato un tempo giustamente veloce alla cabaletta della pazzia “No, non è ver… mentirono” dalla figura anapestica sempre ben accentata. Una vera prima donna in tutti gli aspetti che ha dominato lo spettacolo.
Non possiamo che parlare subito di Bruno De Simone vero mattatore, simpaticissimo Marchese che insidia la giovanissima Linda ma con un buonumore e eccessi galanti tanto che la scabrosità della situazione è sempre smussata. Personaggio trasbordante (come il Don Gherardo del Torquato Tasso) ha trovato in De Simone una vitalità incredibile in tutte le accentazioni e una linea di canto sempre sbalzata come nell’ampia introduzione dove il sillabato era ben udibile anche nella stretta, oppure nel duetto nel secondo atto, sempre al limite della parodia con un tempo di mezzo dal ritmo sospeso indicando le paure del vecchio Marchese. Un De Simone in piena forma che speriamo di riascoltare prestissimo.
Eccellente anche la prova di Roberto De Candia come Antonio, padre di Linda: un ruolo modernissimo che ha influenzato sicuramente il giovane Verdi dove la figura paterna associata alla voce baritonale ha grande importanza. De Candia svolge magnificamente la cavatina introduttiva con una voce drammatica, ampia e intonata per poi esplodere in potenza nel duetto con il Rettore nella grande frase verdiana “Perché siam nati poveri ci credon senza onor”. Tutte le difficoltà sono state superate brillantemente.
Sotto il nome di Rettore si cela un alto prelato di Chamounix, ma la censura austriaca ha cercato di nascondere la figura religiosa ben percepibile dalla musica donizettiana che mette in bocca al Rettore anche la musica della preghiera di Stuarda sebbene tutta modificata ed ampliata a finale primo. Non ci ha soddisfatto la voce di Christian Van Horn senza note basse, dalla linea di canto un poco malferma e senza l’autorità del ruolo.
Molto brava la georgiana Ketevan Kermolidze nell’originale ruolo di Pierotto la cui canzone segna tutta l’opera con numerose riprese a monito di Linda. Voce brunita dal bel colore ben si sposava nel duetto con la voce della Pratt in un brano non lontano da quello tra Arsace e Semiramide. Spiace che non si faccia nessuno sforzo di reintegrare l’ utilizzo della ghironda prevista da Donizetti anche se la scrittura del compositore rende difficile l’esecuzione. Ma come ultimamente viene reinserita la glassharmonica in Lucia si dovrebbe fare lo stesso con la ghironda, vero unicum operistico che darebbe il giusto colore all’opera. Oggi era sostituita da un harmonium, soluzione spesso adottata anche in passato.
Abbiamo lasciato per ultimo il tenore Ismael Jord autore di una prova altalenante: bravo nei duetti con molto slancio con la Pratt, tutto costruito invece nella bella aria del secondo atto , risultata incredibilmente manierata invece di essere spontanea. Bella comunque la voce e la presenza del giovane Visconte, meno interessante la tecnica, perfezionabile.
Peccato per la mancanza del coro dei ragazzi, un altro peculiare aspetto di quest’opera. Hanno cantato nei numerosi loro episodi le donne del coro appiattendo l’originalità della presenza dei giovanissimi savoiardi.
Riccardo Frizza ha staccato ottimi tempi, buoni i colori dell’orchestra ma peccato capitale la soppressione dell’ouverture, tra i risultati più grandi del bergamasco insieme a quella della Maria di Rohan.
Bellissimo lo spettacolo di Emilio Sagi, tutto giocato su sfumature di bianco, con una foresta nel primo atto, una scala nel secondo e una tavolata con luci per festeggiare nel terzo. Costumi molto ben realizzati e variati anche per il coro. Invitiamo dunque alla visione del meritevole spettacolo che proseguirà fino al 28 giugno.
Fabio Tranchida